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I PAESI ARBËREŞË DA VISITARE ALMENO UNA VOLTA NELLA VITA DA VIANDANTE (Janë e na vighë ghindë zotë e i mami për lindrunërà)

Posted on 20 marzo 2024 by admin

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Napoli (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Esistono comunità alloglotte insediatasi, con i relativi modelli abitativi nel meridione italiano, fatta di tradizioni, parlate, uomini, religione e, una solida Iunctura culturale, ancora inesplorata, in specie dai percorsi turistici che contano.

Queste macroaree sono episodi della storia mediterranea che non mutato, resilienti nel corso dei secoli, in tutto, modelli di integrazione e convivenza sociale, tra i più solidi e duraturi della penisola Italiana.

Genti che per convivere non hanno dovuto fare uso di scontri, prevaricazioni o sottomissioni di sorta con gli indigeni locali, ma convivenza di “civile Gjitonia”, quella portata dalle colline dell’oltre adriatico e, innestata nel meridione italiano.

Gli stessi ambiti segnati, prima dai Greci fannulloni, poi da Bizantini e Longobardi in lotta, seguiti dai monaci Cistercensi dei fortilizi di grancia, in quelle terre note, o facilmente individuate, in epoca moderna come Regno di Napoli, oggi Italia centro meridionale.

Ed è qui che le genti, in specie Arbëreşë, non hanno mai smesso di valorizzare e mantenere vive le antiche tradizioni o le cose portate nel cuore e nella mente dalle loro terre di origine dai Balcani.

Le stesse poi depositate in questi “Paralleli Meridionali” con rispetto, saggezza e genio di luogo, mostrandosi sempre operoso e mai distrarsi nell’assumere atti di protagonismo o prevaricazione verso gli altri.

Questi Agglomerati o Nuclei Abitativi Aperti, in stretta aderenza ai cunei agrari e della trasformazione, relativi, si identificano in Katundë.

Essi non hanno nulla a che vedere con gli impianti medioevali murati ai piedi di castelli o i sistemi in difesa o circoscritti dirsi voglia, identificati come “Borgo”.

In quanto gli Arbëreşë, facevano uso di modelli abitativi aperti e non murati, la unica difesa era l’impianto urbano di lenta percorrenza o di “iunctura familiare”, più idonei delle banali e violente mura o elevati, per dividere le classi sociali dall’agro operoso.

Qui tutto era familiare tutto era condiviso e nulla poteva essere violato o prevaricato da altri, chiunque essi fossero, e non poteva essere considerato mira per emergere.

Tutti i centri antichi e i relativi cunei agrari Arbëreşë, oggi sono itinerari molto suggestivi e colmi di significati antichi, anche se la poca attenzione che molte amministrazioni governative e locali, in diversa misura, usano rivolgere per identificarli, tutelarli senza mai valorizzarli e tutti, danno la misura con il definirli, identificarli o appellarli comunemente in “Borghi”.

Nonostante sia evidente che, se un Borgo risulta essere un sistema chiuso, un Katundë e un sistema aperto, se un Borgo ha diverse classi sociali, un Katundë vive di parità sociale, se un Borgo ha la nobiltà a guida sociale e politica, un Katundë vive del governo operoso degli “uomini” e delle “donne” che amministrano le cose in egual misura e cooperazione, senza mai superare i limiti di competenza civile tra generi.

Tutti i paesi, Villaggi, Contrade, Frazioni, Katundë minoritari, hanno caratteristiche distintive simili, sia nella disposizione dei rioni e, degli elementi urbanistici/architettonico, in tutto, un esempio di storia urbana di città aperta.

La stessa vissuta al fine di integrarsi, confrontarsi e dare agio ai loro abitanti senza distinzioni o elitarie di sorta e, nonostante la peculiarità che anticipava i tempi delle società che ancora oggi annaspano, solo a pronunziare quello che per gli Arbëreşë era regola, questi paesi vivono solitari e senza alcuna legge che tuteli questi aspetti, nel mentre si valorizzano, esclusivamente le forme idiomatiche appellandole di lingua altra.

Lasciano per questo, gli impianti urbani e le valenze Vernacolari alle ire del tempo, alle attività ideologiche della politica e al riversamento dei contenuti storici ad opera dei castellani, sempre più ostinati a credere che nel deserto si possa trovare una fonte di vino buono.

Le stesse ideologie locali che ad oggi giorno, la politica e delle metropoli moderne, sognano quale ideale irraggiungibile, ipotizzandoli solo come percorsi scolari e nulla più.

Nonostante, tutti questi piccoli centri antichi e, i loro cunei agrari fossero in origine abitati da indigeni, ma le vicende della natura, in forma di carestie, terremoti e pestilenze diedero modo di essere abbandonati e lasciati all’incuria di tempo affiancata dalla natura, solo grazie alla caparbietà degli Arbëreşë, questi oggi appaiono fieri sostenuti dai valori maturati, tra uomo e ambiente naturale preservato in maniera egregia.

