NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – La necessità di espandere i confini di iunctura culturale degli ambiti della Calabria citeriore dal XVIII a XIX, fu argomento di rilievo per “i fraterni gruppi europei”, specie quello che trovò germoglio nel casale nobiliare di Capodichino a Napoli, dai tempi di Maria Carolina d’Asburgo, Regina di Napoli e Sicilia consorte dell’imperatore Ferdinando di Borbone;
Anche essa frequentava questo luogo di fratellanza, dove furono disposte le linee generali di un progetto di cultura che interessasse ogni provincia del regno e, per la Calabria si attivarono, al fine di trasferire le risorse culturali ingabbiate nel collegio Corsini, nella residenza originaria, illuminandole senza più fatiscenze di luogo malsano in Sant’Adriano.
Tutto questo, dopo essersi continuamente consultati con i massimi esponenti della fratellanza di radice arbëreşë di questo loco ameno, ma operosi residenti e attivi in prima linea a Napoli.
E nel mentre in pochi, ovvero quanti si possono contare sulle dita di una mano diedero il corpo e l’anima per questo progetto, altre fratellanze e parentele si disposero a cerchio per fare vallja di profitto e tradimento.
Questa fu una stagione lunga che durò per molto tempo e, oggi quanti comunemente senza debita formazione appongono lapidi, allestiscono editi, usano manifestare memoria di canto senza ragione.
Eccellenze che ancora oggi rimangono sotto i veli ricamati dai chi non aveva meriti, oggi accolte di buon grado da quanti non avendo misura del grande rinnovamento, si prodigarono a tradurre fatti, avvenimenti e prodotti editoriali, di cui non conoscendo quel genio in grado, di generare preparare, istituire e dare inizio svolgimento e fine a questa grande fucina di clericali e letterati di libero pensiero, sempre prodigi a seguire la fratellanza del popolo sovrano.
Quando il collegio fu trasferito dalla sua storica sede, fu fatto perché il luogo era povero, poco ameno e, sicuramente non avrebbero potuto rispondere all’era nuova ormai alle porte.
Il progetto non trovo molta adesione clericale e civili, specie negli ambiti dove annaspava con la cultura; e tutto l’evento, venne inteso come dispetto locale in favore di altri o addirittura, un mero affare immobiliare in favore dei soliti fratelli senza scrupolo.
Per chi lo ricevette in dono fu festa nazionale, perché inteso come regalo scolare, dove le risorse economiche dell’agro avrebbero fatto la fortuna dei fratelli immobiliaristi che sarebbero anche diventati, padroni del monte del grano con profitti di usura inimmaginabile.
Due facce di una stessa medaglia, che ha visto l’istituto di formazione sempre protagonista di affari economici; e mai luogo di cultura diffusa, per unire casa e chiesa indissolubilmente, ma un monte economico da cui fare profitto e ricchezza privata.
Giuseppe, Pasquale, Francesco, Domenico e in fine Giuseppe, che fu fatto vescovo per necessità, rappresentano le figure prime che lo immaginarono, lo istituirono, lo sostennero contro le avversità già poste in previsione e, poi alla fin del ciclo, lo dismisero senza pena per la cultura e la formazione della terra citeriore.
Tuttavia se non vi fossero stati le prime quattro figure, ancora oggi Garibaldi e i suoi novecento e novantanove, lo troveremmo, accampato ancora nella valle del Savuto, in attesa del tempo buono per unificare l’Italia.
Per il collegio vi furono figure alte, che diedero la vita senza mai pretendere nulla e, figure senza scrupolo che si arricchirono approfittando della buona fede degli idealisti del pensiero libero in arbëreşë.
Se oggi dopo due secoli di fatti e cose, si allestiscono editi e ogni sorta di palcoscenico, specie se con la partecipazione e il contributo di luminari moderni, allo scopo di ricordare date, avvenimenti, uomini e “pubblicati editi carpiti”, non è giusto che vengano santificati e benedetti, solo i neri che tessevano trame colme di sangue fraterno, versato dentro furi i granai del regno per opera o per vendetta dei mandanti neri.
Su questi brevi accenni si potrebbero aprire discorsi e rivelare cose che lascerebbero basite le persone più perfide e sin anche il diavolo in persona.
Tuttavia qui si preferisce parlare delle cose buone, anzi accennare per certi versi cosa era è stato o hanno prodotto di buono le consuetudini degli arbëreşë.
L’istituzione nata per formare clerici di radice greco bizantina, i primi di cultura libera; il secondo nel periodo in cui Francesco alla guida si questo lo trasferì, da loco povero e malsano in un dominio di sole e vita, e nel viaggio proposto come gita scolare, si rese conto che mancava un elemento di unione tra l’altare della chiesa e il camino di casa.
Questo fu il motivo fondamentale per allargare il protocollo di formazione e, introdusse così nelle pieghe della formazione dell’istituto, come tessere trame e fare il costume di rappresentanza civile e clericale.
In altre parole cosa doveva mantenere alto il valore culturale degli Arbëreşë, che in un altro capitolo tratteremo con dovizia di particolari, per rendere chiari gli orizzonti di vestizione dei comunemente formati.
Il collegio per gli arbëreşë rappresenta un’isola culturale inesplorata, e tutto il suo valore ancora oggi e tutto incompreso e solo in parte lasciato trasparire dalla polvere che avvolge di giorno in giorno, quei documenti inediti che nessuno sa che esistono.
Ancora oggi è viva la favola, che notai avvocati e ogni sorta di bibliotecari del passato li abbia depositati negli archivi di altro loco e, qui non vi sia più nulla, ma il peccato più grave, lo commette chi non conosci la storia neanche in forma di favola, allora è palese il risultato a cui si ambisce specie per chi crede di poter sortire senza avere crusca, cure e orecchie per ascoltare in Arbëreşë.
Una raccomandazione per dovere di fila educata e rispetto, delle persone che diedero la vita al fine e per difendere questa storica istituzione: è preferibile prima parlare dei maestri e liberi pensatori, poi magare se ci sta un po di tempo nella pubblicità accennare anche, quanti hanno riferito cose che per gli arbëreşë che ancora oggi, restano e sono frasi o sostantivi e verbi incomprensibili.