
NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Ricercare attorno a un Katundë, vuol dire analizzare le diverse realtà ed indagare sulle figure formali dell’organismo urbano, le morfologie insediative, le diverse tipologie vernacolari e architettoniche, ma soprattutto gli spazi all’interno della trama costruita e prendere forma, senso e tempo, dei sistemi di socializzazione poste in essere nel corso dei secoli.
Infatti gli spazi pubblici di tutto il Mediterraneo costituiscono un patrimonio culturale di rilevanza strategica e, da sempre hanno costituito il fulcro della “centralità” e non la borgatara periferica ridda circolare in difesa.
Il simbolo di questi modelli è la centralità della croce avvolta da cerchi di iunctura familiare e, fin dall’antichità il punto centrale assume ruolo “cruciale” che unisce e fa incontro di ogni Katundë.
I luoghi simboli dell’incontro sono gli spazio pubblici, il luogo di relazione tra i cittadini e, l’uso pubblico diventa il primo governo di questi luoghi liberi.
Lo spazio di relazione è costituito da elementi urbani, territoriali e sociali, in relazione alla forma, la storia e la struttura del Katundë, con i suoi fondamentali quattro sheshi, dove le funzioni sociali e culturali, sono i recinti ideali in cui si allevano le nuove generazioni con le quali la civis, progredisce in ogni cosa insieme.
Gli spazi di relazione rappresentano Gjitonia, il modello ideale senza spazi di confino, per questo non è individuabile alla pari di Katundë.
Questi agglomerati urbani del bisogno, sono ancora oggi, scrigni ricchi di storie, ricordi, simboli, tuttavia negli ultimi anni sono avvolti da una miriade di nuove costruzioni che ne hanno cambiato il profilo e la forma e sin anche la misura delle strade.
I centri storici dei Katundë sono patrimonio dell’umanità, e dovevano essere considerati, “delicati organismi” da, estrapolare dai canali e le pressioni del turismo di libero accesso, rimanendo immensi nell’inutile traffico che senza tregua, stravolge le reali prospettive che non erano fatte per parcheggiare.
Difendere i centri antichi di questi agglomerati in forma di Katundë, non vuole dire imbalsamarli o impedirne ogni adattamento a nuovi stili di vita, perché in questo modo si darebbe agio a tematiche ancora più pericolose desertificandole e, trasformando ogni cosa in scenari nostalgici e comunque indebolendone il valore abitativo che diverrebbero al pari di un parco o banale osservatorio di un tempo senza vita.
Per questo valorizzare i modelli abitativo del mediterraneo, che non sono assolutamente paragonabili a borghi, bisogna saper coglierne la straordinaria capacità di assorbire e reinventare spazi di vita endogena, in conviviale integrazione esogeni.
Da sempre questi centri antichi collinari e montani del mediterraneo vivono di storia e architetture del bisogno importata da altri luoghi paralleli.
Sono proprio questi ad aver saputo metabolizzare e a volte addirittura riesportare presenze nuove, come non è accaduto nelle terre ad est del fiume Adriatico che non ha stoicamente abbracci naturali lungo le sue coste.
Per questo difendere e tutelare i centri antichi di radice Arbëreşë significa valorizzare l’identità di uno specifico luogo edificato, la propria natura storica del bisogno vernacolare, il tutto capace di assorbire e adattarsi alle culture e le popolazioni che nel corso dei secoli le hanno percorse, abitate e sostenute ampliandole a misura.
C’è la necessità di preservare il più possibile l’eterogeneità di attività e di usi che li ha sempre caratterizzati e, nelle analisi di valorizzazione del territorio e in generale in quelle per la riqualificazione, la riflessione sulla perdita di valore degli spazi di relazione storici a svolgere la loro funzione d’incontro, mentre i nuovi luoghi di relazione delle pratiche quotidiana, delle nuove generazioni devono essere ben distinte se proprio non si vogliono accogliere i sensi della Gjitonia, al femminile materno.
