NAPOLI- (di Atanasio Pizzi Architetto Basile)
LA CASA DEL FATTORE
Premessa
In questo breve tratteremo dell’architettura del bisogno, o architettura vernacolare, giacché essa si distingue dalle più famose, perché strettamente legata alle necessità quotidiane della vita di una comunità, piuttosto che a tendenze estetiche o teoriche imposte dall’architettura accademica.
Questo tipo di architettura in edificato, si sviluppa in risposta ai bisogni pratici, sociali, culturali e ambientali di una specifica zona geografica e, l’uso dei materiali risultano essere quanto reperibile con facilità nella vicinanza al loco di edificazione del bisogno abitativo.
I materiali per questo, rispecchiano i pigmenti dell’ambiente circostante, adattabili quindi alle condizioni climatiche locali, offrendo agio a quanti trovano rifugio al suo interno.
E la pietra, fa da primo attore strutturale, di questi ambiti collinari e montane, dove è facilmente, disponibile e pronta a rispondere all’uso.
Alle pietre poi si associano sabia, calce e il legno delle aree boschive, storicamente facili da lavorare e reperire, l’insieme rende possibile e rispondere a necessità pratiche quotidiane legandosi all’ambiente il risultato finale del volume edilizio che in questi centri si integra con misura all’ambiente naturale.
Le costruzioni per questo rispondono alle condizioni climatiche, del bisogno, mantenendo nel contempo un regime temperato, senza discostarsi dai pigmenti e le forme dell’ambiente naturale.
Tetti spioventi facilitano il deflusso dell’acqua e nel contempo con il volume non abitabile del sottotetto, creano cuscini di tempera del volume vernacolare, sia in inverno che in estate.
In questi manufatti, la forma segue la funzione e le soluzioni estetiche, le stesse che non sono imposte da ideali stilistici, ma derivano dalla necessità pratica.
Tuttavia, l’uso dei materiali locali e l’adattamento all’ambiente conferiscono alle costruzioni un aspetto caratteristico e un’identità unica, le cui soluzioni innovative sono tramandate di generazione in generazione, spesso senza il supporto di una formazione accademica, ma tramite esperienza diretta o meglio la consuetudine del costruito.
Le tecniche vernacolari sono per questo intuitive e si sviluppano attraverso il miglioramento continuo di pratiche che rispondono direttamente alle esigenze del momento storico vissuto o la necessità dell’ampliamento.
I cui muri portanti in pietra, in molti casi non richiedono fondazioni elaborate, ma sfrutta la forza e la resistenza del territorio in genere di identica radice delle pietre.
Gli intonaci sono realizzati in calce terra e argilla e proteggono i muri dalle intemperie e consentono una certa traspirabilità dell’edificio.
L’architettura vernacolare si collega anche agli aspetti sociali e culturali della comunità e, l abitazioni e gli spazi pubblici non sono solo funzionali, ma riflettono anche le tradizioni e i comportamenti sociali:
Le case schiera, dove il giardino diventa il centro della vita quotidiana e, l’uso di focolari per unire le famiglie intorno al fuoco, particolarmente, infatti l’insieme nasce ed esprime il bisogno di utilizzare risorse locali in modo efficiente.
Le costruzioni sono progettate per durare e con un basso impatto ambientale, in quanto i materiali utilizzati sono rinnovabili, e le tecniche costruttive sono semplici ma robuste e si possono rifinire o consolidare con materiali di spogliatura nei momenti di bisogno estremo.
Tutto questo non solo riduce il consumo energetico, ma permette alle strutture di rimanere sempre integrate nell’ambiente circostante.
Per questo, la metodica vernacolare resta fortemente legata al territorio e alla comunità e riflettono nelle costruzioni, l’unica e rappresentativa cultura locale.
Il loco denominato Terra
In sintesi, questa resta ed è l’arte del costruire in modo pratico, economico e sostenibile, rispondendo ai bisogni quotidiani e alle condizioni ambientali locali, ma anche alla cultura e alle tradizioni di una specifica comunità.
