NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Nella piccola comunità di Santa Sofia d’Epiro, piccolo Katundë della Regione storica Arbëreshë , l’11 luglio 1749 nacque Pasquale Baffa.
I genitori, Giovanni Andrea e Serafina Baffa, entrambi di origini arbëreshë vivevano nel modesto agglomerato edilizio posto a ridosso della confluenza del camminamento per l’ospizio e il palazzo arcivescovile.
Il cognome, in albanese significa fava, baf è uno di quelli associati alle famiglie più antiche del piccolo centro Arbëreshë.
Pasquale Baffa rappresenta l’insieme flessibile dell’ingegno ellenico, intriso della caparbietà tipica dell’indole calabrese.
Cresciuto sotto l’occhio vigile della mamma Serafina e dei gjitoni che assieme alla famiglia baffa dividevano il lavoro ed i pochi frutti delle terre sofiote.
Nei primi tempi della sua carriera scolastica fu posto alla guida e alla disciplina di uno zio paterno, dimostrandosi poco appassionato agli studi, fu questo il motivo per cui venne iscritto tra gli allievi laici del collegio italo-greco di S.B.U.
Il giovane Pasquale docile ed educato, incline a non subire soprusi e ingiustizie di alcuna sorta, nel corso di una lezione, rimproverato a torto dal suo maestro di greco, esternò le sue perplessità relativamente ad un brano tradotto, invece di avere elogi subì una strappata di orecchie, com’era in uso fare per punire gli allievi.
La reazione fu violenta e furiosa a tal punto che, la direzione del collegio ritenne opportuno di allontanato dall’istituto.
Dopo l’ingiusto episodio non si perse d’animo, continuò gli studi da privatista con tanta caparbietà e lucidità che a solo diciotto anni acquisì la maturità non solo per insegnare ma anche per divulgare nelle scuole del regno le opere di Platone.
Quando i gesuiti furono allontanati dal regno, il Baffa fu chiamato a insegnare il greco nelle scuole pubbliche Universitarie degli Studi di Salerno e di Avellino.
P.B. continuò a manifestare il grande ingegno pubblicando il 31 di luglio 1771 una lettera italiana indirizzata a quel grecista stimatissimo Bugliari, con il quale difendeva la pronuncia del greco moderno contro i seguaci di Erasmo Rotterdam.
Nell’esodo da Napoli a Salerno, il Baffa modificò il suo cognome in “Baffi” le versioni a riguardo sono più di una, a partire dalla più banale secondo cui si volesse nascondere dietro alla “I” per la nota negativa della espulsione dal Collegio Corsini.
Studi recenti svolti a Napoli, attribuisco la sostituzione della lettera finale a una attenta analisi nella traduzione del suo cognome, che aveva più attinenza nella forma plurale che singolare, ritenere che gli studi da lui intrapresi sulle origini del popolo albanese, avesse indotto l’illustre uomo di cultura, ad una traduzione più attenta del suo cognome.
A Salerno con le antiche scuole letterali perfeziona il suo lume, fatto di intelligenza che attingeva nelle lettre latine e greche, qui pone in essere il suo lume e per questo viene invitato ad affinare le lettere della scuola militare a quei tempi ancora a Portici peer quanto attiene il filone marittimo.
Giunge a Napoli nel 1773, chiamato a prestare la sua opera di professore nel nuovo convitto dell’Annunziatella, la cui apertura avvenne l’11 di novembre di quell’anno e, poiché non era ancora disponibile il convitto, fu ospitato negli alloggi del Salvatore.
Nella capitale partenopea spinto dai suoi ideali di libertà si iscrisse in una delle Logge di Liberi Muratori in Portici e trovato nella villa di proprietà di Niccolò Marselli sita nei pressi di Capodichino, durante una riunione, per una serie di strane coincidenze fu imprigionato il 2 di marzo 1776.
Il Baffi, passò così dal convitto alle carceri di castello dell’Ovo da cui fu scarcerato solamente il 1° di marzo 1777.
La pendenza legale nei suoi confronti ebbe soluzione solo il 28 di gennaio 1782 quando su proposta del ministro Bernardo Tanucci, che venne accolta dai sovrani, furono aboliti tutti quei giudizi a carico delle persone coinvolte nelle riunioni delle società segrete.
