Categorized | Eventi, In Evidenza

NON È STATA APPOSTA UNA PIETRA ANGOLARE, MA LORO NON SAPEVANO COSA E COME FARE (jatroi pa motë ragu dialsitë llitirë)

Posted on 25 dicembre 2024 by admin

Pietra angolareNapoli (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – La frase “chi parte ricorda e conserva, chi rimane distrugge e rinnova” contrappone passato e presente, in tutto la memoria che produce cambiamento a dir poco anomalo.

Infatti evidenzia il valore di quanti lasciano il passato (coloro che “partono”) mantenendo vivo il ricordo, preservandolo, diversamente da (coloro che “restano”), confermando nelle varie epoche a venire la diversità quotidiana, che acconsente ad alcune strutture di immettersi nel processo evolutivo, declinando ogni tipo di tutela, resilienza, a scapito del protocollo identitario.

Esistono figure di eccellenza, i quali, pur se migrati dai paesi natii per acquisire o allargare la cultura, hanno mantenuto il cuore che pulsa con i ritmi, i ricordi e i primi pensieri solidali al proprio luogo natio e, poi pur se lontani compilavano cose secondo il bisogno di quei luoghi che per loro non sarebbero mai dovuti esse violati.

Tra i primi fu Pasquale Baffi, che da Terre di sofia attraverso, il buio Ullanese peregrino per Salerno e Avellino, poi richiesto a Portici,  preteso dalla regina a Napoli e, il letterato fu protagonista inarrivabile di tutta la cultura Arbëreşë, scritta, raccontata, cantata, comunque solidamente sostenuta e, chi volesse essere avvolto da notizie, deve solo attendere che cambiano i ritmi e i tempi di esternare cose blasfeme lungo le vie della credenza.

Dopo di lui vennero altri, ma oggi è in forte ascesa l’Immortale, che seguendo le stesse orme è in grado di formulare concetti e cose poco concepite dai comunemente, in tutto come fece P. Baffi a Napoli dal 1771 al 1799.

Diversamente da chi e restato in paese preferendo vivere di allori che certamente non possono essere considerati primi come il Baffi e l’Immortale moderno.

In altre parole, chi si distacca dal passato conserva la memoria e, chi rimane. vive il luogo imbrigliato dalle necessità del comune dire, affrontando sfide, non necessarie secondo un processo di rinnovamento e, spesso terminate prive di “velare identità e storia”.

Questo concetto potrebbe applicarsi a società, cultura, vita sociale, consuetudini, tutti allo stesso modo seguono il progresso senza la formazione culturale adeguata di solide radici, anche a costo di perdere la parti significative di ciò che sono stati luogo, natura, credenza e uomini, di un ben identificato ambito costruito, per essere vissuto progredendo.

Chi volesse aprire lumi o intraprendere percorsi storici, culturali linguistici, consuetudinari e il vernacolare del bisogno di tutti i paesi arbëreşë, deva avere prioritariamente, conoscenza e coscienza del parlato, l’ascolto e il pensiero primo in lingua antica, scartando a priori il moderno albanese, evitando di fare copia incolla o affermare da noi si dice così.

A tal proposito va ribadito che cogliere gli aspetti territoriali, inerenti; centro storico, centro antico, e tutti gli insiemi di iunctura familiare, compreso Gjitonie e la famiglia urbana moderna, non possono essere un tema di linguisti, e antropologi in cerca di un campanile da cui essere protagonisti.

Nemmeno serve comporre editi con atti notarili, ripetere capitoli, citare poesia, privi dei minimali aggettivi della complessità sostenibile delle fondamenta sociali, dei catasti onciari o realizzare vocabolari estesi e riversi della” Lingua Parlata in Arbëreşë”.

Si sentono parlare draghi, abbaiare cani, ululare lupi e topi che rosicano formaggio, ma nessuno di essi riesce a compilare cose relative ai trascorsi storici e, in specie, inquadrare le dinamiche sociali che hanno reso possibile il costruito di questo Katundë, dove è stato realizzato o, posto in essere, il miracolo sociale più solido e duraturo tra popoli all’interno del mediterraneo.

