Archive | In Evidenza

L’ULTIMO COMPONIMENTO DI ARTE LOCALE RISALE AGLI ANNI SESSANTA IN OPERA DEL PJGÌONË (kur mjeshtrat shërbejin tek rrugat e vacabunërath me ciombata zhëin murath e Kishës)

L’ULTIMO COMPONIMENTO DI ARTE LOCALE RISALE AGLI ANNI SESSANTA IN OPERA DEL PJGÌONË (kur mjeshtrat shërbejin tek rrugat e vacabunërath me ciombata zhëin murath e Kishës)

Posted on 17 luglio 2023 by admin

profile-pic-meegeren

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Arch. Basile) – Le eccellenze nate in Terra di Sofia, storicamente, non hanno mai avuto il giusto riconoscimento in ogni dove, siano stati esempio per le generazioni a venire, specie in quella terra dove videro per la prima volta luce, per avere innestati i raffinati sentimenti vicino al cuore e alla mente.

E chiunque abbia guidato la comunità, in ogni aspetto civile e religioso, li ha sempre ignorati, preferendo quanti vivevano ai margini e del loro sapere perché niente e nessuno avrebbe potuto trarre, spunto per migliorarsi o rendere merito alla comunità di genio citeriore.

Questo è un dato di fatto che alcuna figura, con un minimo di senso ed educazione culturale, dovrebbe proferire parola o difforme parola, alla luce delle tappe storiche qui brevemente annotate.

Se oggi servisse definire i termini delle eccellenze, o l’evoluzione del costruito storico del violato centro antico in Terra di Sofia, non si commette errore nell’affermare che le maestranze, in campo edile, analizzando il costruito storico, non erano o non sono mai state locali, anche se le scelte specie dal XX secolo, erano una prerogativa, ben distintiva dei muratori che non erano altro che contadini in ferie.

Questa prerogativa ha da sempre caratterizzato le cose del costruito, con gusto e giusta causa storica, delle Terre di Sofia, a ben vedere e osservando con titoli i palazzi nobiliari costruiti dalla fine del decennio Francese.

Tutti seguono una impeccabile progettualità nei tratti e nei significati dell’architettura dell’epoca e, in questi anfratti tardarono di alcuni secoli prima di apparire, grazie all’economia in ascesa.

Vero è che il centro antico prende forma e sino a qualche decennio addietro, poteva essere facilmente letto e interpretato sin anche di comunemente, oggi per opera di un esperto locale e basta.

Tuttavia la necessità risorte degli anni sessanta del secolo scorso hanno penalizzato numerosi edifici del centro antico, per la quantità di risorge che arrivavano dal duro lavoro degli emigrati economici di quell’epoca e, mancando ingegneri architetti e manovalanze specializzate, seguirono numerose imprese allestite per rispondere al mercato, ma non certo a quello che faceva testo nella Carta di Venezia, che in queste latitudini resta ancora ignota.

Per dare una misura di cosa tratta, è la stessa che in questi giorni si ode nei telegiornali, degli ignari che segano le loro iniziali nel Colosseo o nei monumenti storici Italiani, scalfendo le minimali superfici.

Bisogna attende il sorgere del sole ad est, precisamente a Serra di Zhòtë, per vedere un imprenditore edile, il quale con forza d’animo, fatta di umiltà e buoni propositi inizia ad edificare con senso e meglio, le cose nuove di questo antico luogo.

Una mente di eccellenza imprenditoriale in periodo è l’insostituibile E. Azzinnari ,che per il suo spiccato spirito di onestà, organizzava nei minimi dettagli i suoi diffusi cantieri in Terra di Sofia, disponendo specifiche professionalità nei settori strutturali, edili, impiantistici e delle rifiniture, dovendosi a suo giudizio, porre in essere, senza lacuna di sorta.

L’Azzionnaro, per questo si dedicò a progetti di interesse sociale e privato seguendo i suoi elevati e raramente qualche esempio persone a lui vicine.

Le cose private, per questo, terminarono nelle disponibilità di numerosi addetti, che incisero pesantemente nella consistenza di Solai, Architravi, opere Fondali e Coperture, per il fine di superfetare e volumizzare.

In seguito definite le misure delle nove case private, ebbe inizio la stagione del veicolare ogni anfratto ameno, storico o memoria locale, smantellando, sedili, porte, piani inclinati e ogni sorta di caratteristica che rendeva la terra di Sofia un Katundë Arbër parallela, proprio per le sue eccellenze di luogo.

