NAPOLI – (di Atanasio Pizzi Basile) – Santa Sofia d’Epiro è un centro abitato della provincia di Cosenza, quest’ultima un tempo identificata come Calabria citeriore.
Il Katundë di origini Arbër, nasce tra le colline della Sila Greca, che guardano lo Jonio, coronato dalla storica piana della Sibaritide.
La fondazione del piccolo agglomerato urbano è largamente anteriore alla venuta degli Albanesi o a quella ancor prima, della schiera di soldati greci di fede bizantina insediatisi nell’869.
A tal proposito va rilevato la vara origine del sito, risalente alla fine del VI secolo a.C., in rapida successione alla nascita di Sibari e del relativo sistema difensivo/produttivo, infatti la piana prospiciente il mare, dove Sibari venne edificata, era coronata verso l’entroterra, da una strategica cerchia di castelli a guardia dei valichi fluviali, che sfociavano prima alle spalle del sito della Magna Grecia e poi a mare.
Tuttavia e nonostante ciò si far risalire il centro abitato, quale opera di un gruppi di soldati disposti a difesa della linea del fiume Crati, insediatisi lungo le colline dalla linea Rossano, Bisignano e Cosenza, per contrapposti ai Longobardi.
I soldati bizantini, trovavano sicurezza allocando i loro stati maggiore più verso monte, per non essere facilmente esposti agli avversari sul fronte più a valle e subire gli effetti dalle Anofele, che nella media e lunga permanenza diventavano letali.
Il Centro abitato in origine composto dalla chiesa e rudimentali abitazioni, nominato Santa Sofia, a memoria della chiesa madre di Costantinopoli da cui partivano gli impulsi di credenza.
Dopo un iniziale sviluppo e accrescimento demografico, la piccola comunità subì le pestilenze e i travagli dell’epoca, di cui le cronache della Calabria citeriore del XIV sc. riferiscono numerosi dettagli ancora leggibili in loco.
I territori rimasero sottoposti a un rilevante calo demografico e conseguentemente economico, innescarono processi negativi per le casse dei nobili locali, che dovevano rispondere al governo centrale.
L’alternativa per porre rimedio a questo stato di povertà territoriale diffusa, la fornirono le migrazioni dai Balcani e le vicende della nascente diaspora arbanon, che dal 1468, questa popolazione per seguire la vedova di Giorgio Castriota, a frotte, sbarcarono nelle coste del regno di Napoli e di più nella Sibaritide.
Il Mons. Giovanni Frangipani, vescovo di Bisignano, favorì per questo l’insediamento di profughi provenienti dall’Epiro, noti per essere fedeli lavoranti e luminari nell’arte di predisporre il noto e famoso trittico, alimentare mediterraneo.
La storia del Katundë Sofiota, è costernata da atti, attività, cose e figure la cui meta principale mirava alla tutela e la valorizzazione della lingua, le consuetudini, i costumi e il rito Greco/Bizantino, per i quali e con i quali, Santa Sofia d’Epiro si è meritato l’appellativo di “Scuola”.
I primi adempimenti dei suoi residenti, in poco tempo integratisi con le genti indigene, hanno definito gli spazi dei quattro rioni tipici, il riconoscimento dei gruppi familiari allargati e la definizione del loco dei cinque sensi: la Gjitonia, elevando così il costruito dell’originario “centro antico” come quello della terra di origine.
Per giungere a ciò, non sono mancate le avvertita sia naturali e sia innescate dall’uomo, tuttavia, la caparbia e la tenacia che distingue questo popolo, ha fatto si che dal XVII al XVIII secolo, poterono intraprendere la via della cultura e della formazione, grazie al prelato Giuseppe Bugliaro, che per le sue attività religiose all’interno della Real Macedone nella Napoli Onciaria, accolse le menti più eccelse, suoi conterranei, per avviare il percorso culturale, che la storia definisce senza eguali.
Sono sempre figure Sofiote a innalzare il valore culturale dello storico collegio Corsini, deponendolo contro numerosi avversari, nella sede più strategica a san Demetrio corone nel Collegio di Sant’Adriano.
È sempre Giuseppe Bugliari, ma questa volta un Vescovo di altra epoca, dopo oltre un secolo, ovvero alla fine del XIX, ad evitare, grazia alla sua sapienza, che tutte le attività e le conquiste ottenute dagli arbër andassero smarrite, senza poter avere una via di proseguimento.
Il centro storico del paese arbër, oggi segna lo scorrere del tempo lungo e del tempo corto, tramandando numerose tradizioni, civili e religiose; come ad esempio la grande festa dedicata a Sant’Atanasio il Grande, patrono del Katundë Arbër, i cui festeggiamenti, iniziano il 23 aprile e raggiungono il culmine, il due di Maggio, terminano la seconda domenica di maggio, con uno degli eventi più emblematici della coesione tra civiltà dell’era moderna, ovvero: la primavera Italo Albanese.
Momento di unione degli Arbër con gli indigeni locali, tutto legato a messaggi di buon auspicio e fraterna condivisione, cui Sofioti vicini e lontani credono, ricordano e partecipano con devote convinzione di cuore e mente.
Tutti uniti in processione, l’accorata filiera identitaria, la stessa dagli anni sessanta del secolo scorso, ad oggi non trova confini, segnando avvenimenti con i coloratissimo palloni aerostatici, gli stessi che ogni sofista, nel periodo di festa, sia esso vicino o lontano aiutato dalla memoria storica rivive gli epici momenti di unione cristiana e sociale, cantando coralmente: Dita Jote.