NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – La carierà universitaria iniziata a Reggio Calabria nel 1975, perché era rimasta solo l’ultima risorsa di casa, a cui si diede seguito poi a Napoli dal 18 gennai del 1977.
E siccome discepolo, diversamente abile, dai due precedenti, l’unica risorsa dell’incancellabile orgoglio materno, quindi, alternativa a un titolo mai mira completa che non si fosse risolta in mercatale soluzione e, dal tramonto del sole il 17 e il sorgere del 18 di gennaio ebbe a germogliare senza veti e impedimenti, questa risorsa familiare, sino ad allora calpestata perché diversa.
Il quadro che venne a delinearsi, con il passare degli anni, non poteva essere di certo considerato un accadimento casuale, e rendere solidali i trascorsi storici di tutti gli Arbëreşë, con lo stupore e la disapprovazione, dei germanici figuranti, finiti a fare mercato.
Furono nel corso dei decenni, numerosi gli avventori che si negavano, per supponenza di una formazione che non avevano e, negavano risposta, celandosi dietro le vestizioni di genere ignoto, le stesse che poi ebbro a smarrirsi per atti di vergogna e, nudità pubblica largamente riconosciute.
Le risposte della Piazza intitolata ad Attanasio e, il 18 gennaio intitolato al vescovo, minore del Patriarca Atanasio, è stato il tempo a renderlo più limpido e chiaro, non certo opera di cattedratici, affrancati per paternità incerta, in quel promontorio che rappresenta la pena degli Arbëreşë.
Di contro la memoria del luogo Piazza, naturale memoria toponomastica, a cui gli esperti che la definirono nel 1929, appellarono lo spazio antistante la chiesa ricordando il Vescovo; e il sacro involucro di devozione al Patriarca, come riportato e inciso su pietra partenopea.
Da allora ogni spunto, ogni citazione è stata debitamente analizzata, non con soliti docenti senza titolo di carriera, come di sovente avviene per antropologia e lingua, ma titolati largamente riconosciuti dalla cultura Olivetara, quella che conta e, rende la storia solido racconto inviolabile.
Qui non si vuole riferire certamente a quella storia che poi abbisogna delle diplomatiche per essere corretta, al pari delle citazioni scritte che sono utilizzate per l’innesco del camino, dove con il fumo non si riscalda l’animo di niente e di nessuno.
Le due date iniziatiche 17- 18, rappresentano la Radice di un itinerario di studio, che non ha eguali e nessun dipartimento istituto o istitutore potrà mai eguagliare, utilizzando il principio di fare e distribuire fotocopie.
Nel corso della ricerca, del prescelto, ogni luogo, figura, fato, cosa o parola è stato analizzato con parsimonia, garbo e debita formazione, avendo alla base un impareggiabile e irraggiungibile ascolto del parlato in Arbëreşë.
Il tutto mirato a rendere eccellenza e, non certo parimente alle direttive dei “Viandante Dipartimentale”, più volte accolto perché forma incerta di cattedratico e, non si comprende come potevano fare cultura se non conoscevano e non conoscono il Parlato e l’Ascoltare Arbëreşë, figuriamoci la storia di un continente.
Se ancora nel 2003, Pasquale Baffi, Luigi, Giura, Pasquale Scura, Vincenzo Torelli e i Vescovi Bugliari, non erano considerate eccellenze Arbëreşë, perché non avevano scritto e prodotto citazioni alfabetari; questo dato fornisce la misura della povertà culturale, a detta di quanti dovevano essere primi, evidenzia il velo di pena culturale, che seguivano i dipartimenti e i preposti, di allora come quelli di oggi che fanno ancora molto ma molto peggio.
Tuttavia divenuto prescelto “l’Olivetaro maestro Prescelto”, il resto, poi è venuto a galla e, non siano state poche le manchevolezze a dir poco elementari se non in alcuni casi volgari, prive di ogni sorta culturale.
Oggi e dopo decenni di studio, pur essendo approdato negli abbracci più solidi e materni del mediterraneo culturale Arbëreşë, restano vive le inquietudini di quanti non hanno saputo approfondire e fare ricerca come ebbe fare: Pasquale Baffi, Luigi, Giura, Pasquale Scura, Vincenzo Torelli, i Vescovi Bugliari e, il fare polemica e denigrazione culturale verso chi è troppo alto per essere compreso, per cui si evidenzia solamente la deriva alla portata dei comuni viandanti economico e culturali, dirsi voglia.
Il saper rilevare ascoltare apprendere per disegnare, cose, natura, fatti e uomini, è l’unico esperimento in grado di dare specie al valore di integrazione più solido del Mediterraneo, ovvero comprendere ed esporre tutte le cose che hanno reso possibile, “la Regione Storica Diffusa e Sostenuta dagli Arbëreşë”.
Questo ormai è un dato inattaccabile e, non certo opera di istituzioni o istituti con titoli non di scopo, infatti non è il titolo che fa formazione Arbëreşë, ma il naturale evolversi del, mestiere dell’ascolto, che non è di arte, ma educazione e silenzio ascolto, ad opera di quanti sanno fissare le cose indispensabili e fondamentali da tramandare.
Conferma ci viene espressa dalla più alta figura intellettuale che gli arbëreşë abbiano maia avuto, ovvero:” Pasquale Baffi”, il quale pur avendo strumenti idonei per poterlo fare e dire la sua, si è limitato a comparare frammenti linguistici per segnare la storia di questo popolo, avendo cura a mai descrivere o comporre editi senza alcun fondamento alfabetario scritto.
Rispettando questo antico codice, che non è annotato in carte o editi, ma conservato gelosamente nel cuore e nella mente di ogni nuova generazione Arbëreşë.
Naturalmente quando si riferisce dell’educazione e l’ascolto di memoria, si vuole mettere in luce, il saper distinguere le cose buone dalle meno buone e saper distinguere cosa sia utile per il buon esito di una vita di sacrifici immani.
Allo scopo è opportuno precisare che capita spesso di ricevere cattivi consigli, come quelli del 21 Agosto del 1987, alle ore 21.15, davanti al palazzo di Atanasio, dove gli si consigliava di lasciare la via dritta Olivetara, suggerendogli o meglio imposto dal germano fallito, che preferì la via del mercato, diventata poi vergogna per lui e spunto d’invidia verso l’Olivetaro.
Seguirono 18 anni di Sacrificio, ma la mira non venne mai abbandonato e il giorno prima di mezzo secolo la corona ebbe modo di essere esposta, senza che nessuno ne avesse avuto merito, esclusi l’Olivetaro e dei suoi due familiari stretti, che non lo abbandonarono mai.
Inizia così una scalata di studio senza precedenti in ambito Arbëreşë, che nessuno per i secoli a venire e non porta mai essere eguagliare tutto questo che ha avuto luogo non certo per meriti o volontà locali dove dal primo figurante a finire all’ultimo clerico, hanno sempre steso veli pietosi all’avanzare della cultura dell’Olivetaro.
La stessa che oggi solidamente, possiede elementi e principi mai raggiunti da alcuna figura di cultura alfabetica scritta, specie di quanti continuano con le loro pene di trascrizione mussulmana a, cercare di rendere la regione storica, una provincia indegna della odierna insula mediterranea in pena culturale e politica.
“Quando ho imparato ad ascoltare in Arbëreşë è nato il mio primo amore e l’ascolto divenne il mio futuro perché so ascoltare il passato. Vivere senza ascolto è impossibile, in questo mondo colmo di incertezze, perché l’ascolto sostiene il futuro, perché ascolto è la voce del passato”.