NAPOLI (Lo Storico Atanasio Pizzi Basile) – L’Accademia persegue il fine di tutelare, conservare e divulgare la lingua degli Arber, delineando Termini solidi e indistruttibili, con monoliti atti a circoscrivere le interferenze moderne, le stesse che insistono nel generare fatuo, cercando di vanificare la promessa data, in terra natia nel 1469, quella che ancora oggi i “Cruscofoni” promuovono dentro e fuori i confini della Regione storica diffusa degli Arbër.
Oggi da Napoli con il contributo di parlanti natii delle 21 macro aree, che compongono la regione storica diffusa, si vuole separare la farina, cioè la lingua, identificata con l’Albanese, dalla “crusca” ovvero la corazza che gli esuli utilizzano da quando approdarono nelle terre parallele, dal 1469 al 1502.
Il nobile intento a impronta dell’impresa del Cavaliere Giorgio Castriota figlio di Giovanni, non è stato finalizzato a forme di battaglie per sovrapporsi agli indigeni, ma per tutelare la propria identità rispettando anche le altre Crusche ancora vive.
Un progetto di non facile attuazione, ma la caparbietà che contraddistingue questo popolo, fa la differenza, con quanti rimasero in terra natia a segnare confini di terra in fermento.
Tuttavia tutti consapevoli allora, che dovevano come noi oggi, affrontare non poche difficoltà, prima di uscire in pubblico confronto, per realizzare un solido progetto, che accolga con misura tutti i Residui nei luoghi di macinazione dei cereali, separando con dovizia di radice, dal grano duro.
Un semplice ma antico atto di rifinitura, noto nel saper distinguere con saggezza la farina di oltre Adriatico, dalla crusca Arbër, ovvero, l’elmo del drago e non del capretto come suolesi rappresentare; come facevano le nostre genitrici quando infornavano buk me Krùnde , per sfamare ogni genere vivente di quelle terre, le stesse genitrici che hanno saputo allevare quanti sanno distinguere, il cattivo dal buono.
L’accademia che germoglia a Napoli, non è altro che un seme antico piantato nella purpignera (in Arber, vurvini i llem llitirit) protetto poi in età parlante, nel recinto del “giardino di l’Ina Casa” da uno dei contadini della lingua Arbër, definito il più eccelso, in Terra di Sofia, dal 1913 al 1964, anno, quest’ultimo, che passo il testimone al giovane parlante adottato a Napoli.
L’unico esponente Arbër vissuto con lo scopo principale di vigilare sul buon uso delle cose materiali e immateriali, portate nel cuore e nella mente delle genti provenienti dalla terra madre.
Il nome, promuove i crusconi senza alcun dubbio come eccellenza (per burlesca modestia, «gente degna di crusca e non di farina»), gli unici in grado di separare, nella lingua, la farina, cioè la lingua più pura, dalla crusca, cioè l’elemento meno valido, ovvero l’elemento della difesa di suolo.
La formazione culturale nella capitale con eccellenze in campo linguistico, sociale, storico, sia materiale ed immateriale, nel campo della musica, del restauro, della museologia oltre a saper leggere e disegnare le cose del passato, consentono quel titolo accademico, un tempo esclusiva delle Botteghe del Sapere o figli in discendenza.
A tal proposito è bene fare una piccola premessa, ovvero, fratelli Grimm, si nasce e non lo si diventa, solo perché si è in grado di favoleggiare, senza adeguata consapevolezza di garbo, educazione e sentimento, come hanno cercato di fare provetti fochisti, saliti sulla Cattedra che non è la stessa cosa di un Camino che unisce la famiglia.
Generando riverberi incontrollati prima lungo le Gjitonie, raccontate dagli indigeni e poi allontanandosi sempre di più, in piazze e palchi, scambiando, deserti culturale con oasi.
I fratelli Grimm sono diventati celebri per aver raccolto ed elaborato moltissime fiabe della tradizione tedesca e più in generale europea.
Le fiabe, per loro natura tramandate oralmente, sono di difficile datazione e attribuzione come la trasposizione letteraria in lingua napoletana “Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile”, che precedette sin anche i Grimm, per più di due secoli.
Tuttavia le loro storie non erano concepite per i bambini, oggi ricordate soprattutto in una forma depurata dei particolari più cruenti, e non mancano di contrarietà a edulcorare le storie.
Resta comunque sempre valido in concetto di Camino, la Crusca che contiene e avvolge la parte genuina di un ben identificato popolo, attraverso l’attenzione che i minori applicavano nell’ascoltare e comprendere le cose materiali e immateriali delle favole.
In dato non è stato compreso dai giullari o saltimbanchi, che invece di comprendere il senso dell’atto che si andava a esternare, disporre, attuare e attuare attorno al camino, ovvero la fucina del parlare una lingua antica, ci si è fermati alla mera falciatura delle favole poi lasciate alle intemperie a macerare.
Le favole non sono altro che il “vocabolario primo”, il più antico, autentico e solidale condiviso dall’uomo, senza carta penna e calamaio, sin dalla notte dei tempi realizzato.
Essendo le favole racconto di generi e parole che si usano descrivono il corpo umano e l’ambiente e le cose naturali che lo circondano per farlo crescere e vivere, in definitiva il messaggio, la consuetudine che i fratelli Grimm, seminavano e diffondevano per unire uomini della stessa terra, in tutto, quello resta e sarà sempre il corpo umano, lo stesso che suda, semina, opera e raccoglie le cose per fare vita.
È naturale chiedersi perché anche noi Arbër, per iniziare a delineare il vocabolario primo, quello che unisce la Regione storica diffusa ad Ovest del fiume Adriatico, con le popolazioni ad Est di detto fiume, non faremo altro che diffondere semplici parole che descrivono il corpo umano e il suo ambiente naturale?
In altre parole, mano, braccia, orecchie, capelli, ecc., ecc.; avrete, come per incanto, adesioni da parte di tutti i parlanti moderni e antichi di questa lingua, perché tutti senza alcuna distinzione comprenderanno il sostantivo, il verbo o aggettivo che sia, senza riserve.
P.S. visto che non ho fratelli, io faccio Grimm e voi sarete la fratria, così la storia si ripete anche per gli Arbër