NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – La sentenza secondo cui “Carmina non dant panem” o “Litterae non dant panem” diffusamente nota, non tiene conto di un dato fondamentale, Ovvero, di come si fa il pane, essendo la cultura solo il lievito di questo alimento antichissimo e fondamentale, a ben vedere, la farina impastata con l’acqua rimane inerme e senza vita, sino a che non interviene la reazione di questo elemento per dare forma volume e sostanza al fondamentale alimento, avviando così l’affascinate evoluzione.
La cultura non va intesa come una pietanza fumante a disposizione di pochi eletti; essa o meglio il Lievito, rappresenta l’elemento, in tutto, la misura per regolare il rapporto tra il pieno della farina e la reazione, che produce il lievito; l’energia capace di innalzare la forma e restituire valori indispensabili ai cinque sensi dell’uomo.
La cultura non si mangia, non si mette in tasca, giacché rappresenta l’energia incamerata nei vuoti, i labirinti, le cavità per reazione del lievito.
La sostanza di reazione, ovvero, la cultura, produce crescita all’impasto, altrimenti inerme e senza mutazione, esso va a nutrire di aromi incameranti, gli unici in grado di rinvigorire i cinque sensi del genere umano, il cui finale effetto si traduce in educazione o volontà di fare cose buone, in senso di fragranza, delicatezza del prodotto più antico dell’uomo, l’unico in grado di illuminare la mente delle persone preparate a gustare, il manufatto fissato con il calore buono del fuoco.
In altre parole, il lievito rappresenta le tradizioni dei nostri genitori, in particolare delle nostre madri che con saggezza e antica sapienza sapevano calibrare impasto di farina con il lievito madre, “il lievito madre appunto”, quello che da madre in figlia è giunto sino a noi portandoci suoni, odori sapori e sostanza che allieta la vista attraverso quelle bianche cavità che pur se diverse e mai uguali, riportano le cose del passato al nostro cospetto in maniera identica.
La cultura assomiglia alle monete di Licurgo che potrebbero paragonarsi ai pesanti libri del passato, quelli più voluminosi scritti dalla consuetudine, infatti, il principale legislatore di Sparta, contrario all’accumulo di ricchezza, educava, la comunità a non superarsi gli uni dagli altri, visto che la disuguaglianza culturale è la causa principale che porta a squilibri sociali e genera prevaricazione.
Tutto ciò frena il libero transito a fare lavoro per quanti si dedicano all’arte per formare il genere umano al rispetto delle proprie, le altrui cose e all’ambiente naturale.
Oggi si ritiene la cultura come un alimento da mangiare, senza avere consapevolezza che le cose buone le ha fatte la manualità, saggezza delle nostre madri, le biblioteche di casa nostra.
Sono state esse a incamerare nelle piccole cavità della lievitazione con il riverbero delle loro voci e con la saggezza del rivoltare e calibrare, quello che di li a poco avrebbe germogliato il prezioso impasto, colmo di storia, tradizioni e rispetto verso gli altri meno fortunati.
Il genere umano si ciba di pane con o senza glutine, ma tutti assaporano i contenuti ideali, espressi nelle forme nelle pieghe e in quelle sottili membrane del lievito comunicatore.
Chi si ciba del pane e non trae spunto dai suoni, i riflessi, i sapori e le prospettive minuscole provenienti dalle cavità prodotte, dalla cultura, nel pane, termina:
- con lo stendere bandiere a terra;
- andare vestita da sposa con l’inconsapevole bjrëllokù al collo:
- alzare le vesti di gioventù, del padre e del marito.
Lenta e inesorabile si consuma il calibrato olio, la fiammella poi barcolla ma resiste, arriva il turno dell’acqua, che addormenta la fioca luce, quando il sole prende la via della notte.
P.S.- Bjrëlloku; fascia scura aderente attorno al collo della sposa, con ciondolo in oro, allestito con dovizia di luogo e particolari i giorni seguenti le nozze, conferma della spartizione del dolce.