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“LA SALITA DALLA SAPIENZA” (discorso – XIV° – Rispetto)

Posted on 13 agosto 2019 by admin

RispettoNAPOLI (di Atanasio Pizzi) –  Gli uomini più illustri non sono ritenuti tali perché fratelli, amici, parenti e Gjitoni usano divulgare il loro sapere, giacché, le gesta del loro lume è irradiato come la luce del sole quando segue la notte che vorrebbe negare i domani.

I fatti non cessano di esistere solo perché in troppi li ignorano, piuttosto, sopravvivono nella memoria silenziosa degli studiosi e quanto prima si presentano alla rimozione dell’immaginario collettivo, d’improvviso, chiedendo ragione dell’accaduto e del perché si è scelto di ignorarli.

Tracciare un itinerario coerente con oggetto gli uomini, i luoghi e gli eventi che hanno come protagonisti i minoritari della diaspora, è un’attività laboriosa e richiede esperienze multidisciplinari non comuni, tuttavia, ciò che più duole sono le energie che bisogna impegnare per divulgare le nozioni all’interno dei canali divulgativi locali, le cui giunte sono composte da: ndrikule, famulë e shigniagnërà.

Come oltrepassare questa cortina e stendere alla luce del sole il proprio lavoro, non è semplice, in quanto, occorre avere pazienza e attendere che si alzi il vento e demolisca i castelli di carta.

Gli stessi che da troppo tempo innalzano illustri cattedratici, pensionati e ogni sorta di provetto alchimista, tutti questi dall’alto delle proprie isole ecologiche di riciclaggio, preferiscono sotto false vesti, risalenti al 1955, riproporre come hanno fatto alla vigilia del 1999, enunciati altrui , come quelli della psicoanalista e antropologa, “la vera madre di questa ricerca”  che qui di seguito si riporta il frammento più saliente.

Vicinato: Nella complessa strutturazione urbanistica è quasi sempre  ben  delineato  nei  suoi  confini topografici, comprendendo il gruppo di case disposte intorno ad una piazzetta o cortile nel quale si svolge quasi in comune gran parte della vita dei bimbi, delle donne e,  in misura minore, degli uomini. Gli abitanti di queste case sono legati a un’infinità di piccole regole di vita comune, si aiutano a vicenda, si controllano, sanno tutto di ciascuno degli altri ed hanno in genere rapporti molto familiari e di carattere diverso da quelli che esistono tra famiglie amiche o legate da vincoli di comparaggio, parentela.”

A ben vedere tornano familiari i sostantivi, porta, affaccio, piazzetta, cortile, parentado, vicino e così via dicendo, eppure la dottoressa nel 1955 parlava di altre realtà culturali e quello che più conta non ha mai scritto, accennato e trattato gli arbëreshë in questo suo lavoro di ricerca.

Tuttavia, come per incanto, se alla parola Vicinato, nel frammento su riportato, cosi come nell’intero trattato, si sostituisce la parola Gjitonia il gioco è fatto e il discorso diventa argomento per gli arbëreshë, facile da pubblicare e diffondere ai quattro venti della loro “Nazione Arbëria”.

Lo stesso principio si può adoperare con le gesta dell’Eroe Nazionale Albanese, importato in regione storica, riverito e innalzato agli onori della storia con il volgare appellativo imposto dai turchi e sotto le armature  del Pascià  a quei tempi, toglieva le vite ai cristiani e quindi anche agli arbëreshë.

La storia, quando la si racconta deve seguire identicamente lo svolgersi degli avvenimenti, con dovizia di particolari, secondo l’ordine originario, avendo cura di leggerla senza interpretazioni a uso e consumo dei tempi che corrono o le preferenze locali.

Non si può realizzare frammenti di storia, tanto meno basta recarsi in pellegrinaggio dal “cappellaio matto” e ramazzare documenti, per ritenersi storici al fianco di mugnai e banditori.

Motivo per il quale è bene sottolineare alcune nozioni fondamentali; a nove anni Giorgio Kastriota, fu sottratto per ricatto all’affetto dei suoi genitori, i quali per non soccombere assieme alla popolazione rintanatasi nella fortezza, preferirono cedere per ricatto la discendenza ereditaria maschile, dei quali Giorgio era il più giovane, anche se all’età di soli nove anni aveva un fisico possente e secondo gli osservatori dell’epoca ne dimostrava almeno venti.

Alla morte del padre, nel 1443, per una serie di vigliacche sciagure indotte, dal pascià, tipiche dei turchi, i tre fratelli più adulti perirono, lasciando la discendenza, a Giorgio; quest’ultimo anche se per soli nove anni era cresciuto secondo le rigide regole del Kanun, non  facendosi mai  soggiogare, iniziò così come sancito in quel codice che i turchi ignoravano, perché ancora non scritto, la strada per onorare la sua famiglia. 

Altro dato interessante che viene  diffusamente ignorato dagli storici, sono le vicende guerresche che accomunano Giorgio Castriota a Vlad III di Valacchia, più noto come “Conte Dracula”, anche quest’ultimo subì le stesse angherie e appena libero divenne un acerrimo nemico dei turchi.

I due condottieri erano legati dai patti di mutuo soccorso familiare dell’ordine del Drago, vero è che Vlad III, in punto di morte affido la di lui figlia alle cure della moglie di Giorgio Castriota che viveva a Napoli, questa per onorare quel patto, fece da madre alla piccola sino all’età di maritarsi.

La scuola Sofiota l’unica ad aver avuto coerenza degli eventi storici, per tutta la regione storica diffusa, ha seminato semi di rara bellezza segnando, diversamente dai cultori delle sintesi, il periodo arbëreshë del valoroso condottiero con “Via Castriota” e nessun aggiunta volgare di estrazione turca.

Purtroppo, l’allontanamento dalle attività a stretto contatto con la terra, seguendo una illusoria meteora di benessere sociale, ha fatto si che il mestiere di contadino, sia stato accantonato, motivo per il quale, oggi distinguere quali siano i semi originari da quelli geneticamente modificati è un’arte molto difficile a cui solo un numero ristretto di addetti sanno dare risposte certe.

Tutto non è perduto, giacché il buon senso non ha smesso di scorrere nel corpo e nelle menti de “figli buoni arbëreshë” e quanto prima potremmo vedere nei campi diffusi della regione storica, i prodotti dell’antico consuetudinario, che non è avena Albanese, proposta da giullari, economisti e trebbiatrici con le rotelle sgranate, ostinandosi, dal lontano 68 del secolo scorso, a far germogliare in grano. 

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