NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Quando si affronta un tema così delicato e “profondo”, come la radice dell’identità di un determinato popolo, bisogna essere opportunamente formati e avere, un bagaglio di ricerca acquisito a seguito di un caparbio percorso di ricerca.
In tutto, esperienza storica supportata con titoli e dati dati, la cui trattazione è professionalmente rilevata, sia nell’ambiente naturale e sia in quello del costruito, nei tempi e nei modi dei protocolli che garantiscono il giusto prosegui di quanto posta a dimora.
Non basta vestire colori variopinti in forma idiomatica, stringendo comunemente per mano, laceri volumi trovati in archivi e biblioteche, per ritenersi capaci di selezionare l’humus ideale, perché così saccenti, non si offre alle radici trapiantate nei paralleli luoghi, la giusta ossigenazione, producendo pena culturale, per i futuri germogli.
Operare o delineare la storia di minoranze storiche, si deve conoscere passato, presente per essere in grado di proiettare nel futuro le reali necessità di tutela, dei parallelismi mediterranei posti tra il 18etismo e il 42esimo parallelo, fascia in cui la radice riconosce diffusamente il suo ambiente naturale,basta solo risalire la china collinare; non serve altro specie i noti e ripetuti adempimenti sterili in forma culturale, come da diversi decenni operano, verso la sostenibilità fuori terra, della radice arbëreshë.
Per questo motivo è giunto il tempo di iniziare a dare significato alla storia degli arbëreshë, dai tempi in cui errano appellati Arbanon o Arbëri, dalla radice pura della, famiglia allargata Kanuniana, vera è unica risorsa organizzativa, consuetudinaria, in senso di scuola di tradizioni, valori, rispetto mai tanto solidi e radicati in altri popoli del mediterraneo.
La loro notorietà germoglia quando l’impero romano era tanto esteso che la capitale fu trasferita a Costantinopoli e l’impero per difendere i suoi confini inventò i famosi gruppi militari di frontiere, tra cui brillarono nelle aree balcaniche gli Stradioti, “Soldato Contadino”.
Sono loro organizzati secondo il modello di famiglia allargata Arbanon che diventano esempio di garanzina di confine, autonomamente sostenibili e nello stesso tempo garantire remunerazioni annuali al governo centrale.
Essi rispondevano oltre modo a due domande; la prima alla sostenibilità del gruppo familiare rendendo fertili i terreni a loro disposizione; oltre a garantire una figura all’esercito di frontiera, adeguatamente formato, armato e agile cavaliere.
Sono questi uomini che ben presto renderanno famosi gli arbëreshë, nelle strategie militari, specie a seguito della battaglia dei merli, nell’odierno Kosovo.
A seguito di questa storica battaglia fece seguito, dopo qualche anno, la stipula dell’Ordine del Drago, un patto di mutuo soccorso per quanti non potendo, da soli, battersi contro le soverchianti forze militari turche, la cui finalità mirava a ricattare i principi Arbanon, sottraendo la discendenza maschile, per terminare la conquista, senza incutere distruzioni radicali al territorio.
Tra questi faceva parte anche il principe Giovanni Castriota, cui sostrati i quattro figli subì l’inesorabile ricatto, sino a che, Giorgio, in più piccolo dei figli diverrà, dopo una lunga serie di avvenimenti, una spina nel fianco dei turchi.
La sua strategia di conservazione, conoscendo la potenza di fuoco dei turchi lo fece diventare l’ago della bilancia che intensificò l’esodo degli esuli albanesi nelle terre parallele del meridione, da un lato; e dall’altro dispose strategie per non sgretolare le terre degli storici governatorati.
L’esodo sempre stato florido dalle terre dei Balcani verso l’adriatico, vide prima Venezia protagonista , dove la richiesta in garzoni di bottega a riscatto vedeva preferire gli arbanon per il forte attaccamento ai patti stabiliti; poi in seguito nelle coste delle Marche come bonificatori eccellenti per porre a dimora il trittico mediterraneo, che ancora oggi caratterizza quelle colline.
Tuttavia, Giorgio Castriota, volgarmente denominato Scanderbeg (*), dalla battaglia di Terra Strutta nei pressi di Greci (AV) e le innumerevoli partecipazioni dirette e indirette a favore dei casati Aragonesi, gli stessi facente parte del patto di mutuo soccorso dell’Ordine del Drago, divenne lo stratega che disegnò le arche di allocamento che diedero modo di occupare agli arbëreshë, secondo un progetto strategico studiato a tavolino, quando a Napoli fu ospite del re Aragonese.
Se escludiamo alcuni aiuti militari che i principi albanesi offrirono ai regnanti del meridione, al papato, a Venezia e le restanti insule bizantine, il vero esodo degli Arbanon verso il meridione, dal 18etismo e il 42esimo parallelo, iniziato dopo la battaglia di Terra Strutta, intensificandosi dopo la morte dell’eroe Giorgio Castriota, nelle odierne sete regioni meridionali, secondo arche facente parte di una strategia di controllo a favore sempre degli aragonesi, poi dismessa, escludendo qualche eccezione, solo dopo l’Unità d’Italia.
La stessa strategia che vede accolta a Napoli nel 1469 la moglie dell’eroe Arbanon e dopo qualche decenni grazie alle direttive degli esuli insediati, porre fine alla congiura dei baroni di simpatia francofona.
Questa ultima nota è la conferma che i cento e nove paesi che si andavano innalzando, sarebbero stati una garanzia in forma militare e rimanere viva secondo il modello consuetudinari originale, una forza che radicava la sua difesa nella lingua parlata non scritta, impenetrabile e un credo religioso in linea, per discendenza, a quello di Roma.
“Sono trascorsi i venti minuti, si continua nel prossimo intervento”.