Per questo scrivere la storia di “Terra di Sofia”, significa addentrarsi nell’intreccio antico di Terra ai tempi della Sibari fannullona, perché dismessa la diocesi di Thurio.
I filari di Terra Laica compongono il filato con i perpendicoli di Sofia di credenza Bizantina, cadenzati dai passi longobardi, in tessitura di risalente del IX e mai terminata.
Spiegare gli intrecci storici, non è semplice e solo chi ha formazione adeguata può affiancare le prospettive che rendono visibili le vicende del rione, dove la toponomastica arbëreşë locale ricorda “Kishia Vietèrë” (Chiesa Vecchia) adagiato a quello che dal 1936 viene appellato “marchianeshëvetë” (Ciliegeto tipico) e (Mandorleto).
Qui in questi breve si vuole illustrare la residenza che fu dei fattori della famiglia di Angelo Giannone, nello specifico l’elevato del bisogno, dove questi nobili proprietari terrieri, del cuneo agrario più antico e prolifico dei principi di Bisignano, avevano residenza in Terra di Sofia.
E qui nei pressi della loro residenza, accoglievano anche il fattore e la sua famiglia, questi ultimi identificati, nella memoria storica locale, nel casato dei “Mangano”.
L’abitazione in epoca moderna, venne acquisita dalla famiglia Caravona e, la demolizione a seguito della instabilità strutturale, hanno esposto tutte le fasi strutturali, che nel volume edilizio si erano sommate o avevano consolidato la stabilità strutturale e abitativa nel corso dei secoli dalla sua edificazione del bisogno vernacolare primo a quelle successive di agio economico sia del fattore che dei nobili Giannone, nel corso della storia.
Ad iniziare dal primo insediamento vernacolare del bisogno identificato come Katoj e, la successiva espansione seicentesca e l’ampliamento settecentesco con l’apposizione del profferlo sulla via Castriota, l’asse che collega la chiesa di Sofia Bizantina, con la successiva Arbëreşë, di Sant’Atanasio l’Alessandrino.
Il manufatto edilizio identificato nella mappa catastale con la particella n° 13, si presenta a pianta rettangolare, con lo sviluppo più esteso in direzione Nord, Sud e, il suo sviluppo verticale si compone, del piano terra seminterrato, un primo piano in elevato e la copertura a due falde di esenzione differente, in direzione Est quella più estesa e, Ovest la più ripida, con aghetto realizzato da tegole murate onde evitare lo scorrere dei reflui piovani lungo l’elevato murario,
Il volume comprendeva anche un ballatoio con scala, a profferlo, nella mezzeria del prospetto rivolto ad est, sulla via Costruita.
Mentre sul prospetto a sud era l’antico accesso al piano abitabile supportato superati di tre gradini in elevato, per raggiungere la quota del piano elevato dal piano di calpestio esterno.
Questo ingresso era gemellato a una finestra al piano, mentre nel piano della copertura in prossimità del colmo di falda era una finestra di ventilazione del sottotetto.
Il prospetto a Nord a piano terra aveva un ingresso per le stalle, gemellata anche questo a una finestra posta verso est e, nel lato ovest subito al lato dell’ingresso, un rinforzo sino al solaio del primo livello, realizzato con materiali di spogliatura e calce, questo seguiva su tutto il fronte del prospetto ad Est il quale era caratterizzato da un accesso dal giardino e una finestrella del secondo interrato, mente al piano primo aveva due finestre che caratterizzavano il prospetto.
A Ovest, era ed è allocato l’orto botanico a esclusivo servizio del fattore, dove ad oggi resistono alcune essenze botaniche, ricoperte da rovi e senza più l’originario ordine, uso o impiego di medicina empirica.
Il volume edilizio nasceva probabilmente come umile residenza del bisogno vernacolare, abitazione tipica di tutta la fascia collinare della preSila Greca Arbëreşë.
Quelle che in lingua ad Est del golfo adriatico si appellavano: Kalljve, Moticellje o Katoj, in tutto, un ambiente unico, con annesso camino e, una zona pranzo assieme ai giacigli dei componenti la famiglia e, gli animali domestici compreso l’asino o il mulo a seconda le esigenze.
