(Tratto da: Immigrazioni Albanesi in Calabria nel XV secolo, Innocenzo Mazziotti) – All’improvviso crepitare di fucili il terrore aveva invaso l’animo degli abitanti, specie dei benestanti e dei filo-francesi; si fuggiva verso la campagna, verso i boschi, nei più impensati nascondigli. Nella gran confusione il Vescovo, che in quel momento si trovava nella casa dei parenti Masci e si avviava a ritornare nella sua dimora, fu fatto entrare da una popolana, Elisabetta Miracco, nella propria vicina casetta e nascosto in un magazzino interrato.
Mentre re Coremme con i suoi compiva le sue vendette mettendo a sacco e fuoco le case dei giacobini, prima di tutte quella del Ferriolo, Gianmarcello Lopes con i suoi sette sgherri era solo occupato a cercare il Vescovo; e su indicazione di una sua ex conterranea e donna di corrotti costumi, chiamata Bertina, riuscì a scoprire il nascondiglio del Vescovo e penetrare nel magazzino: «senza dar tempo a scrupoli religiosi, gridando “morte ai giacobini!”, GianMarcello, solo, egli solo, furibondo lo trafìgge con replicati colpi di pugnale e lo lascia esamine».
Dopo il delitto re Coremme con la sua banda, compresi Gian Marcello Lopes e i suoi sgherri, trascinandosi dietro il vecchio fratello del vescovo, Domenico Antonio Bugliari, raggiunsero Acri, dove il povero vegliardo fu ucciso e bruciato, come risulta dai registri parrocchiali della chiesa di Santa Maria di Acri (R. Capalbo, o. c. doc. XII).
Approfittando della vicinanza della massa dei briganti, i realisti di San Demetrio, evidentemente sobillati dai Lopes, saccheggiarono per la seconda volta il Collegio greco di Sant’Adriano, per loro “covo di giacobini
La tragica fine del vescovo F. Bugliari ebbe risonanza per tutto il regno di Napoli; fu menzionata, scrive il suo biografo, dal “Corriere di Napoli” (30 agosto 1806), dal “Monitore di Napoli” (2 settembre 1806) e lo storico cosentino Luigi Maria Greco nel primo volume dei suoi “Annali di Calabria Citeriore” riporta l’avvenimento e esplicitamente ne indicava i responsabili: «…Non la massa forestiera ma Albanesi di S. Demetrio mandatari di taluni dei Lopes, realisti dello stesso paese, Stefano G. Battista Chinigò con quattro altri concittadini, scoprendolo, uccidono crudamente il santo pastore […]. Grave perdita perché d’uomo religioso senza impostura e di alta mente; di uomo cui i profughi d’Epiro della Calabria dovevano lunghi anni di amore provvido e caldo.. .» (Greco, In annali I, pag. 27).