Ho visto avventurieri mediterranei e liberi pensatori locali, tutti figli, spose e madri della dalla politica o della filiera di prostrazione sociale, adoperarsi a fare i “teoreti” esternando concetti che nel migliore dei casi sono copiati senza alcuna consapevolezza di cose fatti e uomini, come “La Gjitonia come il vicinato” articolata pure o, estrazione di numerazione sequenziale catastale ripetuta nel moderno centro abitato.

Elogiare, al giorno d’oggi, esclusivamente antropologi per le pene culturali in cui vagano i cultori dei trascorsi Arbëreşë, è come incutere ancora pene e, solo quei pochi che hanno consapevolezza lucida della deriva in atto, conoscono persone fatti e cose che l’hanno determinata, prodotta e posta in essere la più moderna vergogna tra le pertinenze Arbëreşë.

Ascoltare concetti paralleli della “Storia de locativa arbëreşë” e non paragonarla alle vicende legate a Martirano e Martirano Lombardo, denota la volontà di velare penosi esiti che attendono il sorgere del sole e della luna come un tempo era, solo dopo il 2039.

Va comunque ribadito che tutto scaturisce, nell’aver ignorato costantemente per un ventennio, eventi geologici innescati, gli stessi che poi hanno determinano l’allerta abitativa.

Oggi, il non riconoscere in prima istanza le dinamiche che avevano innescato lo smottamento, ha potuto dare largo approdo alla nuova dislocazione di ogni cosa.

Qui venne fatto un gravissimo errore sociale che consiste nell’aver scisso attività di genio e cose sociali, separando attività di operosità e genio locale, come Bottari, Fabbri, Falegnami, Calzolai, Cantinieri e ogni sorta di attività, dell’insieme abitativo indispensabile a sostenere rapporti economici e sociali connessi agli indispensabili cunei agrari e della produzione locale.

Annullando o azzerando così, sin anche il governo delle donne, inteso come mero vicinato di una improbabile tribù della Calabria Citeriore, al pari di carovane in continuo pellegrinare nelle distese sahariane, che non usano coppi per ventilare coperture, ma carene rovesciate o tetti piani per raccogliere acqua; che per ironia è la stessa che qui abbondonata al suo fare, e per non essere controllata ha prodotto il danno, tradotto e imputato a un improbabile drago.

Dal 2011 al 2014 è stata chiesta l’operato dell’Immortale per la difesa di questa pena sociale, imposto alla comunità arbëreşë e non solo, ed è stato sempre lui e solo a, diffendere con ragioni storiche il cattivo operato degli addetti politi e non solo, in quanto fratrie e ogni sorta di gruppo che qui trovava interessi si è visto tremare, loro sì,  anche il terreno sotto le poltrone labilmente occupate.

Sin anche l’artefice politico primo dell’epoca, informato di quella conferenza di servizio del 2014 terminò di fare, dire e proporre nuovi centri abitati, come soluzione ideale a eventi sismici.

La morale di queste piccole ma sostanziali e veritiere note, vogliono ribadire, promuovere e sancire che se un paese va tutelato sia esso Katundë, Borgo; Civitas, Hora, Casale, Frazione o comunque gruppo di case che creano un continuo sociale secolare.

Non può essere sostituito estromettendo il tempo trascorso, con opere nuove senza alcuna attinenza o condannati a emigrare, perché i ricorsi storici non possono essere ricostruiti dalla tecnologia moderne e neanche con gli strumenti che può fornire la globalizzazione, perché per quanto attuale, non ha forza per sostenere il valore di un luogo specifico, specie se fatto dagli Arbëreşë.

Mi sembra ieri che una collega, voleva passare da Napoli per condurre l’Immortale nella piana inesistente, e spiegare il senso di Gjitonia, naturalmente l’immortale, fu solidamente deciso ad evitare quel viaggio di pena, dato che chiestole se conoscesse il parlare e l’ascoltare in Arbëreşë e, la sua perplessità palesata appena fatta la domanda, sottolineava, il principio che le genti sono tutte uguali: si è vere ma davanti a Dio non per la Storia, rispose l’Immortale.

