NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – La straordinaria quantità di nuclei urbani presenti nel territorio dell’Italia collinare, obbliga a riservare molta attenzione nel tentare una qualsiasi definizione per identificare i detti ‘centri storici minori’.
Anzi è bene ribadire che il termine utilizzato dagli urbanisti, è considerato come certezza di tipologia, raffinata integrazione tra ambiente naturale e arte locale degli uomini.
Sul termine minore, non deve costituire aprioristicamente un parametro qualitativo, perché l’aggettivo, fa riferimento a un sistema costruito non nel tempo di una stagione, come avviene per l’architettura tutelata, ma sovrapponendo ere, esigenze e patimenti, per questo uno dei patrimoni più diffusi e caratterizzanti una ben identificata area mediterranea.
Centri storici minori sono la memoria diffusa di più epoche e per questo bisogna prestare molta attenzione nel considerarli di seconda categoria e magari ritenersi liberi nel definirli comunemente come Borghi.
L’Architettura dei piccoli centri minore è l’insieme di manufatti che definiscono l’ambiente costruito, accogliendo nel corso della storia, elementi architettonici sovrapposti secondo le necessità dell’economia popolare dall’alba del rinascimento.
In sostanza essi non sono altro che l’espressione delle tecniche di edificazione locale, gli elementi e i materiali tipici, gli schemi distributivi dell’edilizia, prima rurale poi urbana residenziale e in fine nobiliare, ossia le tradizioni costruttive in consolidato equilibrio rispetto alle condizioni dei luoghi e sempre rispettosi dell’esigenze di umini e ambiente.
Essa rappresenta il sunto delle condizioni economiche, il susseguirsi della formazioni delle classi sociali.
Nel corso dell’ultimo ventennio in ogni latitudine meridionale e in specie nella regione storica, è fiorito un nutrito numero di studi intorno al plurisecolare cammino della minoranza e non solo, i cui riferiti hanno avuto come argomento i centri storici minori e gli accadimenti di crescita sino i giorni nostri.
Il risultato finale di questa fioritura, che avrebbe più senso identificare Xylella, giacché la natura e la formazione degli autori, non avendo alcuna cultura in fioriture, produce un danno pari al noto sterminio degli uliveti pugliesi.
Le nozioni attinte dalle fonti più disparate e senza alcuna capacità di lettura e confronto con il territorio, ha seguito la via dei noti stregoni locali, per continuare, il componimento, con una forma di autorevolezza archivistica di ogni dove, per poi terminare con considerazioni storiche urbanistiche e architettoniche, addirittura strutturali, a dir poco infantili.
Tutto ciò avendo ben cura nel disertare le letture dei testi di cui il meridione è ricco o quelli storici che forniscono una solida traccia di base, da cui elevare gli eventuali progetti di studio; lo stato di cose ha innescato processi per i quali, a vario titolo sono apparsi alla ribalta fatti e conclusioni, la maggior parte dovute ad temi, dilettantistici.
Di essi fanno parte, generalmente figure che raggiunta l’età della pensione o addetti che trovandosi di fronte un qualsiasi documento, si elevano a ricercatori, che, presi d’amore per il natio loco, producono, testi a dir poco acerbi anzi innaturali o immaturi per l’ambito descritto.
Sono essi i cosiddetti “scrittori locali”, che trattano le vicende del proprio “borgo” (e già fanno il primo errore con questo appellativo) dal lato prettamente municipalistico, o per meglio dire di Baskia, occupandosi in genere esclusivamente del tema locale, dissociato, distaccato e disconnesso con la storia del comprensorio di cui il centro è parte.
Spesso tali lavori sono approntati da persone con il “pallino” della storia e, di pari passo con l’usuale lavoro, svolgono questa attività senza alcun confronto con gli specialisti locali o di quelle determinate discipline, che non fanno parte del loro percorso curricolare, che in molti casi è ignoto.
Costoro, potrebbero essere definiti come gli storici dell’alchimia locale, sono per questo da considerare pericolosi rispetto lo storico professionista, soprattutto perché offrono loro notizie forviati, in quanto lette e interpretate senza alcuna capacità di confronto con il territorio e gli specialisti locali, che dovrebbero iniziare a rispettare e riverire.
Tanti prodotti, anzi direi pericolosamente troppi prodotti editoriali, sono spesso infarciti di grossolani errori e i loro autori seguono fedelmente quanto ammannito dagli antichi scrittori, specie quelli estrazione professione avrebbero dovuto redimere le anime, questi sono poi proprio coloro che accoglievano ogni bubbola come fosse oro colato, diffondendole nei loro comizi domenicali .
Ben più grave a tal proposito è la posizione degli istituti di cultura che avrebbero dovuto vigilare, e invece accolgono e spalleggiano tali prodotti con sorrisi ironici, che se da un lato si illudono di garantire la superiorità intellettuale dell’istituto, dall’altro lasciano diffondere eresie ed imprecisioni, che a breve richiederanno l’indispensabile apporto di veri esperti, per differenziare la storia con le innumerevoli ilarità
La presente indagine, che studia tale produzione, vuol lanciare un grido di allarme e di dolore, affinché tale stillicidio della storia, le eccellenze delle architetture minori, non finisca in un soffritto dove a consumarsi sono, paesi, terre, contrade, fortilizi, castrum, e katundè, e vedono emerge sempre solo ed esclusivamente il rozzo e germanico Borgo germanico/francofono, nonostante la lingua italiana per la sua pulizia di espressione ci offre appellativi più coerenti e adeguati, per evitare che globalmente diventiate riversatori della storia locale.