Leggendo questo passo di Norman Douglas, nel volume Vecchia Calabria del 1915 riflettevo su cosa sia cambiato da allora ad oggi, se in meglio o in peggio.
“ La prima impressione del visitatore è di un abbandono peggiore di quello che si vede in Oriente. Non c’è soltanto disordine alla periferia: è un caos deliberato e sinistro, con una nota di anarchia, di disprezzo per quelle elementari forme di civilizzazione che anche i più poveri possono permettersi. Sono individui, si pensa, con uno scarso senso della casa e delle sue venerate usanze; sembrano sempre sul punto di farla finita con la situazione in corso.
Che differenza con l’Inghilterra, dove anche i più umili «cottages», le strade, le pietre stesse documentano un innato amore per l’ordine, per i sentimenti di buona vicinanza e per le tradizioni santificate dal tempo!
Manca qui il senso della casa come punto di riferimento topografico fisso e preesistente; come gli arabi e i russi, nessuno dei quali possiede un vocabolo che significhi il nostro «home» o il germanico «Hei-mat».
Qui, l’equivalente più prossimo è la famiglia. Noi pensiamo a quella casa o a quel paesetto in cui siamo nati e abbiamo trascorso i giorni più sensibili dell’infanzia; loro considerano la «casa» non come centro geografico, ma sociale, passibile di venir trasferito da un luogo all’altro; dovunque sono «a casa», purché il loro clan sia riunito intorno a loro. Il senso di possesso che affettuosamente riscalda e adorna le nostre abitazioni, anche le più squallide, riempiendole di ricordi, è stato eliminato in loro se è pur mai esistito nel loro animo dai duri colpi della sorte; è più sicuro, pensano, trasformare in denaro la propria fatica, perché si può trasferirlo da un luogo all’altro o nasconderlo all’occhio del tiranno. Non esiste in loro il sentimentalismo, che distingue noi, verso gli oggetti inanimati.
Da qui nasce l’aria provvisoria delle loro abitazioni, all’esterno e all’interno. Perché sprecare fatica e denaro per qualcosa che domani si dovrà forse abbandonare?
La lettura di cui sopra mi ha riportato alla mente su alcuni scritti riferiti alle parlate autoctone arbëreshë, ormai tanto in voga, ho trovato strano che la cura dei testi siano state fatte da eminenti personaggi alloctoni, allora succede, (è un esempio) che pronunciare la frase un poco, poi si scrive un boco, questo tanto per aggiungere nuova confusione alla lingua; io a riguardo una teoria l’avrei, ed è la seguente:
Un popolo caparbio e di così antiche tradizioni come quello albanofono, per affidarsi alla tradizione orale, prevedeva e conosceva bene le conseguenze a cui andava incontro e questo la dice lunga su noi Arbëreshë.