NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Sono cinquanta i Katundë della regione storica arbëreshë citeriore e non, che in questi giorni ricevono la visita da quanti ritengono, come Diogene, di aver trovato la via per tutelare quanto del patrimonio, minoritario, sia ancora recuperabile.
Si parla di Arbëria, di Gjitonia, di Valje, di Borghi, di progetti per la valorizzazione dei costumi e di tante belle intenzioni, nonostante è imperturbabile lo stato in cui versano gli ambiti attraversati, bonificati e costruiti per essere vissuti dalla minoranza, che dovrebbe essere difesa fosse soltanto perché è modello che si sostiene sui dettami d’integrazione più solidi del mediterraneo.
Se ancora oggi, ostinatamente si disegnano progetti architettonici ritenendo che apporre l’Aquila bicipite, sia sufficiente a valorizzare ambiti storici irripetibili e colmi di storia, non è una buona fine della legislatura ne queste possono essere i solchi di una buona semina.
Questo esempio e tanti altri stati di fatto sono stesi alla luce del sole e possono essere constatati digitando sulle piattaforme multimediali, le parole chiave quali: Rioni, Arbëria, Gjitonia, Valije, Quartieri, Huda, Rruga, Sheshi, Shiniagnë e Ndrikula; vi renderete conto che leggerete cose fuori da ogni buon senso, lasciando basiti, quanti sono cresciuti secondo l’antica consuetudine, ma anche quanti hanno consapevolezza di storia, di urbanistica e di architettura.
Con tutte le buone intenzioni diffuse mai messe in atto ancora oggi non esiste una solida istituzione preposta per la tutela della minoranza, in grado di illuminare la retta via e impedire al libero arbitrio su tematiche fondamentali, ragion per la quale oggi dovrebbero riflette per iniziare a restituire la giusta collocazione della regione storica con dedizione, garbo, titoli ed esperienza, quella genuina raggiunta con lo studio, oltre la dedizione, nei secoli scorsi dai nostri avi, mentre oggi prevalgono i muri di gomma dell’approssimazione degli eletti.
Non è più concepibile continuare imperterriti a dare la zappa a chi non la sa usare, e per questo fa danno o addirittura affidare incoscientemente l’aratro, a quanti non l’hanno mai vista, a questo punto è certo che passando vicino alle piante ritenendo di dover incidere di più, sia danneggia la radica e il giorno dopo la pianta inizia a morire e non da più frutti.
Continuare a deviare l’acqua dei torrenti per il solo scopo di danneggiare chi possiede il mulino più a valle , non è più un modo per fare economia condivisa o pretendere che a macinare sia sempre il solito o i soliti inesperti manovratori.
Ne si possono mettere a dimora uliveti o vigneti avendo come fine la dipartita del nostro confinate perché è un agricoltore più bravo; serve lungimiranza quando si decide di assumere certe posizioni disfattiste, giacché l’averlo vicino sarà sicuramente un bene quando il terreno che si possiede ha bisogno di rigenerarsi ed essere seminato a cereali.
I domani sono pochi, plauso a chi sa scegliere cosa coltivare e quando; adesso inizia la stagione delle piogge servono registi dell’agricoltura per la semina e poi in estate dopo il raccolto del grano avviare la stagione dei mulini e fare il pane migliore per portare a regime la martoriata regione.
Diogene può anche tornare da dove è venuto, qui non abbiamo bisogno di cercare, quello che serve lo hanno trovato i nostri avi a tempo debito, oggi a noi resta il compito di raccogliere, ma se a farlo non sono le persone giuste, questa sarà un’altra annata finita male.
Non servirà a nulla, incolpare il tempo o la carestia, prima che venga la neve urge il pane buono; quello fatto con Farina, Lievito madre, Sale e Acqua nelle giuste proporzioni.
Il forno è pronto, lopata per a infornare anche, spetta agli illuminati il compito di impastare e far lievitare l’evitare il composto, avendo cura di proteggere con cura e sapiente attesa.