Il dibattito sui beni culturali si è articolato da lungo tempo nei molteplici ambiti di interesse che in essi si configurano.
Solo all’inizio del XIX secolo il dibattito sviluppatosi tra le diverse componenti culturali ha consentito di codificare metodi e modelli di intervento.
L’attuale regolamentazione del Restauro e della Conservazione dei Beni Architettonici e Paesaggistici, si può far discendere dalle enunciazioni di John Ruskin, Eugène E. Viollet-le-Duc, Williams Morris, Camillo Boito, che pur con le loro notevoli diversità di impostazione, hanno consentito di dare avvio alla Moderna Regolamentazione espressasi con la carta di Atene del 1931, con la successiva Italiana del 1932, sino ad arrivare con la Carta del Restauro del 1972
Il bene architettonico e paesaggistico viene considerato tale non solo sulla base della sua consistenza materiale di Reperto di un costruito ma anche grazie alla sua leggibilità offerto dalla cultura e dalla storia nella quale si è prodotta.
Ciò nonostante, è lontana l’idea di contraddizione, la trattazione del Patrimonio Culturale comporta anche la necessità di definire percorsi procedurali e giuridici ai quali assoggettare la gestione del bene.
In tale ambito si pongono la legge n° 1089 sel 1° Giugno 1939 per la tutela dei Beni Artistici e Storici, e la legge n° 1497 del 29 Giugno 1939, per la salvaguardia delle bellezze naturali.
Il più recente D.L. n°42 del 22 Gennaio 2004 ha unificato tali disposizioni in un unico testo contenente linee guida per la salvaguardia dei beni culturali.
Basterà la sola lettura dei 1° Articolo del D.L.n°42 a farci rendere conto di quanto i beni culturali dell’etnia Arbëreshe abbiano a tutt’oggi avuto appropriata lettura e valutazione.
Il patrimonio di storia e di beni culturali materiali e non dell’etnia arbëreshe non ha in effetti ancora trovato adeguato inquadramento e valutazione nonostante quanto riportato nell’art.1 del D.L42/04 (Di seguito trascritto).
Si possano addirittura lamentare significative disattenzioni addirittura verso preesistenze Architettoniche non certo minori.
Art. 1 – Principi
1. In attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale in coerenza con le attribuzioni di cui all’articolo 117 della Costituzione e secondo le disposizioni del presente codice.
2. La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura.
3. Lo Stato, le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e la valorizzazione.
4. Gli altri soggetti pubblici, nello svolgimento della loro attività, assicurano la conservazione e la pubblica fruizione del loro patrimonio culturale.
5. I privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale sono tenuti a garantirne la conservazione.
6. Le attività concernenti la conservazione, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale indicate ai commi 3, 4 e 5 sono svolte in conformità alla normativa di tutela.
Nell’attuale contesto l’applicazione della norma deve riuscire ad ampliare la valorizzazione del bene integrandone lo spazio urbano in cui si colloca; (in funzione dello sviluppo sociale ed economico locale), spazio che si ritrova frammentato e manomesso da interventi irrispettosi delle singole valenze storiche.
E’ impensabile una politica dei beni culturali non rientrante in una più ampia programmazione culturale per la cui attuazione occorrono collegamenti tra il ministero, le sue sedi preposte e gli enti locali.
La tutela di questo patrimonio nazionale non può essere sancita da una norma generale dello stato, ma valorizzata e fruita in seguito a definizione e regolamentazione in sede locale.
Nel merito della Comunità arbëreshe va ricordato che questa venne accolta nelle valli della Calabria Citra, dai Principi di Bisignano, di questi il Luca Sanseverino (1420-1475) fu il primo, mosso da necessità di ripopolamento, di bonifica e difesa delle stesse, a lui successero gli eredi Girolamo (1448-1487), Bernardino (1470-1517) e Pietro Antonio (1790-1865) poi.
La storia secolare della presenza arbëreshe nell’Italia meridionale ( minoranza etnica più numerosa) ha avuto un significativo riferimento dal 1733 nel Collegio di San Benedetto Ullano, realizzato su proposta dei Rodatà su disposizione del papa Clemente XII del casato dei Corsini, successivamente trasferito nel 1794 a San Demetrio Corone.
La cui istituzione aveva il fine di formare prevalentemente il clero locale secondo il rito Greco Bizantino; aperta anche a studenti laici, consentì l’innalzamento culturale della comunità.
Furono numerosi i personaggi Arbëreshe che ebbero occasione di affermarsi nelle sfere culturali Italiane della seconda metà dell’800, ricevendo lodi e riconoscimenti in tutta Europa.
Le due sedi del Collegio che furono fucina di formazione e cultura della comunità Arbëreshe e non solo, sono ridotte oggi a sopravvivenze spogliate di ogni traccia, della loro antica consistenza culturale, fisica e patrimoniale.
La vecchia sede del Collegio, restituita al suo antico splendore potrebbe essere riutilizzata quale sede di un osservatorio ove depositare e controllare il patrimonio dei beni culturali della Calabria Citra di pertinenza Arbëreshe.
Sarebbe auspicabile istituire una fondazione dove far convergere materiale storico e reperti disponibili presso enti e strutture pubbliche oltre quelli privati.
La cui gestione culturale potrebbe essere affidata al coacervo di tecnici ed esperti delle varie discipline, nella fattispecie appartenenti alla Soprintendenza, alla Curia di Lungro e alle Istituzioni Locali oltre a tecnici di consolidata conoscenza della storia Arbëreshe.
Attraverso la fondazione Corsini si avrebbe finalmente un punto di riferimento certo ove proteggere, diffondere, e promuovere, tutti gli eventi storici che hanno caratterizzato la nostra cultura, salvaguardare le emergenze architettoniche, i riti e le tradizioni che hanno scandito i secoli trascorsi, gli studi ed esperienze multi disciplinari, che giunte sino a noi abbiamo il dovere di tramandare.