NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Nell’antichità l’uomo mise a punto dispositivi acustici con forme simili ai contenitori di liquidi e cose, utilizzando materiali quali: pietra, bronzo e ceramica, a seconda delle necessità di amplificare o modulare parola e canto.
Questi contenitori generalmente trovati vuoti e, simili a urne, servivano a sostenere ed elevare i suoni, opportunamente affossati lungo pavimenti, li elevati murari o nell’intradosso degli orizzontamenti a volta, ottenendo così, un effetto di riverbero indispensabile a migliorare l’acustica dove avevano luogo manifestazioni pubbliche o di preghiera.
I contenitori risonanti, noti anche come “echeia” o “salvavoce”, sono stati descritti da Vitruvio già dal 80 a.C. e, sebbene siano una caratteristica distintiva dell’architettura teatrale romana, anche l’antico oriente aveva sviluppato tecniche per amplificare e modulare il suono, utilizzando questi strumenti ceramici, riflettono la comprensione avanzata dell’acustica o applicazione pratica della scienza del suono.
I romani prelevarono come bottino di guerra dai teatri in fiamme delle città greche, questi contenitori che subito dopo ebbero ragione e compresi di non essere vasi comuni, destinati alla conservazione del cibo, ma recipienti particolari che avevano funzione nel sistema dell’acustica di questi luoghi di ascolto.
Collocati in apposite nicchie ricavate nella cavea, la parte del teatro che ospitava il pubblico, i recipienti funzionavano come cassa di risonanza, aumentando la potenza del suono che proveniva dalla scena e consentendo, pertanto, una migliore acustica anche per quegli spettatori che occupavano i posti meno esposti rispetto al luogo dove si svolgeva la rappresentazione in favella.
Appare assai verosimile che questi tipi di recipienti, avessero funzione, a quali toni dovevano corrispondere, adottando la scala tonale del teorico musicale, che divide due ottave in otto toni fissi e dieci toni variabili.
I toni variabili erano selezionati poi per tre diverse modalità e, la modalità per i piccoli teatri rendeva necessaria l’amplificazione di sette toni.
A tal fine, tredici vasi risonanti dovevano essere collocati a intervalli uguali, due vasi per sei toni ciascuno e un vaso al centro per il settimo tono.
Nei teatri di grandi dimensioni, anche i toni delle altre due ottave avrebbero dovuto essere amplificati da altre due file con un numero corrispondente di contenitori risonanti.
Il vaso acustico o vaso sonoro veniva incastonato nelle pareti e sotto il pavimento di alcuni edifici antichi e medievali.
Sebbene la loro finalità non sia del tutto certa, si ritiene che avessero lo scopo di migliorare l’acustica degli edifici riducendo i tempi di riverbero.
I risonanti erano recipienti di metallo, come bronzo o rame, inseriti in nicchie nei gradini della cavea del teatro e, la loro funzione favoriva il diffondersi di specifiche frequenze, migliorando la qualità dell’ascolto per il pubblico.
Disposti in modo da corrispondere alla scala tonale di ben identificati toni della voce o strumenti musicali.
Nonostante la presenza effettiva di vasi risonanti nei teatri romani è stata oggetto di dibattito tra numerose le figure a ritenere che fossero utilizzati principalmente nei teatri in pietra, mentre in quelli in legno non erano necessari a causa delle proprietà acustiche naturali del legno.
In sintesi, mentre l’uso dei vasi risonanti nei teatri romani, divenendo un elemento che contribuiva a diffondere le tecniche acustiche dell’epoca.
Diffusamente i vasi si trovano incastonati nelle pareti e, conosciuti come echei o salva voce, si ispiravano alle teorie acustiche dell’epoca, avendo forme di grandi recipienti di rame o bronzo inseriti in apposite nicchie, che aumentavano la risonanza.
Tuttavia, a seconda delle dimensioni del teatro, gli echei potevano essere ospitati in una, o fino a tre file di posti a sedere, questi forma di campana, avevano feritoie sonore aperte verso la platea del pubblico (koilon).
Si riferisce che gli strumenti in metallo erano costosi, cosicché furono sostituiti da vasi di argilla nelle città più piccole e meno ricche.