La questione degli spazi di relazione sembra un problema nodale nel processo di rigenerazione di questi ambiti, infatti pur essendo validissima e tornata in auge la sua radice di crescita e incontro, come elementi di aggregazione.
Un Katundë “si compone materialmente di due parti che si compenetrano strettamente: spazi liberi e spazi costruiti.
“Gli spazi liberi sono di due tipi: pubblici e privati.
I primi, comprendono le strade, le piazze, gli spazi di pascolo pubblico dell’epoca delle costrizioni di alba e tramonto. Gli altri sono e rappresentano gli spazi di ogni famiglia dove era si sosteneva l’orto botanico, in tutto la garmaccia di iunctura familiare.
Tuttavia secondo le epoche la superficie urbana è ripartita in modo molto differente e l’evoluzione alla crisi epocali si manifesta nell’intricato labirinto di questioni che si possono affrontare solo se si raccolgono gli aspetti geografici, storici, architettonici, artistici, urbanistici, economici, sociali o i risultati delle ricerche di discipline “contigue”.
Anche se non è mai facile tenere insieme una gran mole di dati e un grado di approfondimento accettabile nello studiare e tradurre la toponomastica storica costantemente e impietosa li presente in memoria.
Se a questo sommiamo i modelli sui quali ragionare e, tale difficoltà si accentua e sono quasi nulle le figure a cui fare riferimento per ricucire questi labirinti di storia legata a eventi di una radice antica che non trova editi per essere accolta. o criticata
Dopo un lungo periodo di stasi, si sono moltiplicati negli ultimi anni gli interventi destinati alla salvaguardia, al miglioramento e alla rivalutazione di questi spazi senza conoscerne radice uso e valore soprattutto al femminile dove ogni genere in crescita trovava la propria dimensione.
La ricerca che qui si prova a proporre ad ogni amministrazione, istituzione ed istituto, si muove su diversi piani, ciascuno dei quali necessario per giungere ad una attenta qualificazione delle modalità nuove di funzionamento che gli spazi di relazione dovrebbero avere, ma ad oggi nonostante i tanti segnali non si ha alcuna adesione.
La considerazione che lo studi organizzativi degli spazi di relazione ed in particolare quelli storici può essere considerato un passo obbligato per la comprensione moderna di un Katundë, per proiettarsi verso progetti consapevoli dei significati e delle identità locale.
La riflessione sulla valenza del concetto di spazio di relazione diventano elementi portanti della struttura della ricerca a supporto di tesi che potrebbero essere dannose per la memoria.
Ossia riconoscere come luogo di accoglienza, confronto e incontro, con luoghi di crisi e conflitto ma anche luogo delle opportunità che avviano processi di salvaguardia dell’identità attraverso interventi di riqualificazione urbana con esiti di natura culturale, economica e sociale.
La ricerca ad opera dell’Olivetaro è rivolta all’analisi dei meccanismi che hanno generato dato senso alla distribuzione degli spazi urbani, siano essi vichi, archi, vicoli ciechi, orti botanici o piazzette senza uscita per estrapolare le conoscenze e rendere noti i principi, secondo cui l’urbanistica, intrecciata con le culturali di luogo natio, compilano la tessitura raffinata indispensabile, agli interventi di
Rigenerazione, al fine di intercettare, identificare i necessari strumenti per la salvaguardia odierna degli spazi di relazione come essenze parallele di tutto il Mediterraneo.
Il progetto di studio difatti tende ad individuare, attraverso specifici aspetti, la trasformazione degli spazi di relazioni all’interno del rinnovamento mediterraneo in senso generale secondo il ruolo della storia, vista come memoria di un passato importante, specie in questa parentesi storica di confronto tra popoli in ansia e quanti vivono la modernità e.
E quindi la qualità urbana deve avere o derivare da modelli la cui radice e rappresentato dal fusto del passato e da poter germogliare nella primavera che viviamo i suoi frutti migliori.
