NAPOLI (di Atanasio Basile Pizzi) – È da venerdì che senza alcuna soluzione di continuità, si postano commenti, foto e video dell’evento caratterizzante martedì, seguente la Pasqua arbëreshë.
Non un ripensamento, non una riflessione condivisa è stata realizzata, se non libere interpretazioni, fuori dai protocolli arbëreshë.
Dopo due anni di mancata rievocazione la mante avrebbe dovuto reagire per correggere quanti distrattamente hanno inteso, l’appuntamento di martedì, come espediente per confermare, la deformata del costume, divenuta libera interpretazione o sintesi globalizzata di inesistenti avvenimenti.
Da tempo studi specifici rivolti alla minoranza arbëreshë, hanno palesato quante inesattezze sono state ritenute vere, mentre dubbi avvolgevano tutte le conclusioni relative, inducendo, per questo a desumere che tutte queste dovevano essere sovvertite, a cominciare fin dai primi fondamenti e preparare saldamente un duraturo protocollo identitario, per le generazioni future della minoranza.
Questa nei fatti è diventata un’operazione assai impegnativa, nell’attesa che i tempi maturassero per non dover aspettare un’altra generazione per impadronirsi del disciplinare.
Per questo il tempo che rimane per agire, lo si utilizzi a fini di una pianificata tutela, vista la pausa di riflessione che a ben vedere supera le pieghe che ha un costume arbëreshë.
Le Valje, Vaglie o Valie raggiungono storicamente il loro apice nel periodo di post Pasqua, notoriamente esso rappresenta il primo appuntamento religioso condiviso dalle chiese Latine e Grecaniche.
Le vicende conseguenti il Concilio di Trento intorno alla metà del XVI secolo, disposero scelta di indirizzo a favore della chiesa latina con espedienti più pregnanti nel territorio di competenza; i vescovati alla luce di ciò, imposero in senso generale con più forza i loro riti e così fu anche a scapito degli arbëreshë.
Tuttavia non tutti i paesi di minoranza arbëreshë, accolsero di buon grado tale direttiva, specie in quelle macro aree, ricadenti in diocesi, con patti storici con la Romana Chiesa.
Dai tempi di quell’imposizione, dal 19 marzo l’inizio dell’estate secondo il calendario bizantino e in particolar modo per gli arbëreshë, sino a Pasqua inoltrata, tutti gli appuntamenti religiosi diventarono occasione per mostrare la propria identità, in forma d’ironica protesta, nei confronti delle autorità civili e clericali, naturalmente fuori dai perimetri religiosi e all’interno dei centri antichi.
In origine protestare per la propria identità non era impresa facile, per cui, facendo apparire le manifestazioni come la festa della fratellanza (Vlamia) tra indigeni e minoritari, divenne il modo per camuffarle il messaggio tra parlanti l’antico idioma.
Il canto e le movenze, che attraverso il bagliore di raffinati costumi, inviavano messaggi di profonda ironia e ogni genere di rancore palesato, verso le autorità locali che ignare applaudivano divertite.
La Valja per questo è da ritenere la massima espressione dell’identità arbëreshë; in quanto, attraverso la metrica che sostiene l’antico idioma, (canto fra generi), valorizzato dell’arte sartoriale, che nel corso dei secoli si veniva a comporre, rappresentano le forme più espressive in senso tangibile ed intangibile per i minoritari facente parte della regione storica.
La Valja è la massima espressione canora per gli arbëreshë, essa non va associata a ipotetiche battaglie dell’eroico Giorgi Castriota, che in questo caso non centra nulla, o addirittura Ridde tra Arabi e Saraceni, ne tanto meno danze senza garbo, dove ad essere compromessa è la storia del costume settecentesco arbëreshë, la prima espressione in forma di arte materia.
A tal fine e per terminare questo breve, si ritiene opportuno azzerare tutti gli eccessi e le anomale interpretazioni, che ormai non hanno senso e motivo per replicarsi in futuro e per il bene della continuità storica vanno a breve giro di Valja accantonate, sperando che la memoria perda questa brutta composizione senza finalità identitaria.
Il prossimo anno tornerà la nuova estate per gli arbëreshë, per tanto a partire da oggi, “urge instaurare un tavolo di lavoro”, per un saggio ravvedimento, tanti giorni quante sono le pieghe della veste che rappresenta il padre sommate a quelle dello sposo, sono di auspicio che i tempi sono maturi.
A tal fine è urgente riunirsi attorno al seme della radice e quello del nuovo fiorire, per disponendo con dovizia di particolari, gli ingredienti indispensabili per le nuove generazioni di fare valjia, senza “mai inginocchiarsi” innanzi a gonfaloni stesi, in segno di resa.