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REGOLE ALLOGLOTTE GERMOGLATE IN ARBËREŞË E POI DISPERSE

Posted on 24 settembre 2024 by admin

BUrrasca

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – La popolazione Arbëreşë prevalentemente allocata all’interno nell’antico circoscritto un tempo regno delle due Sicilie, la cui parte più consistente, ha trovato agio e riferimento orografico a nord di Cosenza nelle colline che vedono scorrere Crati e Coscile.

E in questi anfratti naturali che dimorano, perché trovarono senso dei luoghi paralleli, della terra di origine, fatti di strada romana, clima mite, presidi idrici, pascoli e, frutti dalla generosa terra.

I comuni o Katundë nei quali ancor oggi si può ascoltare il riecheggiare della parlata arbëreshë, sono ubicati a sud dell’Appennino Lucano e l’altopiano Silano, ed elencando da nord verso sud tro­viamo i centri storici di: Castroregio Plataci, Civita, Frascineto, San Basile, Firmo, Lungro, Acquaformosa; continuando più a sud, sulla Catena della Mula abbiamo: Santa Caterina Albanese, Cerzeto, San Benedetto Ullano, Cervicati, Mongrassano, Cavallerizzo, San Giacomo, San Martino di Finita, Rota Gre­ca e, chiude; il sistema abitativo sulle pendici della catena Falconara Albanese, quest’ultima, l’unica ad affacciare a mo’ di vedetta sul mar Tirreno; al centro di questo singolare sistema comunitario, si stendono i centri di Spezzano Albanese e San Lorenzo del Vallo; a destra della Valle del Crati e precisamente a nord della Sila Greca risiede la comunità più ricca di tradizioni storiche e culturali, ne fanno parte: Santa Sofia d’Epiro, San Demetrio C., Macchia A., San Cosmo A., Vaccarizzo A. e San Giorgio A.;

È in queste terre che gli arbëreshë assolsero con onore gli impegni assunti nelle capitolazioni, abbarbicandosi e trovando il giusto equilibrio nei valori religiosi, e nelle tradizionali consuetudini di memoria del parlato e del canto.

Dopo due secoli e le note vicende di scontro e confronto vennero posti all’attenzione Vaticane, poiché i valori di genere, avevano perso ogni decoro e, non trovando alcun dialogo la credenza di Roma, una nuova opportunità andava predisposta per non isolarli completamente.

Fu allestita pe questo la struttura del collegio Corsini affinché garantisse l’idonea formazione dei religiosi di rito Greco Bizantina, parlanti in Arbëreşë, ma purtroppo, sia la struttura che la gestione non diede i risultati attesi, abbarbicandosi per diversi decenni ai soliti, ristretti referenziati.

Il rilancio della istituzione religiosa la si deve alla intelligenza ed alla caparbietà del “Letterato e il Vescovo”, i quali intuito che la struttura doveva avere una idonea sede, una oasi culturale in grado di consentire la forza economica e logistica a formare un numero adeguato di ecclesiasti, con docenti capaci di elevare culturalmente le popolazioni Arbëreşë e del relativo bacino indigeno della Calabria Citeriore.

Per lungo tempo queste due figure sono state esposte in secondo ordine, preferendo personaggi privi di autorevolezza, culturale, religiosa e sociale, arrivati dopo che la tempesta di rinnovamento si era placata e, la traccia nella storia del regno di Napoli era stata definita indissolubilmente, per divenire Italia Unita.

Il fautore di questa traccia epocale furono, Pasquale Baffi e Monsignor Francesco Bugliari, ai quali va dato atto che oltre ad aver trovato al Collegio Corsini l’ideale oasi di tranquillità economica, strategica, architettonica e, per essa, donato sin anche la vita.

L’evento dell’assassinio fu celato dietro la rivoluzione del 1799 a Napoli e, il saccheggio di Santa Sofia d’Epiro l’agosto del 1806.

Il meridione d’Italia è salito spesso agli onori delle cronache per i delitti di mafia, ma volendone tracciare un macabro elenco, tra i primi figurerebbe quelli di Baffi e Monsignor Francesco Bugliari da Santa Sofia D’Epiro, i più efferati e privi di adeguate indagini storiche, se non per uno, che a breve renderà misura e luce alle prove e i motivi che ne causarono il vile maltolto, lo stesso che nella astoria è diventato regola culturale, che non fa migliorare e progredire gli Arbëreşë.

L’oasi o fabbrica di cultura, di pensiero morale e liberale, realizzato ha dato l’idoneo impulso per poter mantenere viva la religione, la lingua e tramandare precisamente le suggestive tradizioni Arbëreşë.