L’ennesima trasformazione venne cosi allestita e, il Katundë, abbagliò sin anche il monte Mula, con i colori pompeiani e di chissà quale altra radice indigena, immaginata gratuitamente, nel mentre all’interno del centro antico uhda. dera e rrugat, per opera dei rinnovati amministrati, privati, pubblici e clericali, vide stendersi il centro storico, fuori dalla misura e le memorie locali, da allora silenziose, umiliate e lasciate inlacrime.

Negli anni sessanta e settanta i solai, i muri, le coperture e le fondazioni; negli anni ottanta e novanta, porte finestre; e dal duemila senza soluzione di continuità sono mira dei veicolatori seriali e come se non bastasse si continua imperterriti a seguire la regola del non rispetto dell’insieme comune.

Le stese che pur apparendo al pubblico inattaccabili nella intimità costruttiva, si utilizza violarne le patine esterne, come fa l’acqua quanto deve sfondare o bucare i duri lapilli.

Notoriamente tutti conosciamo la prassi che inizia goccia a goccia e cadere sugli strati lapidei, il tempo nel frattempo fa da testimone, fino a vedere passare l’acqua, senza frontiera, dall’altra parte, in tutto, piccoli strati di muro violato, per entrare in casa d’altri e fare il padrone non invitato.

Ma questa è un’altra storia, il cui approfondimento, ha bisogno di verifiche, come dicevamo prima il tempo, per questo, aspettiamo, per scardinare goccia a goccia i Scoroni che ballano, suonano e cantano in pubblica piazza senza merito.

Per concludere sottolineare un dato storico senza precedenti, non è male, don Carlo chiese a chi affidare il realizzare la recinzione del suo palazzo; gli fu risposto, anche se dovesse costare il doppio Pjgionitë, ormai sta chiudendo, almeno rimane un pezzo del lavorare il ferro, in terra di Sofia e cosi fece.

P.S. In memoria di Han van Meegeren: il falsario del XX secolo

P:S: corse in piazza con il bastone in mano e disse: chi di voi tocca la porta o il quadro dell’altare, deve discutere con il muso del mio bastone… poi voltò le spalle e torno nella sua seggiola a immaginare la recinzione da farsi.

Commenti disabilitati su L’ULTIMO COMPONIMENTO DI ARTE LOCALE RISALE AGLI ANNI SESSANTA IN OPERA DEL PJGÌONË (kur mjeshtrat shërbejin tek rrugat e vacabunërath me ciombata zhëin murath e Kishës)

10380838_867214309955501_7137936416165119763_o

VIAGGIO DI UN ARTISTA MODERNO NEI TRASCORSI CALABRESI LOCALI DEGLI ARBËR

Posted on 15 luglio 2023 by admin

10380838_867214309955501_7137936416165119763_oNAPOLI (di Atanasio pizzi Arch. Basile) – È facile cadere in inganno, quando si ode ripetere con insistenza il titolare “Arbëria” per riferire dei luoghi dove la comunità Arbër, ha disteso il proprio bagaglio consuetudinari di genio, ambiente mai inteso come Stato geopolitico, ma esclusivamente come gioiello territoriale, perché Regione Storica, esperimento  di accoglienza e integrazione irripetibile, perché senza alcun cenno di prevaricazioni di genere e di conquista.

Il rispolverare il senso del lavoro fatto a seguito del pellegrinare locale, pubblicato a suo tempo in diverse località, è un compendio di annotazioni disegnate, a giudizio dell’artista, di una credenza smarrita, senza avere consapevolezza dell’epoca dei fatti avvenuti e trascorsi.

I dipinti, ritraggono i Katundë Arbër, con grande finezza di monito da parte dell’artista rivolto agli Arbër, una linea che assume la forza di una frustata, per ricordare cose che lui stesso non conosce e a cui non sa dare valore di tempo e di luogo per la luce di credenza.

Diventano attori il sole, la luna e le cose che indicano la strada maestra dal suo personale punto di vista moderno, avendo come suo unico riferimento il perpetuo abbraccio di generi, divulgato come struttura edile antica fatta di ingredienti, poi letti da altri, in maniera a dir poco inopportuna.

Nella presentazione delle opere, si rendere omaggio ad un artista, raffinato che attraverso la divulgazione delle sue prospettive di credenza, esse rendono la misura dell’abbraccio delle genti che secondo, l’artista a torto, avrebbero dovuto seguire la piega di credenza di quanti rimasero a guardia dei confini.

Il grande maestro, di formazione occidentale, testimone e interprete di un lungo periodo di patimento culturale, del XX secolo, ha saputo coniugare i colori intensi del Mediterraneo, racchiusi nei ricordi della sua infanzia, con i grandi temi dell’identità inviolata, di quanti preferirono l’esilio per tutelare la memoria storica.

