NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Nel percorso di studio per la definizione della Regione Storica Arbëreshë, sono parte inscindibile le vicende mediterranee dell’Impero Romano d’Oriente e d’Occidente.
Sicilia, Calabria, Lucania e Puglia, il cuore pulsante del mare nostrum hanno riverberato modelli culturali in tutta Europa, per questo sono da considerarsi, fucine culturali e modelli sociali irripetibili a cui tutti i popoli del vecchio continente ambivano giungervi.
Non per conquistarle e distruggerle, ma per viversi, perché territori climaticamente ideali; come citava in proposito Aristotele: dove le arti e la cultura germogliavano e progrediscono.
Le regioni per questo conservano un patrimonio culturale che si rigenera grazie al clima e i suoi parametri rendono solidi il tangibile e l’intangibile che in esso prolifera.
Il dato di fatto, smentisce la definizione secondo cui la rotta è priva di valori culturali, o non illuminati dalla luce di Cristo, quanti affermano ciò, sono stati partoriti dalla dea dell’ignoranza.
Immaginare la via di Cristo diversa dalla via Appia, l’Herculea, la Popilia per giungere nelle periferie campane, è segno di non conoscere la storia e la geografia più elementare, sporcando, con questa affermazione l’’opportunità di redenzione culturale offerta .
Definire regioni dimenticate da Cristo le terre dove sono nate e si sono sviluppate le culture del mediterraneo, oltre le religioni che mantengono distesi gli equilibri politici del mondo, il confino è stata una misura troppo lieve.
Immaginare il supremo provenire da nord, rappresenta una deriva culturale che non ha precedenti e non trova spiegazione, in nessuna ragionevole manifestazione di protesta.
Il meridione circoscritto dalla Sicilia, la Puglia, la Calabria e la Basilicata sono gli stessi ambiti, che illuminarono persino i romani; ritenerli privi di guide divine, specie da quanti non sanno che opporsi per partito preso, per soffocare la ragionevolezza dei saggi, si fa confusione tra sacro e profano.
Stiamo parlando delle ideologie culturale del secolo scorso, le stesse poi applicate da una parte politica del nostro paese e alcuni anni dopo hanno dato inizio alla deriva culturale della regione storica.
Il rimaneggiare il prezioso modello mediterraneo d’integrazione, unica essenza, ancora integra che dopo l’ombra prodotta da quanti si sono inchinate con lo scopo di valorizzarla, ha dato avvio al processo di decadimento degli ambiti della minoranza, deteriorandola.
La Regione Storica Arbëreshë è la prova che Cristo in questi luoghi vi è transitato lasciando la saggezza linguistica, quella della religione che avvicina i popoli, attraverso consuetudini e metriche che solo chi è arbëreshe comprende, giacché, non esistono scritture con cui tramandare i codici, non esistono scritture per integrare popoli, non esistono scritture per ripetere miracoli.
Quando le menti politicizzate smetteranno di immaginare che gli ambiti attraversati, bonificati e vissuti dalla minoranza, sono un cantiere di studio mono disciplinare, i cui abitanti cantano e ballano con la metriche senza senso, si potrà dare avvio alla stagione dei Criteri Minimi Della Dispersione Culturale.
Siamo alle porte della Santa Pasqua, essa rappresenta il momento della rinascita, e dal lunedì successivo partiranno le manifestazioni che caratterizzano la regione storica.
La storia ci ricorda che questo non è la festa delle battaglie vinta nel XV secolo, secondo una improbabile leggenda, giacché, rappresenta il momento di fratellanza e i canti di giubilo, (le Valje) secondo la metrica antica, vuole ricordare le lodi di giubilo fraterno, rivolta agli indigeni per l’inizio della rotta dell’integrazione.