Dal diciotto di gennai del 1977 la distanza che ha visto espandere la “Radicanza di cuore tra Terra di Sofia e Napoli”, mantenendo solide pulsazioni di luogo nel confino a 228 chilometro, pari a 141 miglia, esponendosi nel tempo sino a 230 chilometri paria a144 miglia, nel circoscritto della città di Napoli.
Da quel giorno senza mai smettere di studiare e fare memoria di tutelare, nel prodigarsi per diventare portatore sano di fatti della storia avuto luogo in Terra di Sofia equiparati, in seguito ai cento e più centri antichi di simili origini e diventata la missione della Radicanza senza soluzione di continuità.
Il luogo emblematico dove tutto ebbe inizio, è il Giardino che un tempo fu Orto Botanico dei Bugliari di sotto, quando Vescovo era il figlio di Anna Maria Pizzi.
A Napoli cosi ogni cosa lasciata nella Radicanza in Terra di Sofia, divenne misura e studio in: Sedil Capuano, poi dopo il terremoto del 1980, in Via Leopardi e, dopo il termine di febbrai de 1985 lungo la Via del Sole e della Luna, per poi approdare nella storica Salita della Sapienza, in fine oggi, accanto alla fratria un tempo frequentata da Pasquale Baffi.
Tornare oggi nel luogo natio, si dovrebbero allestire, per lungo tempo, fuochi di candelora per fare cenere di tutti gli editi, favole e ogni sorta di compilazione, esclusi il “Discorso degli Arbëreşë del 1776 di Baffi e le vicende che rinforzarono i valori Arbëreşë con i fratelli Giura e il Torelli”.
Tutto il resto andrebbe distrutto, cosi come i riversi riverberati, dalle pecore al pascolo, nel promontorio tra il Surdo e il Settimo dagli anni settanta del secolo scorso.
Allo scopo, non bisogna distrarsi e perdere misura, degli errori e le malefatte nel corso dei trascorsi del Corsini, quando era in Sant’Adriano, a iniziare dalla pena inflitta al primo Vescovo Francesco, alle lacrime del secondo Bugliari, che lo dismise per pena infinita.
Una delle prime azioni posta in essere una volta a Napoli è stato di reperire tutti gli atti che del centro di Sofia che risultavano essere conservati nell’archivio di Napoli e, poi nel corso dell’esperienza universitaria, confrontare e lette con l’ausilio di docenti eccelsi, ed ecco che carte, fotografate e amaramente pagate divennero la guida, o meglio la cometa da seguire.
Nel corso del 1983, la ormai certezza del titolo accademico, quasi acquisito, diede spazio alla volontà di tornare nel luogo natio e fare famiglia, ma le istituzioni tutte, pubbliche clericali e germaniche, dirsi voglia, fecero tanto male di termine il 28 febbraio del 1985, che nell’aprile dello stesso anno, rifiorì la volontà di “Radicanza senza più termine”.
Inizia adesso un solido percorso di formazione nel loco di Napoli noto come la Salita della Sapienza, e non a caso, dopo numerose esperienze lavorative con istituti, istituzioni e docenti che hanno preteso che dovessi ritenermi un loro pari con titolo.
La Radicanza nel frattempo aveva germogliato e dato frutti molto genuini, con misura Solanizzata e, quel titolo accademico che sino ad allora era stato lasciato nel cassetto, perché ritenevo non più utile da conseguire, risveglio la promessa data che non poteva avere patto chiuso.
Ma i continui spasmi di quanti non immaginavano senza titolo “l’Olivetaro Arbëreşë”, fecero tanto per far ritornare sui suoi passi e, sostenere quell’esame mancante, nella primavera del 1984, per conseguire il titolo di laurea, il giorno prima dei suoi primi cinque decenni di memoria storica, studio compilativo e, di analisi inarrivabile per ogni pascolante o pascolatore, nel promontorio che circoscritto dal Surdo e dal Settimo.
Se sino al giorno del titolo di laurea, la Calabria, la Campania, l’Abruzzo il Molise e la Puglia erano stati luoghi di rilievo, ricerca e progetto, dopo la data, del venti di ottobre del 2004, la Radicanza ebbe a dare frutti a dismisura, a Potenza, Roma Firenze, Valentia e in numerose Università d’Europa dove l’esperienza applicata alla valorizzazione della Regione Storica, Diffusa e Sostenuta in Arbëreşë, trovò nuovi solchi dove germogliare frutti sino ad alloro sconosciuti o comunemente trattati.