I cromatismi pittorici, diventano così, un viaggio identitari, che percorre i sentieri della propria radice di appartenenza, incastonata negli antichi sentieri di San Benedetto Ulano, Acquaformosa, Lungro, Frascineto, Civita, Plataci, della vestizione di Spezzano Albanese, Santa Sofia d’Epiro, San Demetrio Corone, Macchia, Vaccarizzo Albanese, e a San Giorgio Albanese, una tavolozza identitaria fatta dei colori della terra, del sole, il mare e gli abbracci di approdo mai terminati.

L’artista avverte l’alito, il soffio, la brezza colma di odori e sapori, restituendo il senso materiale e immateriale delle comunità Arbër, quella unica e irripetibile, la storica ricchezza durevole, identica e senza soluzione di continuità, viva da cinquecento anni, tra questi luoghi ameni.

Questo è il tempo passato, lo stesso immerso tra gli ambiti paralleli del cuore e della mente degli arbëreshë, fatto con il fuoco e campanili dei sentimenti che riportano, al tempo delle preghiere che non sono urla diffuse dai minareti, che poi modellarono, la tempra in terra madre.

Un itinerario artistico, che diventa, atto d’amore verso queste comunità antica del mediterraneo, costruito di genio storico condiviso, ed è proprio qui che il maestro si ritrova a case sua, immaginando che sia giusto diffondere minareti inesistenti.

Il sangue non mente e per questo avverte le antiche sensazioni che attiva armonicamente i cinque senso, qui tutti lo conoscono e tutti lo vogliono, in altre parole lui vive la sensazione di ritornare a casa propria.

Il viaggio spirituale tra i paesi inizia nel Pollino inferiore, dal monte mula che guarda verso il tirreno, dove l’antica Acqua Bella scorre rigogliosa, pura e limpida, finemente incastonata tra i le montuosità che osservano l’andare del Crati, ricordo parallelo dei monti dell’Albania, le colline e le pianure, dove il maestro nasce e trascorre l’infanzia.

Il secondo incontro è con le genti prospicienti il Raganello, a quel tempo senza più il “Ponte”, abbattuto dall’incuria umana, qui conosce le pieghe del “dolce e dormiente” la quale aspetta il bacio del principe per risvegliare il senso delle cose antiche tradotte male.

Ed è proprio qui che l’abbraccio fraterno delle due dinastie, ha terminato per essere inteso come favella di abusi antropomorfi civili e religiosi in contino favellare cose strane.

Liturgia bizantina e icone caratterizzano il Katundë della carmina convivalja, che diventa più la prospettiva di un monte con la croce che un luogo di credenza, mentre Salina appare in tutta la sua bellezza naturale, riconoscendone il valore della convivenza civile dei parallelismi ritrovati, una strada che divide gli elevati non rilevando alcun atto per la credenza in luce.

L’artista fa tappa a nella frazione di Bregu, da dove si osserva la piana di Sibari, dal Crati al Trionto, la terra che dette i natali nel vate Arber son faro, o pietra su cui si erge maestosamente, l’intimità culturale senza più vesti di minima decenza.

Arriva, poi, in montagna da dove l’estrema altura di un Katundë diventa l’altare raggiante dal Mare Jonio e la Piana di Sibari si trasforma in perla dentro una conchiglia, qui la piccola comunità sta tutta raccolta in un manto di stelle nel cielo di alberi e colori naturali.

Ecco ancora lungo il suo viaggio nella nuova religione Bizantina, accogliente e gentile, è il paese dei dottori, famosa per il suo santuario, come quello del trionfatore del drago; qui il tuffarsi tra gli ulivi e i vigneti, lussureggianti di verde e d’azzurro.

Ed è qui che appare luminosa la Terra di Sofia dove dal IX si prega con lo sguardo rivolto a Costantinopoli, sdraiata su una lunga collina con la sua suggestiva prospettiva agraria di unica e rara bellezza da qui il viaggio lo porta alla stazione di posta storica, la più esposta e durevole comunità albanofona d’Italia, la più esposta a continui confronti, cosa dire poi della vallja di credenze, con le due chiese che vanno per mano e non smettono di camminare.

Infine, quella che dovrebbe essere la Corone dell’ovest, dove si articola la sua storia in concerto al famoso collegio, ed è proprio qui che l’ironico, saggio artista invia finemente un messaggio di memoria smarrita secondo lui da ricordare in minareto.

