NAPOLI (Atanasio Basile Pizzi) – Avventurarsi in disquisizioni di lettura cromatica con scenario la regione storica arbëreshë, se non idoneamente capaci nel distinguere cromatismi e sfumature, si finisce di scambiare il cielo con la terra e i generi con l’ambiente naturale.
La nota vuole redarguire con forza e determinazione, quanti hanno imprudentemente e impunemente scambiato diplomatiche, ai tempi in cui le notazioni si stilavano su carta canapa.
Gli arbëreshë per oltre quattro secoli hanno mantenuto viva la propria identità in senso idiomatico, culturale, religioso, esclusivamente in forma solenne e orale; essi hanno superato guerre, invasioni, carestie, terremoti, rivoluzioni, ancora guerre e ogni sorta di avversità naturale o indotta dagli uomini, ciò nonostante, dopo l’unificazione dell’Italia, inizia a smarrire la rotta con andamento pericoloso e deviante, non per colpa di altrui, ma per l’errata inculturazione adottata in forma scritta, artificio ignoto alla minoranza ma utile agli indigeni per copiare e riportare le altrui idee.
Il picco del degrado è raggiunto a seguito dei processi industriali e le migrazioni verso le città dalla fine degli anni sessanta del secolo scorso.
Ciò che più lascia perplessi è l’indifferenza dei presidi storici preposti per la tutela culturale, proprio i saggiamente predisposti localmente con dovizia per la difesa dell’irripetibile modello sociale linguistico e consuetudinario in evoluzione.
Sant’Adriano, ma non il Santo, ha forgiato comunemente figure che avrebbero dovuto fare tutela, tuttavia l’ostinazione a ricercare, giudizi legali e processi evolutivi dell’idioma in forma scritta, ha lasciato al libero arbitrio aspetti materiali ed immateriali unici nei generi e di cui rimangono solo esili frammenti.
Il fenomeno s’intensificò quando agli inizi degli anni sessanta, del secolo scorso fu elevato tra i torrenti Surdo e Settimo, un presidio che avrebbe dovuto modificare il senso della deriva, ma l’incapacità culturale, figlia della poca preparazione, ha fatto si che quelle acque genuine prendessero la stessa direzione “Adriana e delle sue pertinenze”.
Si potrebbe ipotizzare che l’errore più grave sia stato fatto quando “i soliti prescelti”, inforcata la cattedra come condottieri, invece di segnare e diffondere certezze da bravi cavalieri, hanno preferire creare una muraglia di difesa della propria posizione per evitare di perdere l’aureola culturale precompilata, evitando con ostinazione a predisporre il ben che minimo progetto di tutela indispensabile, a quel tempo, per ricucire passato presente e dare la linfa ideale per distinguere carta pecora dalle diplomatiche in senso di Kanun di radice in themi.
Forse questo è pretendere troppo, da semplici titolati, incaricati di fare cose solide e durature, purtroppo i curricolari con poco più di venti esami (pergamena di basso livello istituzionale) ritenute in mani loro come eccellenze locali, si sono rivelate le meno adatte ad assolvere l’incarico di ricerca storica e tutela delle macro aree minoritarie.
Se a oggi non si comprende ancora cosa distingua il principio di regione storica, dal nomadismo delle popolazioni, è un grave errore e se quanti inforcarono quelle cattedre, appellano secondo un misero sostantivo indicatore di nomadismo, la regione storica è segno che ancora la deriva, continua imperterrita e devasta, restringere, consumando imperterrita il senso culturale della minoranza.
Svolgere certe attività non basta solo possedere un titolo generico o di medio valore in esami fondamentali, giacché servono esperienza di ricerca sul campo, l’unica a rendere merito e sviluppare ingegno, capacità imprenditoriale e cognitiva:
E’ solo dopo questo iter, più volte ripetuto, ad acquisire l’idonea visione di analisi, non ipotizzabile partire dal basso e sbagliare per poi “sbagliare” con la speranza che un giorno arrivi Peppino dalle Galassie per indicarti la diplomatica da cui copiare e trascrivere in cartapecora.
Ed è proprio questo l’anomalo dato che non ha consentito di realizzare progetti multi disciplinari indispensabili per restituire una visione generale del fenomeno minoritario, ancor oggi studiato secondo piccoli episodi locali disconnessi tra loro, oltremodo inutili, anzi penalizzano, disturbano e fanno perdere tempo a quanti, oggi, si adopera nella ricerca “unica e indivisibile”.
Questo ha prodotto un vuoto culturale incolmabile, in altre parole, l’assoluta mancanza di figure con cui comparare i nuovi progetti di ricerca, perché la maggior parte dei così detti formati, acquisto il titoli, o equipollenti di estrazione locale, si rintanano nell’insegnamento di natura primaria e secondaria delle scuole dell’obbligo, non producendo alcuna maturazione storico/culturale, accadendo che: nel misurarsi con ragazzini, adolescenti o analfabeti locali, seguono inesorabilmente, senza averne cognizione, la buia trincea cognitiva“Adriana e delle sue pertinenze”.
Una società paragonata ironicamente dal mondo della cultura come il riversamento dei concetti in forma di aceto in presidio dipartimentale che attende che l’aceto diventi vino, con cui poter solidarizzare tutto ciò che la piena degli inopportuni trascina.
Se questo non è un dato comprensibile e rendere con cognizione di causa, la misura di quale attenzione garbo e dedizione sia stata volt allo studio e alla ricerca delle tappe, che hanno distinto la regione storica, dal resto del continente, basta affacciarsi e prendere atto o lettura, dei prodotti editoriali attuati dagli anni sessanta del secolo scorso a oggi.
L’azione di questo breve, vuole cambiare l’anomalia in atto avendo quale campo di riferimento, da cui partire e tracciare i canoni ricerca o progetto storico; i riferimenti di temi; gli stradioti; l’unificazione dell’impero romano con capitale Costantinopoli, focalizzando in particolare il tempo in cui venne ristretto nell’area dei Balcani.
In conformità a quanto su citato, proseguire indagando, la minoranza mediterranea, puntando sulle origini radicate allo spirito delle leggi, degli statuti, delle ordinanze e il senso del lavoro, quale lotta faticosa con la natura secondo la manualistica basata sul diritto bizantino, lo stesso che legava normative militari e contadine, ponendole al centro degli interessi dello stato.
Genericamente ad oggi non esiste prodotto editoriale di senso finito, se poi vi dovesse capitare di osservare, leggere, confrontare cosa circola nel modo enciclopedico, sottoscritto dai su citati o nei wichiwand di libera interpretazione, c’è da rimanere a dir poco perplessi, basiti, anzi indignati.
Quest’anno l’estate dei “liberi e delle libere Stoljiate” è già terminata a causa dall’emergenza sanitaria, ma quanto prima, questa come tutte le cose brutte passera, speriamo che si porti via tutte le ilarità prodotte in passato e nascano nuovi germogli di buon senso, gli stessi che la regione storica attende da ormai troppo tempo perche le forze sono esigue e occorrono nuove energie colturali, quelle che sarebbero dovute nascere nei dipartimenti per tessere quella tela raffinata a quattro mani capace di fermare e inglobare tutto quello che possa far vivere il sapiente ragno tessitore.