Nascono così le Inchieste di Servizio e Formazione per gli Adulti, questi ultimi rimasti attaccati ancora alle antiche derive culturali poste in essere da non formati senza alcuna preparazione dell’ascolto e del parlare Arbëreşë scambiato per Albanese moderno.
Sono da ciò indagati centri i antichi e come essi si siano sviluppati, quali sono gli adeguati sostantivi per identificarli e quale percorso storico vernacolare abbiano seguito per restituirci gli storici odierni.
È stata identificata la valenza storica di che unisce Casa, Gjitonie e Cunei della produzione della trasformazione, Agro Silvicola e Pastorale, mai posta in analisi sino agli studi posti in essere dall’Olivetaro Arbëreşë, se non per fenomeni marginali che non potevano suggerire la leva del sostentamento.
Sono stati descritti i costumi e il valore sociale di tutti i costumi delle Oltre venti macro aree che compongono la Regione Storica, Diffusa e Sostenuta in Arbëreşë.
Lo studio poi è stato interamente riversato nelle vicende delocativa del 2009, ottenendo attenzione da alte istituzioni e politici oltre della reggenza del sistema che si occupa della prevenzione, gestione a situazioni di emergenza.
Questa ultima in particolare dal 2014, a fine delle udienze si è astenuta dal proporre ancora modelli di ricostruzione per quanti subiscono calamità o sono colpiti da eventi sismici.
Va in oltre sottolineato che si aggiungono a tutto questo, studi mirati di numerose macro aree che sino ad oggi non conoscevano il senso della Iunctura urbana, fatta di elementi ripetitivi, costruiti e sociali, che solo chi ha studiato al fianco di eccellenze della storia, della geologia, della psichiatria e valorizzazione del territorio in quanto ambiente naturale, dell’antropologia saggia, senza dimenticare i grandi maestri dell’architettura, dell’urbanistica, della storia e del buon vicinato giovanile, che hanno saputo seminare bene.
Il rilievo, ricerca e progetto di edifici storici tutelati da rendere funzionali, ha fatto sì che la formazione venisse a consolidarsi al punto tale che sin anche la presa visione dell’analisi grano metrica, di murature o elevati crollati e spogliati delle intonacature, comparati in loco con eventi tellurici della storia, comparati al vernacolare del bisogno, diano certezza storica, di temo luogo e uomini.
Gli studi condotti a Napoli nel loco denominato Salita della Sapienza con la perfetta pronunzia dei vocaboli fondamentali, di una Lingua che non ha poesie o forme scritto grafiche, come definita dai fratelli Grimm.
In tutto una lingua che fonda il suo essenziale e ristretto uso orale, secondo una grammatica di pronunzia fondamentale, che non vanno oltre la definizione del corpo umano dei due generi e, gli elementi naturali ad esso prossimi o stellari, gli stessi che contribuiscono al suo progredire e rigenerarsi.
In tutto una Lingua razionale, che per essere tramandata, fa uso della canzone e delle movenze del corpo, al fine di fissare memoria da tramandare.
La lingua Arbëreşë non conosce la scrittura, non conosce libri né lavagne o terreno verticale dove disegnare o tracciare alfabeti.
Nessuno di noi ha preso fratria con questa lingua, studiando, leggendo o traducendo vocaboli in arbëreşë, a cui è affiancata una parola italiana, questa lingua prima diventa pensiero e poi diventa pronunzia e, mai succederà in alcun luogo che un pensiero italiano possa essere pronunziato in Arbëreşë, in quanto non avrebbe né senso e né valore.
Come la lunga essenziale, anche per l’Olivetaro Arbëreşë valgono le stagioni: la Lunga; l’Estate e la Corta; l’Inverno.
Entrambe distribuite secondo il teorema che vuole la lunga espressione di semina, fioritura e frutto, che confina con la corta e, si resta a casa, per tramandare consuetudini e altre cose.
L’arbëreşë non si ricorda nel giorno o nei tempi corti della pena, ma per tutto l’anno e per sempre, perché questa è una libertà che non va imprigionata per poi essere liberata dopo concentramenti che non trovano agio e accoglienza.