ROMA (di Paolo Borgia) – Cielo, terra e mare sono lo spazio tripartito in cui si svolge l’esistenza umana entro il solidale consorzio biologico. La consapevolezza, che questi tre luoghi sprigionano energia, spinge il primordiale uomo a costituire negli stessi luoghi un’altra realtà parallela trascendente, con cui stabilire una relazione subalterna di devozione: il sacro. Distinte dagli eventi ed arcane sono le cause: il maleficio offende gli dei. L’uomo teme la furia degli eventi naturali, prodotti da dei in persona. Cerca di propiziarli, offrendo sacrifici all’altare su cui arde il fuoco e il dio Fuoco, Agni, perché facendo così, ritiene di sanare l’ira delle divinità a cui ha sottratto qualcosa. Ha vergogna di aver turbato l’ordine precostituito, nell’essere predatore da preda che era nel cosmo – la realtà bella. Qui non ci sono città, nè esiste la parola per designarle (nella letteratura sanscrita iniziale). Dieci mila pagine di sacri rituali meticolosi di culto ci restano, l’anima ardente di questa profonda civiltà scomparsa per sempre dall’India (cfr. Roberto Calasso, L’ardore, Adelphi Ed. Milano, 2010).
A 4600 anni dai Ŗgveda cielo, terra e mare sono la sede del divenire del tempo. Questo obbedisce alle leggi della fisica e non ha nessun sensibile ritegno etico: dire tempo cattivo, avverso, clemente è solo ipostatica interpretazione umana della realtà, delle condizioni fisiche determinanti.
Sappiamo che la ciclicità del tempo, il ricorrente ripetersi delle stagioni, sfruttate dall’uomo da almeno 20 mila anni, può essere alterata anche da una sola esplosione di un vulcano o dal comportamento colpevole dell’uomo. (Qui non si fa parola della incauta costruzione di edifici dove non si deve, del disboscamento sconsiderato dei fianchi dei monti, della mancata “manutenzione” dei terrazzamenti collinari o degli argini fluviali o dei sottoboschi). Deforestazione del Sahel da parte degli indigeni, monoculture estensive e senza l’ombra di un solo albero, sconsiderata concimazione chimica per produrre 100 quintali di grano per ettaro, ma anche concimazione del mare, si coniugano inevitabilmente con aridità e desertificazione. Grandi aree urbane e industriali senza vegetazione, riscaldamento smodato delle case, aumento continuo della potenza dei motori endotermici modificano nel profondo la composizione dell’aria e generano comportamenti climatici anomali intensi e sempre più spesso catastrofici.
Ciò, che stenta ad essere compreso e che invece è di fondamentale importanza, è l’inquinamento del mare. Più del 70% del nostro pianeta è coperto da acqua. Il livello del mare è più basso della terra emersa così l’acqua dei fiumi vi si versa spontaneamente, inquinata ormai da molto tempo. Dalla superficie del mare l’acqua esce piano piano nella atmosfera, diventa pioggia e cade lontano bagnando i continenti. L’aria penetra nel mare cedendo ossigeno e anidride carbonica. Questi due meccanismi rendono possibile la vita: sulla terra e nel mare.
Ora gli inquinanti più leggeri, presenti sulla superficie mare/aria, ostacolano questo scambio e la temperatura dell’acqua inevitabilmente cresce. Le correnti marine spargono maggiore quantità di calore e il ghiaccio dei poli si scioglie. Non solo, i cicloni sono di più e più violenti ed estesi.
Il Mediterraneo si scalda in sei mesi. Ora, però, raggiunge temperature più alte più di sette gradi e ciò basta a generare condizioni di tempo più violente e non al tempo suo. Alghe tropicali tolgono spazio alla posidonia e la fauna ittica soffre, perdendo difese immunitarie.
Bisanzio non è la porta orientale del Mediterraneo. Il mar Nero dal Bosforo versa le sue fredde acque nell’Egeo. E quelle calde mediterranee, galleggiando, fanno la via inversa. I fiumi del Rialto Centrale Russo, il Danubio, il Po, il Rodano e il Nilo, versano nel Mare Nostrum ogni veleno e inquinante civile e industriale. E l’oceano resta cosa di nessuno mentre, lo sappiamo, è di tutti.
Per poter vivere occorre aria da respirare, acqua da bere e cibo dei campi: anche i pesci sono cibo che è donato dal mare. Ci sono voluti due secoli per inquinare il mare: ora va ripulito.
In un momento così drammatico nella storia dell’uomo che non dà ragioni di speranza alle generazioni nuove, emarginate dalla sfera produttiva, non si può non considerare un progetto “globale” che valorizzi il mare ad iniziare da un legislazione internazionale che superi il cieco interesse di parte, per prodigarsi a tutelare il mare, vero patrimonio materiale ed esistenziale dell’uomo.
L’ultima occasione per l’umanità, poi cielo, terra e mare nella imperturbabile divina logica scientifica del cosmo si rivestiranno di sacralità e pretenderanno ecatombi sacrificali dall’uomo non più predatore ma inerme preda perdente.