NAPOLI (di Atanasio Basile Pizzi) – Per realtà degenerata, mediocre o senza storia, s’intende l’atto di imporre percezioni sensoriali, attraverso informazioni che degenerano la prospettiva del vivere natio, specie nel baricentro dal costruito storico, quando a valorizzare l’uomo e la natura, sono immagini senza storia.
Le cose della radice umana, manipolate di sovente dai comunemente, propongono atti pittorici, lì, dove l’uomo non è più attore delle sue cose e del suo vivere quotidiano, ma un semplice spettatore passivo o in veste di turista che passa e va.
Unica risorsa ancora viva, disponibile al genio locale, rimane la ribellione dei cinque sensi, che imperterriti non si adattano a queste espressioni del vissuto figurato, oltretutto pensato da altrui menti, sicuramente successo in stupore e divertimento per i viandanti; ma colpo al cuore per quanti sentono, vedono, odorano, assaporano, parlano senza riverberi tipici del focolare materno.
Un tempo era l’uomo che faceva il ciabattino, il fabbro, il maniscalco e ogni sorta di mestiere con i passanti locali spettatori.
Quando da piccolo si aveva “ghë nge” letteralmente tradotto “una voglia” ancor più nota dall’arbëreshë volgare come “gnë n’guli” erano le nostre madri a soddisfarle con prodigiosi manicaretti la nostra esigenza di irrequietudine e non certo ci affidavano alle trovate, delle altrui genti o ignoti passanti.
Un tempo erano i bambini che riempivano piazze e anfratti con la libertà dei loro giochi.
Un tempo erano le nostre madri e le nostre sorelle a riunirsi negli anfratti storici, contro vento e riempire quei luoghi ameni, annotando e intrecciando la storia locale durante i pomeriggi assolati.
Un tempo era la comunità a fare festa per identificarsi in valori della propria religione.
Una volta eravamo noi i protagonisti della nostra vita, dentro le scene del quotidiano vivere in comune.
Un tempo erano le nostre madri, che risparmiavano in tutto, compresa l’acqua sporca, riversata “Kasanë” ambiti naturali dove, le correnti ascensionali, assorbivano i maleodoranti miasmi e la terra rigenerava i reflui per produrre eccellenza.
Un tempo le nostre madri si riunivano per tessere e consolidare rapporti parentali, predisponendo strategie di mutuo soccorso.
Un tempo erano le nostre madri a vivere serene, perché i luoghi dei gioco dell’adolescenza erano sicuri e sotto l’occhio vigile degli adulti che divertiti assistevano.
Un tempo le nostre madri si vestivano a festa per fare atti coerenti, garbatamente vestite e senza eccedere negli atteggiamenti di confronto.
Una volta le nostre madri ci abituavano ad affrontare la vita, rispettando gli altrui generi, mai ritenuti in alcun modo mira di scherno o usati per dominarli o sottometterli, in quanto, ritenuti nostri pari con abilità uniche (a tal proposito si possono fornire prove e avvenimenti).
Un tempo le mostre madri, quando stanche restavano davanti all’uscio di casa, il luogo di spogliatura dei prodotti del trittico mediterraneo, attendevano il premio della loro abnegazione in forma di ritorno dei propri cari dalla campagna, non per finta ma per vita vissuta.
Un tempo la vita del paese era fatto di noi tutti, sia si trattasse del centro storico, sia delle frazioni o di ogni Kota/Rashë di terreno lavorato.
Quelli erano i tempo in cui le uniche onde del mare nostro, erano prodotte dallo scorrere lento del Galatrella; carezze simili alle materne, e ti crescevano c senza pericoli, perché fatte di lievi abbracci di docili acque.
Oggi la realtà degenerata, mediocre o senza storia, mira a rubare il futuro, impone scenari per le nostre cose e dalle vie quotidiane, trasformandoci in spettatori senza forza e cosa più grave siamo scippati sin anche dall’attivare i nostri cinque sensi.
Il genere umano è strano, anzi potrebbe dirsi degenere o perverso, in quanto, invece di rendere la vita partecipata nei centri minori, si preferisce illustrarla secondo le metriche di giullari senza futuro, che producono abusi edilizi perché modificando sin anche il senso certificato delle cortine edilizie.
Tuttavia, per quanti non hanno letto un libro, non hanno partecipato al vivere civile delle piccole comunità, è bene far sapere che lo scorrere del tempo non è dettato dalle onde del mare in burrasca o da voci altre; gli ambiti dei piccoli centri antichi, le prospettive le disegnano, giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, quanti vivono e attivano i cinque sensi, coerentemente da oltre sei secoli di vita condivisa tra generi e ambiente naturale in crescita.