Uno spazio con dimensione di profondità maggiore rispetto la larghezza, che non superava i sei metri, con unico tetto a falda, che scaricava il flusso piovoso davanti all’ingresso, che allo scopo era sempre igienizzato, nel corso delle stagioni.
Le vicende agro silvo pastorali dei cunei agrari sofioti, nel corso del settecento diedero agio e distribuirono ricchezza all’economia locale e, tutte le famiglie che in questo centro risiedevano e svolgevano attività, lungo i cunei agrari della produzione e della trasformazione in agro di Terre di Sofia, elevarono il potere economico e, con di fatto anche le valenze edilizie.
Tuttavia a seguito del terremoto del 1783 e la conseguente realizzazione della Giunta di Cassa Sacra, gli stessi ambiti urbani minoritari ebbero un nuovo sviluppo architettonico e iniziarono a svilupparsi verticalmente assumendo una nuova veste distributiva che allocava i magazzini e le stalle al piano terra mentre le abitazioni erano al primo livello.
E anche la casa del fattore qui in studio ebbe modo di essere ampliata avendo un piano abitativo con uso di un locale magazzeno e la vecchia residenza continuo ad essere solo la stalla per gli animali domestici.
E successivamente, venne posto la pertinenza della scala esterna ad uso di profferlo modificando radicalmente le prospettive della odierna via Castriota.
Questo perché il ciclo di crescita si arricchisce ulteriormente dopo il decennio francese, con la costruzione dei nuovi palazzotti nobiliari, espressione di una classe sociale emergente, ciò avviene solo per le classi più elevate perché quelle meno abbienti continuano a occupare i vecchi abituri e quella media esterna la nuova posizione sociale, imitando frammenti dei palazzi post napoleonici.
Ma la casa del fattore divenne anche una vedetta che mirava e seguiva chi si apprestava a bussare a quella porta dei nobili Giannone, infatti con furbizia e accortezza strategica ancora oggi la finestra della stanza da letto del fattore che mira a nord sulle stalle e quella ad est verso la casa dei Giannone conserva una feritoia di osservazione o di mira, per eventuali male intenzionati che si apprestavano ad avvicinarsi all’ingresso della casa nobiliare.
Per riassumere, la consistenza volumetrica dell’intero edificato, esso si componeva di una mono volume conce come abitazione del bisogno vernacolare in epoca di espansione trasformata la stalla nel piano terra, addossato al declivio dell’orto botanico ad est, con ingresso tipico con porta gemellata ad una finestrella, entrambe rivolte a nord.
Un volume con dimensione di poco più di trenta metri quadri, ricoperta con un tetto a falda unica che scaricava i reflui piovani, igienizzando l’ingresso.
Questo singolo manufatto originario allestito secondo le necessità delle epoche in evoluzione, nel corso della risalita economica del XVIII secolo venne integrato secondo i temi di una più lussuosa abitazione, articolato in ma magazzeno, a continuità di livellamento semi interrato, verso sud dell’antico abituro, il quale assunse, da adesso, la funzione di stalla, mentre al primo livello si dispone, con ingresse dal lato sud, con più vicinanza alla residenza dei nobili Giannone e, superati tre gradini dal piano del vicoletto e la porta d’ingresso gemellato ad una piccola finestrella si accede all’ingresso cucina da cui con una botola e relativa scala si accede ai magazzini.
Mentre superata la porta interna si va verso un disimpegno che da acceso alla stanza da letto del fattore e, la stanza della prole, come disposto nella planimetria di rilievo qui allegata in fig. XXXX
Dalla cucina che funge da ingresso si trova la botola per accedere alla cantina o magazzino da cui una porta da la via sull’orto botanico di pertinenza esclusiva.
Questa era lo stato di ampliamento del casale noto come dei Mangano, a cui per facilitare e disimpegnare la cucina dall’ingresso, venne aggiunto il profferlo lungo la via Castriota, da cui, superato sette alzate e sei pedate si giungeva nel ballatoio di poco più di sei metri quadri, il tutto coronato da parapetto, e adesso, l’accesso posto in corrispondenza del disimpegno, rendeva l’intero abitacolo indipendente da ogni funzione privata di casa.