Ed è la Calabria dove si contano circa sessanta tra paesi e frazioni o casali, su quattrocento sette, della regione intera, di Katundë Arbëreşë mentre tutto il meridione in sette regioni accomuna, ventuno macroaree in oltre cento dieci paesi con Napoli Capitale.

Questi tutti e senza alcun dubbio storico, sono caratterizzati da fenomeni sociali dove non vi era alcuna forma di borghesia o nobiltà altolocate se non, la nobile arte del prete di dire messa, per i quattro rioni tipici, secondo i quali si componeva la iunctura della; Chiesa Kishia, il fulcro, di unione tra i rione degli indigeni locali: Ka rinë rellët; Bregu per l’avvistamento e il controllo del centro in espansione; Kalive le tipiche residenze disposte in modelli articolati e lineari dagli Arbëreşë; che poi diventano componimenti urbani o perimetro del nuovo centro urbano denominato; Şëşi, (in Arbëreşë) e l’insieme formava un Katundë, che in Arbëreşë, ha il senso di luogo di confronto e di movimento operoso.

Indicavo un numero complessivo dei Piccoli centri antichi aperti, della Calabria e, solo di quelli ricollocati e innalzati dagli Arbëreşë, esclusivamente in zone collinari, oltre la quota, livello mare di quattrocento metri.

Questi, rispettivamente: molti hanno conservato il senso totale delle linee guida urbanistiche, architettoniche e i valori identitari; pochi anno parso le direttive religiose; e, pochissimi solo la memoria toponomastica.

In Calabria i paesi Arbëreşë sono allocati in quella che si identificano in tre itinerari delle Provincia di Cosenza, Crotone e Catanzaro; la prima con la Macroarea della Cinta Sanseverinese, suddivisa in sub m.c., del Pollino, delle Miniere, della Mula e, della Sila Greca; la seconda, con la Macroarea del Centro Jonico; la terza; con la Macroarea dei Due Mari, Tirreno e Jonio, quest’ultimo identificato come il confine storico del Gran Ducato di Calabria o del thema di Reggio Calabria della Costantinopoli imperiale.

Per quanti volessero addentrarsi all’interno di questi ambiti e rivivere sensazioni antiche, che neanche la globalizzazione ha ancora fermato; la prossima stagione lunga, ormai iniziata, (ovvero l’Estate) sia il motivo valido per recarvi, come residenti della breve sosta, assumendo le vesti di chi torna a casa propria, e si trova a vivere o avvertire i cinque sensi natii.

Per questo è il caso di risiedere nei presi e poi recarsi e fermarsi, simulando stanchezza per cogliere in ogni anfratto di questi luoghi, i fatti e attività sociali dal modello dei cinque sensi, ovvero al Gjitonia, dove si ode e si sentono, valori antiche che in nessun luogo è possibile rivivere.

L’antico governo delle donne, ovvero madri sorelle, zie e nonne instancabili che preparavano le nuove generazioni, ripetendo quelle attività che ancora oggi non smettono di esistere e dare vita a ogni nuovo fiore di genere, che qui ha la fortuna di nasce e crescere, pensando prima e parlando dopo in Arbëreşë.

Non chiedere mai cosa sia uno Shëşë, noti in storiografia come moduli di Iunctura urbana, in tutto, un componimento urbano articolato e disposto in Fondaci (Kopshëtj), Botteghe (Putiga), Case (Shëpij), Vanelle (Vallë), Supportici (Supòrtë), Grotte (Varë), Vichi (Rrughà) e Archi (Redhë).

O cosa sia Gjitonia, Costumi, Strade, Pietanze e bevande tipiche; non chiedere mai cosa e come erano innalzate Case, Chiese e Palazzi, o quali vestizioni tipiche usavano le donne e cosa rappresentassero in senso identitario della credenza e, dove siano avvenute, nascite, soprusi o malefatte.

Non addimandate di essere accompagnati, per essere raccontata la storia di quei luoghi, ma cercate di cogliere i valori che ogni persona è in grado sviluppare, nell’attimo in cui siete avvolti dal silenzio che innescano questi luoghi e sensibilizzano i vostri cinque sensi.

Solo così potrete avvertire attimi irripetibili e, vi troverete immersi in una dimensione nuova, fatta di odori, sapori, suoni, e prospettive, che se accarezzate con le mani lievemente, diverrete anche voi nuovi abitanti di questi luoghi colmi di storia e di leale passione, la stessa che rende e accoglie il passante che vuole vivere momenti non per distrarsi ma per essere migliore.

Mi raccomando, visitate i paesi Arbëreşë, non come turisti distratti, ma come figli che tornano nei luoghi materni.

Se poi la scintilla di tutto ciò non si innesca, chiedete dello scrivente e il fuoco della passione leale arderà dentro di voi e avvertirete le pene nobili degli infaticabili e leali Arbëreşë.

 

Napoli, dove il tempo scorre e cancella le cose della storia che conta.  

 

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