NAPOLI (Atanasio Pizzi Architetto Basile) – C’è una stella pronta a illuminare la storia e le cose degli arbëreshë, ciò nonostante, si preferiscono quanti passano la vita a cercare di capire come vivono gli altri, senza mai riuscire a guardare come vive lui e il suo ristretto prossimo familiare.
Oltremodo recandosi in ambiti dove vive il governo delle donne arbëreshë, privi di ogni minimale conoscenza o sapienza del parlato di questa antico popolo che sostiene la sua cultura con il parlato, il canto e movenze di codice.
Diffondendo così incoscientemente il culto di polvere sottratte e pietre da schivare, convinto che abbia un significato profondo il dialogo con ogni artifizio innaturale, senza comprendere alcun che o cosa, che sia vero motivo che costituisca il fondamento di questa storica minoranza del vecchio continente emigrata nel meridione Italiano.
Il risultato a cui addivengono questi ricercatori della vita di chi è storicamente organizzato, come gli arbëreşë, è molto penoso specie per queste piccole figure cultural-economiche, senza misura di ascolto, per questo, non hanno titolo e intelletto per comprendere il valore culturale o i messaggi con cui è intriso Katundë.
Infatti per identificare per affermare cose, serve saper ascoltare e tradurre gli elementi distintive apposti nei portali delle chiese e, delle case dove hanno vissuto quanti contraeva matrimonio con gli indigeni e non, valorizzando, famiglie, luoghi abitati e sepolcrali.
Una consuetudine ereditata e trasportata nel cuore e nella mente dalla terra madre e, qui nei luoghi paralleli ritrovati, segnarono senza soluzione di continuità ogni cosa, degnamente valorizzando quanti si resero protagonisti.
Nel rispetto di questo principio, gli arbëreşë, designarono anche un mese a primavera, durante il quale i Katundë ereditari o riedificati, fossero aperti ad ospitare le mutue russale, ovvero, organizzazioni di solidarietà locale, con un forte spirito di comunità integrata, in cui i membri si aiutavano reciprocamente, senza scopo di lucro.
In tutto, solide comunità che celebravano l’antico paese dove erano avvenuti gli alti fatti nobilmente compiuti.
Il tutto aveva un forte valore di fede e speranza, mirando a non perdere il valore dei figli dell’antica patria e, ogni persona chiunque essa sia e dove si trovi, conosca l’opera compiuta da questi, per non perdere la memoria e rendere vivo anche a noi l’entusiasmo per le opere queste portate a compimento per onorare il culto completo e l’entusiasmo di appartenenza.
Tutto questo aveva il fine che le nostre popolazioni, pur se ristrette in piccoli Katundë, mantenevano alti i valori dell’antichità; e siccome le diverse classi non si sono disgiunte tra loro, le ultimo partecipano alla conoscenza in egual misura delle prime e, l’educazione particolare e private diviene diffusa in egual misura a tutti gli arbëreşë.
Valori sociali diffusi siano alle famiglie più agiate, le quali allevano i figli propri e, quelle dei meno abbienti, avevano possibilità in egual misura a tutte le nuove generazioni, di migliorarsi e illuminare l’insieme di Iunctura sociale unico e inimitabile, in altri luoghi del vecchio continente.
Per saper leggere tutto ciò non serve dialogare o mettere in risalto figure come il drago sconfitto dall’indimenticabile Giorgio, ne urlare su campanili senza croce, immaginando che la stagione corta, quella della luna di castagneti e noceti, crei più germoglio di quando produca la stagione lunga del sole e dei campanili, in tutto: “Verà i Arbëreşë”.
Atanasio Arch. Pizzi Napoli 2025-03-14