L’isola di sant’Adriano, venne più volte depredata, messa in vendita e data alle fiamme dalle popolazioni con essa confinanti; non essendo in grado, tutti di cogliere il valore sociale, considerandola solo come un gioiello utile per essere defraudato.

Nel collegio di Sant’Adriano ha avuto modo di formarsi quella classe di maestri che hanno dato avvio a quel processo di alfabetizzazione tanto agognato dal Baffi, il quale nei salotti culturali della Napoli capitale, indicava nell’analfabetismo uno dei mali che affliggeva il meridione.

I contesti in Arbëreşë se ancor oggi resistono e, hanno la possibilità di esprimere valori propri comuni, lo devono agli ecclesiasti e ai maestri che ebbero modo per dissetarsi culturalmente nell’oasi di sant’Adriano, da qui uscirono quei preti di religione Greco Bizantina che seppero tenere in vita i riti e le tradizioni dell’antica terra oggi Albania, oltre i maestri che con il loro sapere, diedero la svolta epocale alle province calabresi perfettamente integrare con gli esuli.

Se per gli ecclesiasti il compito avveniva in contesti religiosi ritrovati, per i maestri il compito si presentava molto più arduo, infatti essi dovevano fungere da perno tra la lingua Italiana e quella Arbëreşë, comunque il processo di scolarizzazione era inizio, innescando il processo formativo diffuso, del XIX secolo.

Agli inizi del 1900 maestri che alfabetizzarono le comunità albanofone provenivano anche dai centri Calabresi, assoggettati chiaramente alla legge degli alloglotti, creando non pochi dissidi tra il corpo docente indigeno con quello locale.

A Santa Sofia D’Epiro tutti riconoscono sia l’utilità degli ecclesiasti e sia quella dei maestri che si sono avvicendati nel corso di più di due secoli, ed entrambi hanno preservato la religione e la lingua, avviando il sistema scolastico Italiano con l’adeguata preparazione, assolvendo così l’antico impegno che il collegio Corsini gli aveva lasciato in eredità.

Oggi purtroppo i sistemi di scolarizzazione religiosa e culturale non è più riferimento, perché non più svolto con lo stesso senso di abnegazione e responsabilità dei vecchi pionieri.

Nella scuola la vecchia legge degli alloglotti ormai decaduta, perché considerata discriminante o addirittura razzista, provocando così la naturale perdita di riferimenti della lingua Arbëreşë, non avendo più idonea solidità per attingere sapere e certezze linguistiche e religiose.

La cosa che più duole è che nulla si prospetta all’orizzonte, sia esso un progetto, un’idea o un sistema, che possa univocamente preservare gli antichi riferimenti ugualitari definiti dalla “Kesa Arbëreşë”.

Gli ecclesiasti che conoscono tradizione, lingua e precise cadenze religiose non sono in numero sufficiente e motivati al mantenimento di esse, i maestri di un tempo sono stati sostituiti con professori che si dedicano a problemi sociali, psicologici, sociologici, oltre ad una miriade di aggettivi che fanno dimenticare l’antico mestiere, il quale doveva assolvere al semplice compito di legare i riferiti linguistici e, vocali alla parlata Arbëreşë.

Tutti i paesi albanofoni hanno avuto due generazioni di maestri, in grado di sollevare vertiginosamente il livello di alfabetizzazione in questi centri, a cominciare dagli anni 40; Santa Sofia d’Epiro ha avuto il suo gruppo formato da Baffa P., Pizzi V., Becci V., Becci R., Rizzuti F., Mendicino A., d’Auria G., Mazziotti I. o dagli anni cinquanta e sessanta, le generazione che li ha idoneamente sostituiti di cui facevano parte: Baldini R., Rosini G., Miracco P,, Sanseverino U., Baffa M., Caccuri F., de Luca A., Mazziotti A. maestri che con l’idonea formazione del parlato Arbëreşë, seppero preparare adeguatamente intere generazioni di giovani sofioti, per affrontare gli studi delle scuole Italiane, senza smarrire il senso dell’idioma originario.

Anche così è stato per i prelati che si sono succeduti alla guida delle chiese dei comuni albanofoni, i quali oltre a impartire le regole della religione, dovettero difendersi dal prevaricamento continuo che veniva dalla chiesa latina, la quale non ha mai visto di buon grado la presenza nel territorio Greco Bizantini, con la piena consapevolezza del mandato che avevano ricevuto, essi si sono fatti rispettare ed apprezzare per i risultati a cui sono addivenuti.

Oggi purtroppo e nonostante più attestazioni generiche, tutto dipende dalle stagioni che attendono di essere riproposte per continuare l’antica consuetudine, fatta di poche essenziali cose, condotte dai vecchi e sapienti maestri parlanti l’Arbëreşë senza attingere dalla moderna terra madre che si è resa finalmente conto che fa parte dell’Europa strategica.

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