NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Il 2 di maggio del 1935 si inaugurarono gli impianti, idrico, fognario ed elettrico a servizio della comunità di Santa Sofia d’Epiro, chi fu presente a quella giornata ricorda in ogni particolare quell’ evento.
Gli impianti furono realizzati dall’Impresa dell’ ing. Giannico di Cosenza, per quanto attiene l’acquedotto e la rete fognaria, mentre quella elettrica dalla Società Meridionale Elettrica.
I nuovi servizi modificarono radicalmente il modo di vivere dei sofioti, sia all’interno delle proprie abitazioni che del contesto urbano.
Delle tre opere di servizio, quella idrica, sicuramente è quella degna di nota ed essere ricordata e arricchita di particolari.
Il giorno dell’inaugurazione la festaera stata preparata in ogni piccolo dettaglio, compreso un duello ideale tra la forza l’energia elettrica e quella dirompente dall’acqua.
Allo scopo fu predisposto un ugello nella sommità della fontana in cemento, “Zampili“ regalo della ditta esecutrice, che con la sua pressione doveva far scoppiare una lampada ad incandescenza posizionata sulla linea del getto; per la cronaca vinse la forza dell’energia elettrica, non riuscendo la pressione dell’acqua a far esplodere il bulbo della lampada, applausi e inni di gioia coinvolsero tutta la popolazione presente, in un vero e proprio bagno di folla.
L’acquedotto civico sofiota rappresentava l’opera di maggior rilievo sia per estensione che per i suoi costi e le persone impegnate.
In località Calamia, dove i primi rivoli danno origine al torrente Galatrella, furono realizzate opere adatte per convogliare le acque utili ad alimentare l’acquedotto sofiota.
Il sistema di intercettazione era formato da quattro sorgenti; tre naturali e una artificiale, per quest’ultima furono realizzate opere di drenaggio utili a raggiungere il quantitativo utile alle esigenze del tempo.
Convogliate le acque, delle quattro sorgenti, nella condotta idrica,attraverso quest’ultima, dopo un percorso di circa 4Km., si riversava l’acqua intercettata nel serbatoio di accumulo.
L’acquedotto, dovendo superare una serie irregolarità orografiche, disponeva di adeguati scarichi di fondo e sfiati a pressione, questi ultimi indispensabili a regolarizzare e mantenere la condotta continuamente in pressione e in assenza d’aria.
Il serbatoio era ed è ancora allocato a monte del paese, nei pressi della Kona dell’Ascensione, tra le proprietà di Amodio Umile, Baffa Scinelli Giovanni e Ferraro Eugenio, completamente interrato, a ridosso di un declivio calcareo, in opera di cemento armato, per quanto attiene alle parti interrate, mentre il prospetto a vista, in pietra listata in cemento.
L’interno in un unico ambiente voltato a botte, conteneva la camera di manovra seguita dalle due vasche di accumulo di oltre 150 metri cubi.
Nelle vasche si accedeva mediante una scala, realizzata con tondini di ferro annegati sulla parete che divideva la camera di manovra con le due vasche.
A circa quattro metri di altezza, attraverso un varco si raggiungeva il corridoio di controllo delle due vasche, queste erano messe in sicurezza da ringhiere in ferro che nella parte più estrema si interrompeva per dare modo all’operatore di poter scendere e approntare le giuste opere di pulizia periodica delle vasche.
Il corridoio, al centro della sua estensione conteneva un canale di collegamento delle due vasche, in modo che riempita la prima l’acqua si riversava nella seconda prima di raggiungere le condotte di massimo accumulo.
La camera di manovra si presentava come un apparente disordinato incrociarsi di tubi, ma invece, mediante opportune manovre delle valvole idrauliche, consentivano ogni tipo di soluzione per il più razionale utilizzo dell’acquea convogliata.
Ogni condotta era allocata secondo idonee logiche, quelle di arrivo più in alto o ad altezza d’uomo, quelle di partenza più in basso e gli scarichi adagiati su supporti metallici a pochi centimetri dal pavimento della sala.
La condotta idrica e quella di scarico seguivano verso il paese, dopo aver attraversato la proprietà Amodio, quella di scarico si fermava alla destra del cancello in legno, l’altra continuava verso il paese lungo la strada, detta di Acri.
Le prime case ad essere incontrate dalla condotta erano quelle di Kandràno e Pedalith, dal vicoletto davanti alla casa di Viardino, scendeva davanti alla casa di Paolino Passinàtit, qui si diramava in due tronchi.
Il primo tronco scendeva verso via Epiro e la percorreva sino lungo Sheshi Karravonit per inserirsi in via Albania e poi scendere per la casa di Annibale De Caro, infilarsi nel vicoletto adiacente e sbucare a ridosso della casa di Barci Nicola per giungere sino alla confluenza della Strada Grande dove era allocato lo scarico di fondo.
Il tronco alimentava le fontane: te dera Pipacit, Fishkia Karravonit, te dera Nigrith, te dera don Giuanit.