Amico del letterato calabrese Aracri, Grimaldi e con Pagano, il Baffi fu prescelto nel 1779 come socio dell’Accademia di scienze e belle lettere.
L’anno seguente vinse il concorso di lingua e letteratura greca di Napoli, che in quel tempo raccoglieva gli uomini come, il Conforti, il Cirillo, il Pagano, il Serio, il Bagno, il Caputo.
La sua fama fu tale che a Napoli non vi erano uomo di cultura che non si ricercasse a conoscerlo e ad ammirare di persona questo ellenista e filologo, così come fece nel 1781 il celebre Bandini, che gli rimase legato e continuò ad essere vicino alla sua famiglia e al figlio Michele.
Nel 1785, quando aveva il suo studio legale insieme col suo parente ed amico Angelo Masci fu chiamato a interpretare il processo fatto nel1548 della badia di San Pietro di Caserta.
Diventato il 3 di gennaio 1786 uno dei tre bibliotecari della Reale Accademia delle scienze e belle lettere, seppe distinguersi e redigere il catalogo oltre a mettere in sicurezza molti manoscritti che grazie alla sua lungimiranza non finirono in mano dei predatori napoleonici.
L’operato del baffi così fondamentale per la nascente Biblioteca Nazionale nulla ricorda il sacrificio e tutto quello che fece per essa.
B. assieme agli avvocati Pietro Battiloro e Angelo Masci, raggiunse una così grande fama nel campo della giurisprudenza che il loro studio legale era ambito da chiunque avesse giudizi in pendenze agrarie.
La sua fama di esperto nella lettura ed interpretazione di vecchi manoscritti fu tale che in ogni dove del regno era richiesto la sua presenza per tradurre e interpretare gli antichi reperti.
Per lo stesso motivo nel 1787 fu mandato in Catanzaro per interpretare le pergamene utili a formare il patrimonio della Cassa Sacra, e contemporaneamente mise in ordine gli archivi di Mileto e di San Domenico Soriano.
Tra i più preparati soci dell’Accademia, fu scelto per conservare e tradurre i papiri greci di Ercolano, in oltre tradusse e annotò un rarissimo codice della biblioteca degli Agostiniani di San Giovanni a Carbonara.
Il suo nome era già conosciuto in Europa e ne parlavano con lode il Lalande nel suo viaggio in Italia nel 1787, annotava come in questo tempo il Baffi si occupasse ai succitati lavori.
E con uguale lode ne parlarono Nicola Show, Arnoldo Haren, Federico Munter professore di teologia in Copenaghen, e Cristoforo Harles.
Lo scrittore Orloff, nel tomo secondo delle sue Memorie su Napoli, esprime nei confronti del baffi il seguente giudizio: C’etait peut étre le plus grand elleniste de l’Europe.
Nell’anno 1792 fu incaricato di interpretare trenta antiche pergamene della Magione in Palermo e visitare l’Archivio di Santo Stefano del Bosco facendolo trasportare dalla Calabria nel collegio del Salvatore per poterlo avere a disposizione.
Avendo guadagnato piena stima dai regnanti di quel tempo, fu grazie a lui che il 1 febbraio 1794 il re aderì al trasferimento del collegio Corsini, che dal baffi considerava unica isola per la formazione culturale di quelle terree, in modo che il presidio avesse una sede più adeguata di quella cadente di S.B.U.
A quei tempi alla guida del collegio era il Vescovo Francesco Bugliari suo parente, anche lui come il Bellusci a Napoli durante il periodo di studi aveva frequentato Pasquale Baffi condividendone gli ideali liberali.
La scelta meditata tra i due sofioti cadde sul presidio monastico di Sant’Adriano, allocato fisicamente a poco più di un chilometro da San Demetrio, ben più lontano per quanto atteneva invece agli ideali politici, culturali e sociali.
A tal proposito va sottolineato l’aiuto legale che il Baffi diede al Vescovo Bugliari per risolvere i tanti giudizi che i mezzadri della zona sollevavano contro il patrimonio del collegio.
