NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Gli oltre cento e più Katundë che danno forma e vita alla Regione Storica Diffusa degli Arbëreshë, nel corso della storia per le innate doti di caparbietà della minoranza, ha superato ogni tipo di avversità sino ad oggi.
Prima per difendere l’Impero Romano, con capitale Costantinopoli, poi i Dogi di Venezia, in seguito la stessa patria dagli invasori ottomani, da cui si dovettero allontanare, per tutelare le fondamentali radici identitarie, senza mai smettere di affrontare altre chine da togliere il respiro.
Vero è che giunti nelle terre simili a quelle di originarie dovettero confrontarsi con gli indigeni e le credenze locali, superando non pochi attiri, non solo con gli uomini ma anche, con la natura in forma di terremoti, carestie, siccità e pandemie, segnandoli ed offrendo loro, non pochi patimenti.
Gli Arbëri in oltre, si adoperarono e presero parte a tutti i movimenti di libertà, compresa l’unità della nascente Italia e le guerre che la segnarono all’inizio del secolo scorso.
Arrivarono agli anni settanta, le direttive per la tutela delle diversità culturali, prima della nascente Europa terminò con la legge 482/99 della Costituzione Italiana.
Nei primi anni del 2000 si diede avvio a tutto tondo, ad attività che avrebbero dovuto tutelare, attingendo risorse e direttive, secondo quanto sancito dall’art. tre e sei della costituzione, per la tutela della lingua Albanese, ripeto Albanese.
La legge sancisce testualmente che:” la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni Albanesi, Catalane, Germaniche, Greche, Slovene e Croate e di quelle parlanti il Francese, il franco-provenzale, il Friulano, il Ladino, l’Occitano e il Sardo”.
La legge 482/99 “tutela la lingua Albanese”, perdonate la precisazione che a questo punto è d’obbligo, cosa centra la lingua Albanese, se essa è una forma moderna dell’antico ceppo, infatti, la lingua che i Katundë della Regione Storica, diffusamente usano dal XVI secolo, con il moderno Skipë, fatto d’inflessione, credenze, metrica e comportamento, “non ha nulla da condividere se non pochi sostantivi di radice”.
Chi ha scritto, la legge 482/99, perché non si è adoperato nell’allargare la prospettiva, anche, a quanto sancito nell’articolo nove della Costituzione Italiana, per dare completezza e cosa più urgente, sostituire la parola Albanese con Arbër, offrendo più forza e chiarezza applicativa alla legge di prima e di quella che deve venire, che tutelerebbe gli Arbër, il Paesaggio e le Cose, invece di tutelare la lingua moderna di un’Altro stato?.
Alla luce dei fatti citati, dai primi anni del secolo appena iniziato e sempre con più frammentazione ha visto incunearsi, la lingua albanese moderna, negli ambiti minoritari che con irruenza e se dalla vigilia del regime di 482 avevano risposto alle avversità chiudendo porte, finestre e persino i sottoscala dove stavano le copre, da allora in poi tutto è cambiato.
Oggi ormai sono pochi cultori ad essere emarginati da cantanti, ballerine e ogni sorta di attivista irrispettoso del disciplinare, che se da un lato allieta gli ignari osservatori della storia, dall’altra semina sulle pietre i pochi germogli rimasti della nostra storia.
Ormai le sfilate di deputati ed esperti che giungono in regione storica, hanno preso il sopravvento e si contano senza misura, tutti con rituali imperterriti non lasciano neanche il tempo che trovano, ma distruggono le poche cose rimaste.
Per questo si potrebbe affermare che la Regione Storica Diffusa degli Arbëreshë, per lo stato Albanese è paragonabile a un possedimento in terra italiana, per questo, deve essere marcato con le statue dell’ eroe Albanese, anche se a ben vedere, noi siamo e saremo sempre Italiani.
Se questi signori che giungono bellicosi come i re vagano per le loro terre, è opportuno che prendano consapevolezza che devono essere rispettosi dello stato Italiano e meno arroganti verso gli arbëreshë, a cui devono volgere lo sguardo con rispetto e devozione, in quanto rappresentano i tutori della radice identitaria delle terre poste Albania.
All’interno della regione storica non si va poi cosi leggeri, anzi direi sul pesante perche la storia è diventato un arnese complementare, alle disponibilità di pochi illuminati o prescelti, giacche, si organizzano symposium immaginando che tutto sia eccellenza Arbër, poi quando si aprono i fascicoli, per annunciare, si rivelano neri quelli che dovevano essere eccellenza, quindi, per evitare magre figure, si affiancano eccellenze che invece di essere di contorno, diventano il riferimento solido, ma ormai è troppo tardi la nera, mera e magra figura è passata.
Capita sin anche di tornare sui propri passi, ritenendo di aver sbagliato e aver raccontato eresie, esagerando impropriamente a una tipologia additiva a un’epoca di costruzione impropria, ma questo non toglie l’onta di mentire, raccontando per anni cose che non sono state mai un riferimento storico costruttivo per gli arbër, se non opere abusive del secolo scorso.
Questo calderone culturale, dove musica, cultura, costumi, architettura, vita sociale e storia, induce tutti a parlare di ogni cosa senza consapevolezza alcuna; il fenomeno ha raggiunto livelli insopportabili sin anche per la tempra indeformabile degli Arbër, noti per assorbire ogni forma di sopruso.
Se si volesse disegnare uno scenario di cosa sono oggi gli Arbër, lo si potrebbe paragonare a un albero che ha foglie e frutti senza eguali, ritenendo che tutto questo è opera del fusto che le mantiene in piedi e non delle sane radici che dalla terra estraggono e filtrano, le cose che poi per il sistema di trasporto e confronto con l’ambiente naturale restituisce eccellenze.
Sino a Quando non si da vita e forma a un gruppo di lavoro multidisciplinare, che non miri al mero concetto di lingua altra, o finire sotto i riflettori per diventare altri, ma a dell’insieme del genio importato dalle terre di radice, tutto terminerà in un nulla di fatto.
Notoriamente prima si definiscono i traguardi bisogna tracciare sulla carta le arche dell’antichità, studiando e analizzando le cose e i processi sociali che sono esclusiva della minoranza; solo dopo di ciò dare seguito a preventivo di spesa e al progetto possibile.
Continue vicende negative accompagnano la storia degli arbër, esse non devono essere intese come un caso fortuito; molto probabilmente sono le ire di Zeus, giacché Giorgio Castriota imprudentemente ne ha voluto assume irrispettosamente le sembianze, e tutto si potrà placare, se si adoperano le dovute misure di penitenza, recandosi in rigorosa penitenza dove tutto ebbe inizio con l’ordine del drago e non della capra che apparteneva ad altri.