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GJITHË GJINDIA T’ GJEGJEN (Thë katundet arbëreshë: një shëpi një €, e tre shëpi dy€)211054

Posted on 25 maggio 2019 by admin

SCACCIAMO LA VOLPE ARBËRESHË3

NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Non sono pochi i paesi del meridione che seguono la meta dello svendere il proprio patrimonio edilizio storico, piuttosto che adoperasi per trovare metodiche di valorizzazione di quanto resiste e conserva indelebilmente l’identità di luogo e di tempo.

Tesori unici che pur non luccicando, restano solidamente stesi alla luce del sole, in attesa delle persone giuste che le sappiano rispolverare senza usare violenza.

Oggi è tempo di costruire una sola regione storica, “unica e indivisibile”, non tante incomprensibili “barbarie” che attendono il vento che le tira, generato dai dipartimenti di semina monotematica, ignari delle direttrici cardinali.

Una visione appropriata del territorio rende più chiari gli ambiti urbani, quelli sociali sub urbani, il costume e tutte le caratteristiche identitarie sotto la stessa luce a iniziare dai paesi più estremi dalla Sicilia e sino all’Abruzzo, oltre le macro aree di Marche, Emilia Romagna e Veneto.

I Katundë di minoranza arbëreshë contengono nei loro edificati storici le essenze del codice identitario trasportato nel cuore e nella mente da ogni profugo dalla terra di origine nel XV secolo.

Ritenere di fare colpo svendendo i contenitori della nostra identità attraverso gli apparati multimediali o buttarsi nella mischia politica “dell’etnocentrismo” che ha fini di appiattimento, non è certo la ricetta ideale per rilanciale gli oltre cento paesi arbëreshë.

Nelle vicende degli ultimi due decenni i Katundë hanno sopportato di tutto, si potrebbero citare i concorsi emergenziali che hanno restituito carene al posto dei tetti a falda, ardesie al posto dei coppi, gjitonie lette come porte medievali, abusi edilizi scambiati per case antropomorfe, e adesso si vogliono recuperare le emergenze architettoniche e urbanistiche senza avere alcuna consapevolezza storica di territorio, luoghi, scenari e ambiente.

Oggi assistiamo impotenti a manifestazioni in cui si preferisce demolire l’architettura storica immaginando che sia la via più breve per sanare i mali della società, purtroppo non è cosi in quanto, l’architettura nasce per rispondere alle esigenze dell’uomo, se poi quest’ultimo ne fa un uso improprio non è certo colpa del manufatto che rimane li a prendersi le colpe del malaffare degli uomini, si potrebbe concludere che è facile dare la colpa alle strutture che hanno un corpo, un anima e non la bocca per difendersi.

È impensabile che giovani diplomati senza alcuna esperienza, magari affidandosi solo a qualche corso formativo, a ore, siano in grado di leggere le trame urbane e gli elevati storici dei paesi di origine arbëreshë che “non sono Borghi”.

La diplomatica del recupero tutela e valorizzazione dei centri urbani di origine arbëreshë, detti anche minori, è un tema che deve essere sviluppato solo da quanti hanno consapevolezza della visione storica, degli eventi sociali per i quali sono stati edificati gli agglomerati aperti grazie al genius loci.

I katundë arbëreshë che come i dotti di architettura enunciano, derivano dalle esigenze umane, attraverso la comprensione delle forme costruite, divenendo per questo, espressioni della civiltà che  manifesta gli esperimenti con le forme dei tempi.

Le specifiche strutturali sono il segno dei fenomeni esistenti; opera dove, soprattutto in passato, di misura con la qua­lità dell’ambiente e si configurava in concomitanza della qua­lità del vivere.

La conoscenza progettuale prendere consapevolezza, ogni qualvolta si elabora secondo precise «scelte», disegnando luoghi in grado di configurare caratteri.

La conoscenza della storia è indispensabile per ogni qualvolta si cerca d’intervenire all’interno del centro antico e nel caso dei paesi arbëreshë, oserei dire dei centri della storia, giacché consente di riconoscere quali sono stati i valori culturali di genere «etnocentrici», gli ideali e le affinità che hanno guidato le diverse configurazioni di Katundë e dei suoi monumenti nel corso dei secoli.

Per questo è importante eseguire studi morfologici per comprendere il significato profondo delle forme nello spazio; il valore formale del manufatto – nell’insieme di caratteri urbani ed edilizi – quindi si giudica attraverso una coscienza storica, che appartiene al presente, in base alla considerazione di fatti architettonici esistenti e ancora significativi.

L’edilizia e le architetture che strutturano un luogo urbano ne costituiscono lo spazio fisico, ne rendono l’identità; il riconoscimento dell’unità significativa, rappresenta ­l’insieme dei fatti che si sono costruiti nel tempo, attraverso l’espressione di vari linguaggi figurativi.

La storia dell’arte, consente di conoscere le concezioni estetiche e riconoscere gli aspetti delle opere relative, distinguendone i vari periodi formativi.

Nel caso di opere di architettura e impianti urbani soltanto la capacità disciplinare propria degli architetti e urbanisti educati a progettare, può indurre all’identificazione del principio tipologico su cui si è fondato un edificio e al riconoscimento dei relativi processi di costruzione della struttura morfologica.

L’organizzazione tipologica, infatti, esprime chiaramente la concezione spaziale che ha caratterizzato in un certo modo le diverse fasi dell’abitare dagli ambienti monocellula­ri e polivalenti con prevalenza della verticalità, distribuite funzionalmente nell’orizzontalità.

Considera lo stato delle cose nel rapporto con il loro passato, deve aprire a valori universali, meno legati

È quindi necessario acquisire una conoscenza dell’ambiente, anteponendo ricerche “opportune” per comprendere il risultato odierno, al fine di contestualizzare le forme tutelando le originarie motivazioni urbane, affiancandola a una nuova possibile realtà.

La ricerca progettuale intende affermare il principio secondo il quale il manufatto architettonico deve indicare una rotta rispettosa dell’esistente e lo sviluppo possibile, avvicinando senza strappi il rapporti tra la morfologia che si conserva e le necessarie di utilizzo secondo le nuove necessità.

Tutto questo per lanciare un antico grido di avvertimento GJITHË GJINDIA T’ GJEGJEN, che non deve essere inteso come la mera offerta commerciale giornaliera, ma il consiglio di un esperto che nel tempo di una legislatura prevede che tutto finisca in: një shëpi një €, o  tre shëpi dy €, se non si corre ai ripari.

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