Pe questo il ruolo della storia deve essere interpretato in funzione del sito, la cui conoscenza diviene fondamentale per interpretare il senso e la direzione che ha fatto il costituito di questi progetti del bisogno.
Abbiamo già visto che la ricerca affannosa che è solo modernizzazione porta in auge solo comuni viandanti, gli stessi che portano molte volte, ad adattare vecchie piazze, strade e vichi, immaginati che siano nate, per altri usi e per altri utenti veicolati, deformando così, l’identità che nel tempo aveva caratterizzato e solidarizzato quel luogo.
Allo stesso tempo vediamo interventi di recupero e riuso degli spazi di relazioni, trasformando così, luoghi strategici per la centralità, solo per impegnare risorse.
La salvaguardia, il recupero e la valorizzazione degli spazi diventa pertanto un elemento fondamentale della ricerca, come questione nodale nel processo di rigenerazione di un Katundë, rispetto alle tendenze globaliste che mirano ad altri concetti sociali, comunque senza radice di luogo.
Queste potrebbero essere la fonte di una possibile perdita del “ruolo storico del tessuto” sociale e culturale di questi ambiti, poiché azzerando i tratti di riconoscibilità tra luoghi e persone, si smarrisce anche la memoria.
Rimane un dato inconfutabile ovvero, subite le maggiori trasformazioni, appare difficile attivarsi per il processo verso una corretta valutazione dell’entità in lavorazione e, né un controllo della qualità urbana diventa più possibile da attivare, ed è così che il ripetersi di modelli esogeni alla cultura endogena locale trovano più agio.
Un’attenta politica di valorizzazione dell’esistente, o la giusta simbiosi con le tendenze eclettiche e spettacolari dell’architettura globalista può consentire alle identità, alle peculiarità, della storia di questi agglomerati composti di Sheshi, non solo di non essere soffocate o estinte, ma diventare fondamento di un’originale china, dello sviluppo che si nutra anche dell’ambizione di produrre e diffondere “nuovi scenari chi la politica amministrativa ritiene inesistenti”.
Il senso di questa ricerca porta ad identificare un percorso di salvaguardia, in tutto, un processo posto in essere dalle civiltà meno note del passato qui in Italia, a casa nostra, e nel meridione disprezzato; un’operazione intesa a ricostruire i valori della città che si sono sgretolati nel tempo, memorie passate o memorie più recenti che ancora vivono nei ricordi locali.
Ciò che cambia è l’immagine della Gjitonia, che si trasforma e svela il suo potenziale storico, estetico e sociale di uguaglianza, di cui oggi si va alla disperata ricerca.
La finalità che in questo breve si vorrebbe perseguire, è racchiusa nelle linee progettuali, le quali impongono per prassi, una precisa consapevolezza dell’idea a cui si vuole tendere, la stessa che ha come passaggio obbligato la comprensione dell’identità arbëreşë,
Questa è operazione, non facile perché presuppone una conoscenza profonda dei suoi valori e dei suoi luoghi, spesso nascosta tra le pieghe dei tessuti e degli strati, avvolte velati appositamente per quanti vivono la città o altri ambiti di borgata o bavara, dirsi voglia residenza condivisa.
Risulta essenziale che il progetto, o forse meglio il processo di modernizzazione, vada ad investigare gli aspetti in merito alla forma, alla memoria e alla cultura collettiva per cogliere l’essenza dei luoghi e le dinamiche che li governano.
Quindi l’obiettivo della ricerca e del progetto è stato finalizzato allo studio e l’analisi dei processi di recupero e ri-qualificazione degli spazi di relazione per comprendere la conoscenza di questo patrimonio culturale e delle modalità con cui non è stato più gestito, per garantirne la salvaguardia e la continuità in solita valorizzazione.
Il risultato a sortito tuttavia è sortito nonostante l’estrema complessità per l’osservazione, la ricerca, l’intuizione indispensabili a comprendere il migliore approccio, il metodo e la procedura.