Con queste piccole sintesi artistiche, di monito, il maestro intese “lasciare un segno indelebile di una sua esperienza illuminante, iniziata non meno di vent’anni fa e oggi analizzata con educazione e dovizia di particolari, sempre molto ermetici, onde evitare lo scuotere della intellighenzia dei numerosi liberi pensatori locali, “i grandi e distratti saggi”.

Un itinerario o atto d’amore che si esprime nelle sue cartelle con un “sole più grande che sorge un mare azzurro e colline sempre verdi e floride”.

Un segno d’unione con il passato intriso di radici, innestate in fonti inesauribili, ispirazione di un’attività di ricerca che si trasforma in espressione artistica nuova ed originale, ma che nelle sue opere diventa monito locale per le numerose cose smarrite.

P.S. Vallja; Dal lat. carmina convivjali, sono canti con cui i Romani antichi – secondo un’usanza diffusa presso i Greci celebravano durante i banchetti le gesta dei propri eroi.

P.S Il Katundë non ha le cose del Borgo, perché  modello aperto….

P.S. La Gjitonia è più ricca del Vicinato; almeno il doppio……

P.S. Lo Shashi non è una pizzetta circolare dove si dispongono finestre e porte gemellate…….

P.S. Il Rione è lo SHESHI

Comments (0)

LA TUTELA DISARMATA

PERSO GLI ATTREZZI, LA MEDICINA FU AFFIDATA AL PICCOLO DI FAMIGLIA (u bë jatrùa thëarbërvet i birj më i vìkèrë)

Posted on 11 luglio 2023 by admin

LA TUTELA DISARMATA

Questa lettura è consigliata a quanti vivono vicino al cuore…………….. gli altri misurino distanza, tanto, altro non fanno

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Arch. Basile) – La vera storia degli Arbër/n, emergerà solo quando tutte le figure buone, siederanno attorno ad un tavolo e daranno  il meglio di sé, senza utilizzare balconi, piazze con in pugno attrezzi da lavoro per cambiare cose; il solco è stato già tracciato dai nostri avi, esso è solido leggibile e diritto, va solo seguito interpretando gli scenari che attraversa per comprendere e diffondere storia lucente.

I trascorsi degli Arbër/n sono una terapia di guarigione per un malato terminale, per questo diventa medicina, motivo per il quali chi deve prescriverla, chi deve somministrarla e chi deve seguire l’andamento migliorativo del paziente abbisogna dei fondamentali principi nel saper riconoscerne, per tempo, distinguendo nel corso della terapia, gli effetti benefici di rinvigorimento, dai collaterali appariscenti, o eventuali malevoli terminali.

Sono ormai trascorsi abbondantemente due decenni nell’ascoltare cose, teoremi e divagazioni a dir poco inopportune, attribuite agli Arbër e, per onorare le persone che diventassi architetto, al fine di risolvere i numerosi interrogativi, del confusionario modo di intendere la regione storica degli Arber, fuori dall’esperimento linguistico, ho dato seguito a questo componimento primo.

Era il sette luglio del 2003, e lì in via Epiro, uno strano sempre più crescente vociferare, attirò l’attenzione e, mescolati alla platea che seguiva, nella sala consiliare del non più paese, una divagazione relativa al principio di Gjitonia era esposta a modo di giaculatoria alta.

Visto e considerato, il riferito del tema interessava dei luoghi natii, a un certo punto nell’ascolto, non si sapeva se ridere o piangere per le cose del passato, in quel contesto storico colmo di storia sino a quel momento incontaminato dalla vergogna.

Qui in questo medio breve, saranno per questo, analizzati con senso di semina per le generazioni future, essendo le acerbe da allora in voga, mai scese dalla cresta dell’onda, inadatte, inopportune o a dir poco ironiche, nel distinguere grano e fatuo, (in Arbër/n; Grùrë e Hellëph thë égher) foraggiando ogni cosa con espedienti senza arte, perché il risultato voleva, l’entusiastica massa distratta, essere presente per mormorare e null’altro.

D’altro canto  tracciare storia secondo studi specifici supportati dl estesi curriculum, ogni genere di cose materiali immateriali, consuetudini, costumi e attività tipiche delle genti che vivono, perché hanno costruito, meritando la regione storica diffusa degli Arbër/n, prima o poi deve emergere e se così  è trascorso troppo tempo.

Pur essendo stata difesa la distruzione di un Katundë in solitaria attività, grazie ai diffusi enunciato solidi, del costruito storico, del sociale e le figure che hanno reso famosa la minoranza in tutto il mondo.