Nel 1796 Pasquale Baffi giunto al colmo degli onori, scelto per dirigere gli uffici più ambiti dagli intellettuali e tenuto in considerazione dai più celebri filologi di Napoli e d’Europa, si unì in matrimonio nel Gennaio di quel anno con Teresa Caldora di nobile famiglia napoletana.
La sorella di lei, Apollonia legata al mondo culturale europeo, era così onorata e felice di tale matrimonio che inviò al cognato una lettera di cui si allega un breve brano:
E inesplicabile il contento chi provo del matrimonio che avete già stretto colla cara mia sorella Teresa …. io ben sapeva le doti che adornano la vostra persona, e perciò stimo assai fortunata mia sorella per questa sorte che ha ottenuta dal Cielo e voglio sperare che col suo virtuoso portamento sappia meritare la vostra affezione
Quando si avvicinarono gli albori della rivoluzione del 1799 la coppia aveva avuto già due figli Michele e Gabriella.
Nel dicembre del 1798 il Baffi venne chiamato ad essere il garante per gli acquisti librari per la biblioteca, mentre concludeva il catalogo della biblioteca.
Creata la repubblica in Napoli, fu uno dei rappresentanti del popolo ed eletto a preparare le nuove leggi e gli ordinamenti per la pubblica istruzione.
Ma una cosa è il pensiero politico, ben diverso e grave è prender parte a un governo come ministro.
Così quando le cose non presero la svolta che si era prevista, egli fu costretto a nascondersi e mettersi al sicuro in un paese nei dintorni di Capua, ma il desiderio di rivedere i suoi, tornò a Napoli, credendo che le tensioni si fossero affievolite; ma purtroppo così non era.
Il 30 di luglio, mentre si recava a casa del suo amico e parente Angelo Masci sicuro di poter riabbracciare la moglie, gli sbirri e i soldati lo arrestarono conducendolo nelle carceri.
In quel periodo la scure del carnefice abbracciando la bilancia della giustizia faceva terrorizzare e costernare tutta la popolazione del regno.
Il Baffi strappato dalle braccia di un padre, di una mamma, di una moglie, del suo bambino Michele e della sua bambina Gabriella, fece soffocare le sue lacrime all’interno del suo cuore e della sua anima.
Il suo credo religioso fu la sua forza che lo aiutò nel periodo della sua detenzione sin anche quando fu emanata la sua condanna e infondergli tanta energia tale da rifiutarsi alla viltà del suicidio, persuaso, che l’uomo in vita è paragonabile ad una sentinella e suicidarsi sarebbe stato come disertare i propri doveri.
L’11 Novembre verso le ore 17,12 accompagnato da otto coppie di soldati preceduti da un crocifero usci dal carcere e giunse in Piazza Mercato, con paziente cadenza, verso le ore 18.
La cronaca dell’esecuzione descritta nei libri della Compagnia racconta: Mori rassegnato al divino volere il paziente e si seppellì nella vicina chiesa.
Ma non fu così, perché quando fu assicurato al cappio, questo si sciolse ed il Baffi stramazzo giù dal patibolo, a questo punto il boia senza perdersi d’animo lo raggiunse ponendo fine in modo disumano alla vita dell’illustre e valoroso Sofiota.
Quel giorno a Pasquale Baffi fu aggiunto anche il titolo di martire, uomo eccelso di bassa statura fisica, viso bruno, occhi vispi ed intelligenti capace di disquisire in greco in tutte le inflessioni dialettali.
Un uomo intriso di solidi propositi senza particolari clamori, come dimostrò nel suo esilio del 1795, quando esternò una modestia senza pari e si vede chiaramente per le poche cose che inviò in stampa, preferendo aiutare e collaborare con altri, sicuro di far comunque bene con le sue immense fatiche senza mai pensare alla sua gloria.
Ci sono pochi uomini di tale indole e nessuno ad oggi è riuscito a seguire il suo esempio ereditato dai suoi antichi avi arbëreshë, abituati a vivere e prodigarsi per il berne della comunità cosi come è largamente enunciato nel libro degli albanesi.
A quel nome e al suo sacrificio furono dedicati, i versi dell’Iliade, decimo canto:
… animus fortis
In omnibus laboribus, amatque ipsum Pallas Minerva.