NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – La minoranza storica arbëreshë nel corso della storia del mediterraneo, ha espresso il valore innato, nel predisporre modelli sociali economici, che poi sono oggi l’espressione delle città moderne o dette, metropolitane.
Le stesse che poi in seguito ampiamente dimostrate, a quanti abituati a vivere di espedienti senza radice, gli oppositori di queste idee innovative, nonostante anche essi avranno, prima o poi, modo di beneficiarne in senso di applicazioni sociali, politiche, economiche e della scienza esatta.
Gli arbëreshë notoriamente sono ricordati, semplicemente, per le vicende di confronto e scontro, sia in terra natia e sia negli ambiti paralleli della regione storica del meridione italiano, dal XIII secolo.
Qui in questo breve si vogliono distinguere le categorie sane dalle “litirë” le stesse che non saranno ricordati come prescelti se non per essere stati capaci di produrre danno, danno e solo danno.
Questi ultimi nelle narrazioni diffuse, appaiono descritti senza cultura, similmente agli animali che per difendersi dal freddo non usano l’intelligenza ma attendono che la natura li munisca di peluria o altro apparato naturale di equilibrio corporeo, come ad esempio, artigli e la mala lingua, per soddisfare il bisogno di alimentarsi.
La natura degli uomini, si può riassumere in una serie infinita di linee parallele, ciò tuttavia, allocare gli arbëreshë in tipologie cosi estreme, non è esatto, anche se per certi versi quando si subiscono le angherie di quanti, vestendo giacca cravatta e guanti, nascondono la peluria e gli artigli, forse un’icona parallela dove intercettarli sarebbe il caso di evidenziarla per riconoscerli.
Come per esempio l’affascinate idea di illuminismo moderno della “Regione storica diffusa arbëreshë” e il progettato polo di valorizzazione, in cui far convergere necessariamente, teoremi e direttive da sottoporre al vaglio di un gruppo multidisciplinare.
Il progetto per la tutela della minoranza arbëreshë, assieme ad altri pronti per essere innalzati, sono stati preparati, senza che nell’arco di venti anni, nessuno di essi sia andato a buon fine; “OPPOSIZIONI” di varia natura, ne hanno impedito la diffusione.
Alla luce dels clima politico, che nel corso degli anni pur se profondamente mutato, è rimasto solidamente ancorato al suffisso cultural-economico, imponendo la costruzione di un istituzione di falsi cultori, gli stessi che affrontano l’inverno con la peluria cresciuta naturalmente, per difendere se stessi e il loro ambiente naturale cavernicolo.
Se non si corre ai ripari, è normale che poi a difendere la credibilità arbëreshë, non rimane altro che rivolgersi a imperterriti cavalieri dell’architettura e dell’urbanistica, figli di quella rara consuetudine che cura e conosce gli ambiti attraversati bonificati e innalzati dagli arbëreshë.
Diversamente dai tuttologi per gli atteggiamenti acquisiti, non riescono sin anche di attraversare il Surdo e il Settimo, ormai in secca, per partecipare alla disputa, che ha luogo nella Chiana, sotto le pendici della mula, dove i litiri dall’alto dei loro tacchi a spillo, dicono di saper fare i paesi arbëreshë con le gjitonie dentro.
Sono fieri sui loro cavalli, quanti usano le proprie capacitò intellettive, predisponendo gli idonei apparati, costruiti e innalzati, nel rispetto dell’ambiente, del tempo e degli uomini, secondo disciplinari realizzati dalla intelligenza, quella storica conservata nel cuore e nella mente, senza sprecare energie per tenere in vita l’apparato digerente.