NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Tommaso Campanella nacque a Stilo in provincia di Reggio in Calabria il 5 Settembre 1568, di umili origini, si distinse fin dalla prima giovinezza per la prodigiosa memoria e la grande capacità di apprendimento.
L’epoca del Campanella è un tempo ricco di grandi e drammatici contrasti: la rottura definitiva dell’unità del mondo cattolico, da un lato, porta con la Riforma, alla maturazione delle premesse storiche poste dall’Umanesimo e dal Rinascimento; dall’altro, si da inizio, in l’Italia e in particolare nel Mezzogiorno ad un lungo periodo d’involuzione politica e sociale, che vede nascere e fiorire la Controriforma e stabilizzarsi la dominazione congiunta dell’impero di Spagna e dell’inquisizione.
Fra Tommaso 1582 entrò nell’ordine domenicano, dove ricevette una prima formazione filosofica di stampo aristotelico.
Trasferitosi nella capitale partenopea nel corso del 1590, pubblicò gli otto libri della Philosophia sensibus demonstrata, una difesa della filosofia di Telesio dagli attacchi degli aristotelici.
Dopo due anni, per un’accuse infondate e di oscure origini, a cui era abituato a rispondere con la frase: ho consumato più olio io che vino i miei accusatori, fu processato dal tribunale del suo ordine religioso e costretto a rientrare in Calabria.
Contravvenendo alla condanna egli invece recò a Roma, a Firenze ed in fine a Padova, dove frequentò la facoltà di medicina, sotto false spoglie, fingendosi uno studente spagnolo.
In seguito al trattato La monarchia dei cristiani, del cui testo oggi non si ha traccia e Discorsi universali del governo ecclesiastico, nel 1594 fu arrestato dall’Inquisizione e condotto a Roma.
Dopo due anni di duro carcere, fu relegato dal suo ordine religioso nel convento di Stilo ove in questo periodo produce opere come: l’Epilogo Magno di quello che della natura delle cose ha filosofato fra T. Campanella servo di Dio, il Dialogo politico contro Luterani, Calvinisti e altri eretici, e le prime poesie, tra cui il Sonetto fatto sopra un che morse nel Santo Offizio in Roma.
La forzata permanenza in Calabria ebbe terreno fertile per la sua critica del malgoverno e delle ingiustizie sociali.
Ebbe modo di mettere in pratica una congiura che mirava alla liberazione del paese dal dominio spagnolo, alla abolizione della proprietà e alla instaurazione di una democrazia di tipo comunistico e teocratico di cui egli stesso sarebbe stato il legislatore.
La congiura fu scoperta e Campanella fu arrestato e tradotto a Napoli per il processo. Durante l’istruttoria si finse pazzo, (1602), la recita gli tornò utile perché ebbe salva la vita, ma non gli evitò la condanna al carcere perpetuo dove rimase per ventisette anni. Prima in condizioni estreme nell’orrida fossa di castel Sant’Erasmo, poi con meno rigore gli consentirono persino di entrare in corrispondenza con alcuni grandi intellettuali, tra cui il Galilei.
Risalgono a questo periodo le sue opere più note in campo filosofico: Del senso delle cose e della magia, Philosophia realis, l’Apologià prò Galileo e la Metafisica, mentre nel che avevano come sfondo la politica realizzò, La città del Sole, La monarchia di Spagna, Discorsi ai principi d’Italia e il Quod reminiscentur.
Nel 1626 Campanella riuscì a farsi consegnare dal governo spagnolo al Sant’Uffizio romano che, sotto l’influenza di Urbano VIII, interessato alle doti divinatorie del calabrese, migliorò le sue condizioni di detenzione.
Il periodo fortunato si interrupe nel 1633, quando a Napoli, nella preparazione di una congiura antispagnola, fu scoperto un suo discepolo.
Nel 1634, per evitare un nuovo probabile arresto, si trasferì a Parigi, dove trascorse gli ultimi anni nei quali riuscì a riordinare e pubblicare la sua immensa opera letteraria.
Morì, come avevano molto tempo prima predetto, pochi giorni prima dell’eclisse del giugno 1639 e precisamente il 21 maggio di quell’anno.