Nonostante ciò ancora oggi esistono figure che dall’alto dei balconi, impongono manchevolezze culturali,  con argomenti Arbër/n, in parlato tipico della storica questione Albanese; a ben vedere i  titoli menano verso discipline, marginali senza completezza,  in altre parole emblema di chi con ironia compose, minareti mussulmani, sostituendoli ai campanili delle chiese greco bizantine e, quanti non capirono, li appellarono case che parlano alla luna crescente.

Premesso quanto, si vuole dare senso di tempo, luogo, uomini e genio specifico, nell’utilizzo comune di sostantivi, almeno i basilari, o meglio i fondamentali al fine di fornire certezze al comunemente diffuso, per fini turistici e televisivi, tra i quali:

  • Paese definito “Borgo”, in Arbër/n, è Katundë;
  • Rione equipollente a Quartiere, in Arbër/n, Sheshi;
  • Centro Storico e l’ignoto Centro Antico germogli dei Katundë, ovvero Ka Rrin Rellëth;
  • Piazzetta che non è, in Arbër/n, Sheshë;
  • Vicinato che, in Arbër/n, non è Gjitonia;
  • Comignoli solitari di un luogo e gli antri Arbër/n a fare fuoco in mezzo alle case;
  • Battaglie vinte a Pasqua, ballando la vittoria; in Vallja;
  • Restituire senso e valore storico ai sette giorni di agosto in Terra di Sofia
  • Comune, ovvero Bashkia in Albanese, in Arbër/n, Kushëtë;
  • Il costume da sposa, non per infanti, in Arbër/n, il Raso dei due filamenti di Casa e di Chiesa;
  • Case Parlanti, in Arbër/n, thë ngruitura pà trù;
  • Sheshi zìesh Clementinesë, memoria di un amore proibito Arbër/n;

Questi chiaramente sono solo alcuni, o meglio i più vergognosi, da correggere nel breve termine e, dei quali si fa uso gratuito, privandoli dei minimali adempimenti di rispetto, dal punto di vista storico, sociale, consuetudinario, senso e rispetto del passato, vera e propria devastante deriva che termina anche le alte cose.

Comments (0)

uomo

LA MACINA IN PIETRA DI CORONE E MOREA TRITURA IMPERTERRITA LE COSE ARBËR Burràthë cë nenghë nderognën me motinë

Posted on 08 luglio 2023 by admin

uomo

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Quando si leggono le variegate disertazioni che compongono la legge 482/99, la mente torna nelle vicende di memoria enunciate come “Questione Albanese”, le stesse che dalla fine de XIX agli inizi del XX secolo non trovano solidità.

Tuttavia a ben vedere, quelle anomalie sociali sono contemplate nel 1999 come esigenza da tutelare Albanese, disertando così volutamente, l’emergenza della Regione storica diffusa degli Arbër/n, i quali perché Italiani, sono stati lasciati scientemente fuori dalla tutela dei legislatori del 99 che non riportavano in alcun modo l’appellativo della Minoranza.

L’indistruttibile modello sociale, denominato Arbër/n, il codice fatto di cose materiali ed immateriali, unitariamente legate con un ben identificato lugo naturale, è stata preferita una mera Questione linguistica Albanese moderna.

Per conferma pregnante e definitiva non servono luminari o addetti specificamente preparati, in quanto tutto appare chiaro appena si darà seguito all’inerpicarsi della Salita della Sapienza, per recuperare e valorizzare, finalmente, l’irripetibile scrigno di cose uniche e preziose che non sono certo depositate in Albania.

Non è da Corone o da Morea che essi provenivano, come di solito si ode cantare. Perché, non sono altro che i natii delle colline dove passa la via“Egnatia”, semplici e durevoli generazioni che affidano la forza nei valori all’accoglienza e il conforto nei riguardi di quanti lì transitassero per recarsi nel palcoscenico delle Ragioni di Credenza.

La minoranza storica degli Arbër/n non è “Arberia” sinonimo di stato, per questo, l’appellativo che si addice esclusivamente a quanti oggi vivono la Nazione moderna dell’Albania, quella eretta e istituita dopo l’aver affrontato l’annosa Questione Albanese tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo e che solo da qualche tempo si è deciso di valorizzare a scapito degli Arbër/n.

Sono gli attori della “Regione storica diffusa Arbër/n”, la penisola più accogliente del mediterraneo perché italiani e, quindi liberi pensatori, che avrebbero dovuto essere tutelati e citati nella legge detta, perché sono essi gli unici a conservare valori antichi rispettosi delle terre e le genti della discendenza.