La stessa che nelle numerose conferenze di servizio allestite per la V.I.A. (Valutazione di Impatto Ambientale) le stesse istituzioni non la ritenevano in grado di sedere al tavolo, dove l’immortale sedevo di diritto.

In oltre va rilevato che il prodotto finito non risponde a radici storiche del modello vernacolare o architettura del bisogno sviluppatosi dal XV secolo, in Katundì, Moticèllethë, Sheshi, Brègù e Nxertathë, quest’ultima mai osservata per il nome di allerta, che titolava.

Tuttavia il nuovo Paese con le Gjitonie, che “non è Katundë”, segue le linee generali o esigenze del periodo post industriale, quando “l’architettura razionale”, costruiva complessi residenziali, al solo fine di offrire un dormitorio a quanti dovevano mantenere viva w solidale l’industria in crescita e, la forza lavoro doveva risiedere nelle immediate vicinanze per non dismettere il ciclo produttivo.

Il progetto di rinnovamento della piana scomparsa, è stata cattivamente interpretata, non essendoci come radice storica del progetto in tutte le fasi legali e professionali, un foglio, un rigo una sillaba, finalizzata alla ricerca storica.

Considerando il sito, a modo o ragioni estetiche secondo le teorie del Lombroso, per questo si è terminato con il protocollo de locativo, ripetendo anche qui le vicende che nel meridione hanno fatto storia, “avendo cura tutti i protagonisti”, meno l’immortale, di non citare gli accadimenti di Martirano del 1905 quando la popolazione dopo numerose promesse e vicissitudini nel nuovo sito denominato Lombardo, tornò a risiedere nel centro antico originario.

Se la “piana scomparsa”, nei secoli doveva essere nel breve termine seguita dalla montagna,” come i vertici della geologia di stato anticipavano”, perché costruire un nuovo paese nel posto “meno pericoloso” e, quindi sempre in pericolo si disponeva la popolazione e il loro industriale genio?

E se il fine era di non destabilizzare il precario equilibrio geologico di faglia antica, perché aggiungere al profilo della “Dea dormiente sulla Mula”, pale eoliche, il cui effetto non sono stato ritenuti al pari di venticinque case in frana oltretutto innescata dall’incuria?

Questa a parere dell’immortale, è una storia nata male allestita peggio e ancora oggi vede i suoi abitanti in cerca di agio, condannati a pena perenne, lungo una deriva che non dovrà mai più ripetersi, né per nessun gruppo o etnia dirsi voglia e né per altre circostanze di agio politico.

Questa esperienza, più è resa nota, meno si comprendono le ragioni veritiere e, con lo scorrere del tempo, le stesse sempre più velate, poco chiare, per il dato che, parlano i meno titolati.

E per evitare che questa brutta deriva sia scambiato per un abbraccio sociale benevolo o caritatevole, è opportuno rendere noti tutti gli avvenimenti, niente e escluso, affinché la vicenda avuto germoglio e luogo diventi utile per quanti in questa era di globalizzazione moderna, immagina di rispondere a ogni emergenza, con i ferri che fanno l’intreccio anomalo del “dualismo politico o le ideologie di est e di ovest”, che non hanno mai fatto gli interessi della “Europa Antica”, che resta ed è il centro solido del mondo intero.

Oggi alla Regione Storica Diffusa e Sostenuta in Arbëreşë, non servono sortite di nuova carriera di lode accademica, ma figure di eccellenza come: Pasquale Baffi, il prelato e i Vescovi Bugliari, i Fratelli Giura, i Fratelli Torelli. Crispi e l’Immortale; tutto il resto è solo una scia di noia ripetuta riversa, che non dara mai chiaro o limpido nettare. 

Comments are closed.

Advertise Here
Advertise Here

NOI ARBËRESHË




ARBËRESHË E FACEBOOK




ARBËRESHË




error: Content is protected !!