Il manufatto realizzato con muratura additiva, verticale con materiali locali come pietrame, assemblata con impasto di calce e sabbia della “parerà” locale che in quell’epoca era sul fronte ad est del torrente del duca quando diventa Cancello, oggi non più presente perché quel refluo che attraversava il centro antico è stato interamente interrato e modificato del suo antico tracciato e valore.
Il pietrame che compone la muratura sicuramente proviene dal Torrente Galatrella, che scorre a poca distanza.
In tutto, un modello abitativo che basa la sua consistenza nelle “Murature vernacolari” come accennate in anteprima e, del bisogno tipicamente locale e, tipici di questo luogo in forma di pigmenti naturali della comunità.
In questo caso, indicativo dell’architettura che si sviluppa i Santa Sofia Terra, senza il ricorso a progettisti formali, ma adattando ogni cosa al bisogno in funzione delle risorse, il clima e la geografia di questo specifico rione.
Le murature della casa dei Mangano, sono realizzate con materiali reperibili nella zona circostante, come pietra, sabia, calce, creta e legno.
Queste strutture sono solitamente molto funzionali e, pensate per adattarsi alle condizioni climatiche e ambientali specifiche del luogo, e riflettono la tradizione, la storia e le necessità di chi le ha costruite.
Il luogo nello specifico, per la sua natura geologica, come l’intero centro antico dalla radice bizzantina sino ai tempi della venuta del costruito arbëreşë, non faceva uso di fondazioni di rilievo ma rifiniva il declivio naturale con un pianoro di necessità su cui poi elevava le murature perimetrali.
Questo è il motivo dei rinforzi che emergono e sono evidenti nella porzione del prospetto a Nord e di tutto il piano terra del prospetto di Ovest. Vedi Foto
Anche se ricuciture di fessurazioni riferite agli intonaci o per rendere più emblematico l’edificato appaiono lungo via Castriota e in tutti i varchi di accesso le finestre e i varchi di ventilazione del sottotetto, ri quadrati con mattoni i terra cotta e architravi in legno o componimenti di mattoni, cosi anche per poi intonacare il tutto, rinforzando con scaglie di spogliatura di tegole e mattoni.
Il solaio del piano abitabile e realizzato con travi panconcelli e cuscinetto in sabbia miscelata a calce e rifinita con mattoni in terra cotta.
Il solaio che fa da separatore con il sottotetto e composto da travi e tavolato regolare, in modo da rendere il lastrico solare diffusamente distribuito con evidenziate le travi e il regolare sviluppo del tavolato regolarizzato lungo i bordi, il tutto trattato con getto o pennellata di calce liquefatta.
Gli infissi delle porte esterne, sono ad un battente, cosi come quelle interne, diversamente dalle finestre a due battenti con vetrata oscurata dai relativi semi porte nella parte superiore, al quadrangolare di base, onde evitare la facile visione interna quando durante il giorno illuminano l’interno.
Il tetto a due falde si compone di trave di colmo, da cui degradano le travi a est e ad ovest, su cui i travicelli, disposti a intervalli regolari, accolgono il doppio ordine di coppi, sino al calibrato aggetto terminale, quest’ultimo realizzato con un filare di coppi incastonati o meglio solidarizzati con l’elevato murario.
Questi accolgono e danno il terminale appoggio inferiore alla lamia di coppi, che poi defluiscono perimetralmente all’elevato murario, evitando che le il displuvio scorra lungo le pareti dell’edificato dell’attento Fattore.
Atanasio Arch. Pizzi Napoli 2025-04-08
P.S. Quando studio e progetto, la terra trema e il cielo si apre, gli orizzonti, della regione storica, diffusa e sostenuta in arbëreshë, si illuminano e, le tracce della storia mi guidano lungo la via pertinente, solida e indissolubile.
Questa ormai è diventate regola solidale, ma quello che adesso vorrei è conoscere la stagione in cui avrò modo di confrontarmi con quanti appongono “IN” precedendo la “cultura”, specie da chi si forma tra u surdù e lu settimù