Napoli (di Atanasio Arch. Pizzi Basile) – Dopo secoli vissuti entro i paralleli di accoglienza, senza mai palesare di essere d’Arbaria stato sovrano, gli Arbër o Ghjèghj, vivono con orgoglio il ruolo di cittadini Italiani.
A tal proposito, come la geografia e la politica insegna, essi popolando oltre cento Katundë delineano la Regione storica diffusa degli Arbër, vero e proprio insieme diffuso e identificativo sociale, linguistico e cose materiali ed immateriali in cultura, ovvero, la minoranza più solida e duratura del mediterraneo, dalla terminazione del medioevo.
L’evidenza di fatti e delle cose, presenta uno scenario secondo cui, l’universo culturale, delle Minoranze storiche di Calabria, Puglia Basilicata, Abruzzo Molise Campania e Sicilia, seguono logiche del vivere in rispetto della terra parallela ospitante, esprimendo così la propria radice, promossa, sia dal governo delle donne e degli uomini, in derivati storici, che promuovono e allevando le generazioni, negli ambiti di Gjitonia.
Tuttavia al giorno d’oggi la globalizzazione e i processi di cultura miscelati, esalta figure di questa “Arbaria”, in attività fuori e dentro il luogo dei cinque sensi, ignorando confini, generalizzando ogni cosa, aggiungendo pene alle figure genuine, oltremodo, isolandole secondo direttive, emanate a impronta di quanto disposto il 10 ottobre del 1986.
Pochi conoscono le realtà parallele, che vivono saggi o eccellenze della regione storica diffusa degli Arbër, in quanto, le perimetrazioni dei gruppi familiari allargati, in forma di fratrie, sommate a quelle compassate, restringono gli spazi per la cultura a quanti saggiamente dentro le proprie, case allevano sapere puro, lasciando spazi di libertà a quanti/e, si adoperano per allevare orecchie d’asino, ai Gjitonj/e, in prove canore di ragli, muggiti, belati e attività, poste al bando di corte dai tempi di Platone.
Correva l’anno 1871 e la Germania che si unificava, voleva riconoscersi in una lingua unitaria, non sapendo come fare, si affidò alla saggezza dei fratelli Grimm.
Questi, due esperti e ricercatori di storia fatti e favole, non dovettero fare sforzi immani e ne si adoperarono a predisporre grammatiche o componimenti di assurde, con inutili parlate locali, ma data la loro esperienza in tale settori, unificarono la lingua Germanica, partendo e avendo come solido, unico, indivisibile e incontrastato riferimento, le cose e gli organi che componevano il corpo umano.
Nessuno sforzo, nessuna favola nessuna, leggenda, o eroico avvenimento di saggi dovettero allestire, per unire il popolo di questo vasto territorio, nelle braccia ben accoglienti del corpo umano e i luoghi, le cose ambientali di cui si nutriva l’uomo geniale, per germogliare simili.
Ad oggi si parla, si esalta, si discute, in rigoroso affanno, per unire la regione storica, sotto un idioma unico e indivisibile; cosa può esserci di cosi semplice e unitario per addivenire a questa soluzione………….. semplice; il corpo umano e non le favole, di cui si occupavano i fratelli Grimm per dilettarsi quando non dovevano fare cose solide, durature e serie.
Di contro dal 23 febbraio1985 e poi via via come cerchi concentrici, hanno raggiunto ogni dove, si producono, regimi in dissenso, escludendo chi promuove nuovi stati di fatto, non in linea con i poteri dei compassi, che fanno musei, immaginandolo il mercato di Zofferano.
Per questo utilizzano barriere per non fare cultura e chiudono gli spazi dell’apparire a quanti fanno innovazione e non riciclo di cose e concetti vetusti, relegando chi tiene fede al diciotto di gennaio, per la promessa data in terra madre: (Besa).
Sono questi valorose figure ad essere condannati e perseguiti secondo dure e continuate umiliazioni, escludendoli dalle cose pubbliche, relegandoli nell’illuminata solitudine, sin anche dalle istituzioni amministrative di ogni ordine e grado, le stesse che dovrebbero promuovono attività di ricerca e valorizzazione, specie se già pronte nelle menti e nei cuori di queste solide figure di libero pensiero, preferendo promuovere, il diciotto di agosto l’elogiare il Brusca locale e non ricordare il nobile giudice di chiesa in pena.
La condanna emanata dai neri, mira esclusivamente a penalizzare le eccellenze buone e sapienti, in altre parole, gli eroi che offrono il proprio impegno, per la tutela di radice identitaria con senso, garbo; il fiorire di radice storica.
La condanna inizia con un ergastolo definitivo senza in difesa, come avveniva per i liberi pensatori del ‘99, cui nel breve tempo si mirava prima alla morte fisica, per eliminare la mente, oggi non più possibile, anche se il fine perseguiva il non diffondere le cose immateriali e il materiale di scritti; regimi totalitari, che usava eliminare il nuovo pensiero facendo ardere scritti; condanna, applicata in ogni dove, grazie all’opera di faccendieri culturali senza scrupoli, pronti a sterminare ogni sussulto ritenuto alieno del non sapere o germoglio di albero, per la libertà di pensiero.
Comprendere il senso di questa condanna è molto complicato, perché frutto di pazzia e dell’irragionevolezza dell’uomo cattivo, esso trova spazio e vie di fuga, in quanto contrappone, stolti e incoscienti da una parte, la massa del 99%; dall’altra i pochi creativi in raffinato lume all’1%.
Rimane comunque e dovunque l’irragionevole attività dei tribunali con a capo quanti sfornano inopportune sentenze senza appello, decise, per acclamazione di quanti sono nati di vesti povere.
Intanto la condanna fa il suo corso, esclude i malcapitati saggi, da ogni confronto, dibattito o forma culturale che potrebbe abbassare la media delle orecchie in elevato verticale.
Tuttavia, avvolte capitare per fortuiti atti, di riuscire ad accedere al pubblico dibattito, ma subito intercettati, si è ignorati per poi essere esclusi dall’aula di confronto, perché non invitati, o perché potrebbero sciogliersi le catene del fatuo pensiero, che non germogliano il grano buono, ma solo generi ignoti e confusi, i detentori di cose e principi riversi, di concetti ormai in aceto che non diverrà mai vino buono.
L’esercito dei pronti, ad escludere e tenere relegate figure in regime di compasso; arche di ignoranza che, dicono, parlano ed esprimono giudizi verso i saggi, in perenne condanna, spargendo cose che alla fin dei conti imprigionano la mente del popolo in perenne cammino, senza speranza di luce o meta.
Chi ha emanato questo anatema di esclusione, ancora non è consapevole che, gli Arbër hanno avuto, alla fine del medio evo, il condottiero lo Scanderbeg, e nel tempo del rinascimento i dodici saggi luminari o apostoli di cultura, rispettivamente qui elencati:
1) Rev. Bugliaro;
2) Bib. P. Baffi;
3) Vesc. F. Bugliari;
4) Not. G. Feriolo:
5) Vesc. Bellusci;
6) Vesc. G. Bugliari;
7) Edit. V. Torelli;
8) Ing. L. Giura;
9) Avv. R. Giura;
10) Avv. P. Scura;
11) On. F. Crispi;
12) Gri. A. Basile;
a queste eccellenze di religione cultura e arte sempre vive e irraggiungibili, va aggiunto; chi approda per cenare e trova il piatto a tavola, in tutto “il Giuda”, ma questo lo lascio aggiungere, come premio, a chi ha avuto la pazienza di leggere;
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