Il secondo tronco proseguiva dritto vero dèra e Maries Vucastortith, continuava davanti alla casa di Pietro Adimari sino alla intersezione di via Ascensione, per continuare verso la piazza Sant’Atanasio e da qui verso Via Castriota e giungere davanti alla Chiesa Vecchia dove era sistemato lo scarico di fondo della condotta.
Il tronco alimentava le fontane: te dera zì Clementines, te dera zootith, lo Zampillo, te dera Preitith, te dera Sarazonijt, Fischia Posht.
Il sistema idrico cosi realizzato consentiva di servire attraverso le fontane pubbliche l’intera popolazione del centro sofiota.
La gestione del gioiello idraulico dopo l’inaugurazione non ebbe l’adeguata manutenzione e in pochi anni il sistema si ridusse allo stallo, nel 1949 quando entrò a far parte dell’organico comunale, con la qualifica di manutentore del Civico Acquedotto Sofiota, il sign. Gennaro Pizzi di Vincenzo; da questo momento ebbe avvio la svolta che avrebbe portato i servizi idrici e fognari in quasi tutte le abitazioni del paese.
Egli, prima di tutto dovette individuare tutte le malefatte della vecchia gestione e ripristinare l’impianto, con poche spese e solamente con la collaborazione di valenti operai dell’epoca, tra cui vanno ricordati, Paskali Bonzouth, Frankiscu Miluzith e Rafeli Bufith, instancabili macchine da lavoro, veri maestri di piccone e pala.
In anzi tutto fu approntata la pulizia dei sentieri che da Calamia, seguendo la condotta attraverso il bosco, giungeva sino al serbatoio, oltre ad avere ragione di soprusi generalizzati, che avevano prevalso sul pubblico sistema idrico.
Non furono poche le battaglie e le camicie che dovette rimettere, per raggiungere, il buon esito dell’impresa, né furono poche le volte che dovette fare buon viso a cattivo gioco, ma nonostante ciò nel giro di pochi mesi riuscì a rendere efficiente e far funzionare il Civico Acquedotto Sofiota per continuarlo a tenere efficiente sino agli inizi degli anni settanta.
Lo stesso paese aveva assunto in quegli anni notevoli modificazioni edilizie, nei profferli e nei balconi erano stati realizzato gli spazi architettonici minimi per i servizi igienici minimali.
Realizzando così i collegamenti delle utenze private sia idriche che fognarie, anche nuovi tronchi erano stati messi a dimora al fine di servire tutte le nuove zone di espansione che dal 1949 agli anni settanta avevano modificato l’assetto urbano del centro abitato.
L’acquedotto avrebbe continuato a funzionare ancora per qualche anno, anche se la crescita edilizia del centro abitato, richiedeva ben altri volumi di approvvigionamento, però, la caparbietà del vecchio gestore, riusciva ad accontentare decentemente e in modo equilibrato le richieste sofiote.
Se poco prima del pensionamento del sign. Gennaro, chi ne assunse la gestione e con buon senso, avesse richiesto l’ufficiale passaggio di consegne, avrebbe garantito il logico continuo della trentennale esperienza, ma invece si preferì la via della presunzione che indusse l’inesperto nuovo gestore a modificare l’equilibrio idraulico del precario sistema.
L.S., sicuro di dare più acqua a tutti, cadde in errore modificando la taratura dei bracci di condotta, isolando così interi quartieri dalla fornitura idrica.
La cosa si protrasse per molte stagioni, con disagi poco piacevoli per i malcapitati utenti, senza più trovare la soluzione della continuità idrica.
Lo stallo, ebbe soluzione solo quando ad opera del nascente Acquedotto del Trionto, fu attuata la nuova rete idrica che non aveva bisogno delle calibrature del sapiente Gennaro.
Al quale non gli fu mai dato alcun riconoscimento per l’ottima gestione del civico acquedotto, tanto è vero che ci furono neri, che ebbero la capacità di perseguitarlo e persino a lasciare ai propri figli tale odio in eredità.
In una seduta del consiglio comunale, l’anziano manutentore fu dimesso con frasi inopportune e ingiuriose, le stesse frasi che pochi anni dopo, per altre vicende, ritornarono con gli interessi ai mittenti.
Quello che nessuno può negare è che egli portò sino al suo pensionamento il buon esito della missione per la quale fu assunto e scelto: manutentore del Civico Acquedotto Sofiota
Il vecchio acquedotto continuò a funzionare prima per fornire alcune frazioni del paese, e poi abbandonato per la inadeguatezza delle condotte, oltre al fatto che a monte delle quattro antche sorgenti, vi fu un considerevole accrescimento edilizio che modificò il sistema di captazione dell’acqua.
Oggi rimangono solo i ricordi di tante giornate trascorse a ripristinare o sostituire quelle condotte, le fatiche di Bonzò, Miluzi e Bufi che sotto la calura estiva contribuivano imperterriti a mettere a nudo le malconce condotte con piccone e pala, i pomeriggi interi a cercare le perdite della precaria condotta, l’eco dell’acqua, delle due vasche di accumulo che mi hanno trasmesso sempre una grande paura e la voce di mio padre che mi rassicurava e mi diceva: Thàna mòs u trëmb është vethëm ujë.