L’ Arbër/n non è un Albanese italianizzato, essi sono i portatori sani di un modello antico; sono in pochi ad avere la fortuna di ereditare, comprendere, proteggere, per poi riverberarlo i cinque sensi alle nuove generazioni con la stessa radice pura di sei secoli orsono senza che nessuno li piegasse ad altrui mire.

Si è iniziato con il numerare le migrazioni con bauli libri e costumi come se nelle emergenze più estreme le cose di valore non è la propria vita, ma, vestizioni femminili al cospetto degli altri,

Personalmente ritengo che chi fugge perché in pericolo, non porta altro, che il proprio corpo, il cuore vivo, la mente pieno di amore e ricordi; null’altro.

Chi fugge dalla disperazione non va per mari e per monti per disperdersi o nascondere la sua ragione, ma segue strade, sia per mare che per terra, solo qui poteva diffondere e segnare il tempo con la propria ragionevole esperienza, affinché non si ripetesse e coinvolgesse altri.

Gli Arbër/n, sono stati, per la loro posizione storica e geografica un popolo, sempre sottomesso e diretti da altri, infatti: Romani con l’Impero d’Oriente, Normanni, Serbi, Veneziani e Turchi senza respiro sono stati l’eterna fucina senza incudine e martello.

L’epopea di Giorgio Castriota fu uno sprazzo di vivida luce, che interruppe solo per breve tempo il ciclo uniforme della tradizionale sottomissione, tuttavia, grazie al solco da lui tracciato, gli Arbër/n ebbero modo di conservare le dritte cose.

Infatti il dominio straniero non ebbe efficacia di assimilazione o attecchito cose agli antichi abitanti delle terre oltre adriatico poste ad est, segnando la parte più esteriore dell’anima e del corpo, che senza soluzione di continuò allora come oggi, proteggere i sensi il cuore e della mente, denotando negli albanesi un valore figurativo esterno che denota la piega di fucina.

Diversante dalla completa fierezza esterna e interna, materiale e immateriale che contraddistingue degli irriducibili Arbër/n del modello Kanuniano, che costringevano i conquistatori a limitarsi alla semplice custodia, delle vie di transito e non certo diffusamente all’interno.

Storicamente, la supremazia straniera non si estese dunque all’intera Albania, che rimase, in massima parte, come una regione isolata nell’ordine politico e nell’ordine sociale.

In particolare, poi, il dominio ottomano ebbe molti riguardi per queste caparbie dinastie diversamente dalle altre genti balcaniche con atti di oppressione e repressione.

Entro l’Impero della mezzaluna Arbër/n non erano né grandi né ricchi, tuttavia il popolo, relativamente uniforme rimaneva permanentemente suddiviso da discordie interne, difendendosi con ogni avverso con l’uso dei codici identitari mai svelati.

Carattere, costumi, linguaggio, credenze, culto fiero dell’indipendenza, si presentavano come prerogative albanese, immutate e prolungate attraverso secoli.

Nondimeno, il consolidarsi di nazionalità spiccate e fortemente assimilatrici non poteva rimanere immune rispetto allo sviluppo politico e sociale soggetta al Turco più per dominio formale che effettivo.

Così, a nord l’orbita serba attirava misure montanare dei Gheghi, in parte stanziati anche nel Montenegro, Mirditi e Dibrani; a sud dal fiume Skumbi o Skumbini l’orbita ellenica, poté assicurarsi la supremazia dei Toschi alimentando divergenza di interessi tra i due poli e l’Albania centrale.

Una sorta di regione neutra tra due stirpi e, nel contempo debolezza diffusa per l’intero paese, protetta marginalmente da una cintura di ostacoli natura verso l’esterno.

Il Castriota fondò la sua opera politica grazie alla posizioni di Kruja , di Elbasan e di Berat, dalle quali tenne a soggezione l’alta Albania, Musakia, Acroceraunia, Tepeleni ed Argirocastro e grazie a questa posizione poté realizzare quel solco politico che oggi sfugge alle attenzioni delle istituzioni, nonostante il presidente Mattarello lo metteva in evidenza nel suo discorso a San Demetrio, appellando la regione storica diffusa degli Arbër/n il modello più longevo di accoglienza e integrazione mediterraneo.

Comments (0)

CatturaNapoli Adriano

PROGETTO: NAPOLI E LE SUE PROVINCE FUCINA DEGLI ARBËR

Posted on 27 giugno 2023 by admin

CatturaNapoli AdrianoNAPOLI (di Atanasio Pizzi Arch. Basile)

Progetto per la Regione Campania

    • Premessa

    La Campania come altre regioni ha accolto e dato seguito locale, alla legge nazionale in ambito di tutela delle minoranze storiche, nota come 482/99, secondo quanto disposto e, pubblicato nel Bollettino Ufficiale del 22 dicembre 2004 n. 63.