Tuttavia come già accennato i vasi, si ritennero indispensabili solo nei teatri realizzati in pietra, poiché nelle strutture in lignee non erano necessari a causa delle naturali proprietà di risonanza delle essenze utilizzate.
Nei teatri di grandi dimensioni, anche i toni delle altre due ottave avrebbero dovuto essere amplificati da altre due file con un numero corrispondente di vasi risonanti.
L’efficacia dei vasi incastonati nelle pareti è stata tuttavia messa in dubbio in varie circostanze e, secondo alcuni esperimenti moderni, i vasi incastonati nelle pareti avrebbero, al contrario delle aspettative, peggiorato la qualità dei suoni assorbendo la risonanza di alcune frequenze sonore piuttosto che amplificare i suoni.
Nel suo documento, il cronista di Metz deride il priore per aver creduto che avrebbero potuto migliorare il suono del coro, mentre l’archeologo Ralph Merrifield suggerì che il loro uso sarebbe dovuto molto di più a una tradizione di depositi votivi piuttosto che a una vera e propria credenza alle teorie di Vitruvio.
Nel 2011, durante una conferenza tenutasi a Patrasso, in Grecia, venne dimostrato che la teoria era in effetti corretta e che la ricostruzione di un antico vaso acustico fosse possibile.
I vasi armonici (o vasi risonanti) sono stati utilizzati principalmente tra il Medioevo e il Rinascimento, in particolare dal XII al XVI secolo, anche se ci sono esempi più antichi e alcuni più tardi.
Per controllare la risonanza e migliorare la chiarezza del suono, specialmente nei luoghi con grandi volte r, nelle chiese bizantine, l’uso dei vasi armonici non era particolarmente diffuso come lo sarebbe stato pio nell’architettura romanica e gotica dell’Europa occidentale.
Tuttavia, ci sono alcune tracce e ipotesi che fanno pensare che in alcuni casi selezionati possano essere stati utilizzati anche in contesti bizantini.
E Fonti archeologiche e storiche a differenza del mondo latino-occidentale parlano esplicitamente di vasi armonici, le fonti bizantine non ne parlano in modo chiaro o diretto.
Tuttavia, in alcuni scavi archeologici (ad esempio in Grecia o nei Balcani), sono stati ritrovati vasi incassati nei muri di edifici religiosi bizantini, anche se non è sempre certo che fossero usati a fini acustici e non semplicemente decorativi o strutturali.
Le chiese progettate con una forte attenzione all’acustica, soprattutto per il canto liturgico, pensiamo alla potenza dei cori nella liturgia ortodossa che, preferiva usare elementi architettonici quali cupole, absidi, nicchie, per modellare l’acustica, piuttosto che vasi armonici.
Alcune fonti medievali occidentali raccomandano esplicitamente la loro installazione per migliorare la propagazione del suono nei grandi spazi liturgici.
Nelle chiese bizantine i vasi armonici non erano comuni né sistematici, ma potrebbero essere comparsi in modo sporadico o influenzati da altre culture, specialmente in regioni di confine tra Oriente e Occidente.
Lo schema secondo con cui essi erano disposti, ispirarono le arche dell’architettura, per le quali vennero immaginati spazi monumentale che potesse accogliere fedeli in forma di “abbraccio” simbolicamente i fedeli.
Colonnati o meglio una sorta di nicchia di costruito che fungesse anche da riverbero per la preghiera e, così, diffusa da uno altare baricentrico si potesse cogliere nell’emiciclo di San Pietro e nella Piazza del Plebiscitò a Napoli e in numerosi altri adempimenti architettonici di credenza o luogo di incontro di fedeli o sudditi dirsi voglia, in egual misura.
Infatti sovrapponendo lo schema Vitruviano per la collocazione dei vasi risonanti, agli impianti volumetrici di queste pizze o luoghi di riunione all’aperto, si configura un “progetto antico di ascolto diffuso” o messaggio di preghiera o plebiscito, uniformemente distribuito alla platea di credenti li riunita.
Non da meno sono gli altari le cupole o le navate con le devozioni laterali, se non le navate stesse poste lateralmente alla centrale, tutti questi infatti denotano u e compilano una cassa di risonanza per distribuire meglio la parola dell’apostolo divulgatore.
Atanasio Arch. Pizzi Napoli 2024-04-29