    La specifica applicazione ha trovato seguito in istituti e presidi civili e religiosi, in concertazione con le provincie, i comuni e luoghi dove le cose degli Arbëreshë, hanno trovato ambito per insediarsi e integrarsi.

    Le mire della Regione Campania, sono finalizzate a tutelare il patrimonio linguistico, storico e culturale del comune di Greci in provincia di Avellino, d’intesa con i presidi regionali preposti a divulgare, promuove e sostenere, l’inserimento della lingua, oltre a ricercare unitamente, gli effetti resi alla società in senso storico e culturale dell’operato arbëreshë.

    Valorizzare la memoria delle figure e le attività in seno al territorio regionale, hanno evidenziato questa eccellenza che dal punto di vista sociale e integrativo, risulta essere la più longeva del mediterraneo.

    La Regione, la Provincia e le Università della Campania concorrono tutte, con la comunità di Greci, all’istituzione, promozione, finanziando: biblioteche, attività multimediali, archivi documentali, i midia, i dati, con raccolta di materiali storici, folcloristici, artistici, linguistici e del Genius Loci Arbëreshë.

    Storiche eccellenze in diverse attività e momenti della storia della regione in senso generale, contribuendo alla valorizzazione, in senso generale della regione dal XVI secolo ad oggi.

    Lo scopo della legge regionale, punta a realizzare, premi letterari, artistici, iniziative e manifestazioni con finalità utile alla divulgazione di fatti di rilevanza con luogo Napoli e la Campania.

    La Legge regionale della Campania n. 63 del 22 dicembre 2004, ha trovato diversi momenti di applicazione in comune accordo con presidi universitari quali: l’Università Orientale, Federico Secondo, Suor Orsola Benincasa e l’Università di Salerno, aprendo nei diversi momenti di applicazione, le prospettive sempre più ampie di rilevare, l’utilità di studio comparato ben oltre il tema o esclusiva dell’idioma.

    Oggi a distanza di anni, e viste le nuove ricerche rivolte alla minoranza Arbëreshë, si vuole ulteriormente innalzare il Comune di Greci in quanto depositario dei momenti di eccellenza che hanno visto la Campania con protagonista il genio espresso in numerose discipline questo popolo di emigranti.

    A tal fine si propone n progetto che dia una misura o meglio una prospettiva più ampia l’insieme caratteristico e caratterizzante la minoranza, di quello che un tempo fu Regno di Napoli o delle due Sicilie, e oggi regione dell’Italia Unita.

    Vero è che a seguito dell’applicazione della legge, e trascorsi quasi due decenni, si vuole rilevare un dato inconfutabile mai posto compiutamente in essere, ovvero, i momenti di accoglienza, integrazione e cooperazione, in tutte le provincie della Campania degli arbëreshë, oggi ritenuto modello di accoglienza e integrazione, tra i più solidi del mediterraneo.

    Svelando ciò si dà anche merito alle cose buone realizzate in numerosi campi, generalmente attribuite quale merito dei regnati, o al momento storico, sminuendo generalmente il genio, la figura o l’uomo, che le ha immaginate, studiate e proposte, per diventare primato.

    • Introduzione

    Greci è un piccolo abitato in provincia di Avellino, allocato nei pressi di un antico tratturo che corre lungo la dorsale del fiume Cervaro, a ridosso delle paludi Sipontine, i Monti Dauni e l’Irpinia, menzionato dopo il 535, presumibilmente fondato, dal generale Belisario, per volere dell’imperatore di Costantinopoli, Giustiniano.

    La sua posizione di cerniera tra le regioni di Abruzzo, Puglia e Campania gli consentì di assumere un ruolo commerciale di rilevo nel corso della storica.

    Il 14 agosto del 1461, a seguito della gloriosa battaglia di Orsara, in località Terrastrutta, nelle vicinanze di Greci, il condottiero Giorgio Castriota, lasciò in quella zona diverse guarnigioni di albanesi a guardia dello strategico polo.

    L’insediamento degli albanofoni a Greci, non avvenne in tempi brevi giacché una vera e propria popolazione del piccolo agglomerato di case, ebbe modo di coagularsi tra il 1468, a seguito dell’accoglienza della famiglia del condottiero albanese a Napoli e poi dal 1533, (flussi migratori più consistenti e secondo un progetto di strategia predisposto secondo l’Ordine del Drago), iniziarono, cosi le vicende di confronto e integrazione con le genti indigene, garantita dal eguale rispetto per il territorio.

    Questi erano i tempi dell’Umanesimo, il fenomeno culturale germogliato appunto dal XIV secolo, secondo i canoni della riscoperta della cultura dell’antichità classica greco e romana, in tutto la capacità dell’uomo di agire nella vita civile e politica con la volontà di far rivivere, le virtù del mondo antico e, Greci, il Katundë degli Arbëreshë, su questi argomenti, aveva ben saldo nel suo costruito elementi per migliorarsi perché nata greca e ricostruita romana.

    A seguito di ciò, definiti i rapparti di scontro e confronto tra le genti indigene e i rifugiati della diaspora albanese, a fine seicento ha inizio l’illuminismo, ovvero, l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità in quanto stato generico, dell’incapacità di valersi del proprio intelletto, senza la guida di un altro.

    Questo naturalmente non per difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza decisionale in autonomia, altre parole il coraggio di far uso delle proprie forze intellettuali, senza essere guidati da altro, secondo il motto dell’Illuminismo che diventa:

    “Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!”

    Napoli per questo è stata meta principale di nuove leve pronte a definire e spargere il proprio genio senza però, dimenticare gli Studi nella città di Salerno, risalenti al secolo VIII d.C. ovvero, la “Scuola di Salerno “.

    Questa unica del suo genere si fondava sull’unione tra la tradizione Greco-latina e le nozioni acquisite grazie alle culture Araba ed Ebraica e, rappresenta un momento fondamentale nella storia della medicina, infatti introduce nel metodo l’impostazione della profilassi.

    L’approccio era basato fondamentalmente sulla pratica e sull’esperienza che ne derivava, aprendo così la strada alla cultura della prevenzione e della medicina empirica, la scuola comunque, oltre all’insegnamento della Medicina, impartiva anche insegnamenti di Filosofia, Teologia e Diritto.

    E è qui che si recò per conseguire il suo primo titolo accademico Pasquale Baffi, una volta espulso dal Collegio Corsine e, tra l’abazia di Cava dei Tirreni, l’Università di Salerno e nella sezione distaccata in Avelino dove insegnava, Greco e Latino, inizia la sua carriera senza eguali, come linguista e analista primo della lingua Arbanon, di cui la storia della minoranza proveniente dalle sponde dell’Adriatico, non ha ancora avuto occasione di acquisire consapevolezza, perché continuano da scoli a rimanere poco attenti.

    Dopo la parentesi negli antichi presidi culturali Salernitani, viene richiesto il suo apporto a dirigere il corso di Greco e di Latino nella Scuola Militare Nunziatella, che a quei tempi allocava i corsi della Marina a Portici e quelli Militari in Napoli, nel Castello di Ruggiero II, oggi presidio del giudice di pace, perché non ancora pronta la sede storica oggi nota per la formazione di ufficiali.

    Napoli dal periodo dell’illuminismo e senza soluzione di continuità ha allevato, un numero imprecisato di figure Arbëreshë e non solo, le quali per il loro lume e la dedizione che mettevano nelle cose in cui credevano, fecero brillare e affermarono il genio degli Arbanon, Arbërj o Kalabanon, in tutto il vecchio continente e oltre.

    Figure che dal punto di vista sociale, culturale, politico, intellettuale o in campo della scienza esatta, giuridico, e dell’uso del suolo comune, hanno depositato perle di saggezza ineguagliabili e, in molti casi hanno visto le province campane, meta scientifica per leggere e capire cose buone, le stesse poste in essere, per la salvaguardia e l’equilibrio geologico del territorio e in favore dell’uomo.

    • Progetto e Conclusioni

    Nasce qui l’esigenza di allestire un progetto supportato da un gruppo di lavoro con Associazioni (ACLI), Università, Istituzioni, tutte a garantire figure multidisciplinari, indispensabile unità di concertazione diretti da un referente capace di fornire nuova linfa interpretativa alla legge del 22 dicembre 2004 n. 63, raccogliendo catalogando, analizzando e studiando, dati fatti e cose, secondo una visione multi disciplinare moderna, che non si ferma al mero esperimento linguistico, ma che analizzi la radice delle cose, seguendo il tronco che unisce i vari rami, che germogliano e fanno quei fiori e frutti particolari: arbëreshë.

    Tutto questo al fine di e per compilare una mostra itinerante, in grado di esprimere luoghi e uomini secondo lo scorrere del tempo e senza prevaricazioni di sorta, ad iniziare da dalla terra madre degli Arbanon, poi Napoli seguendo le radici lungo gli oltre cento paesi di origine arbëreshë e terminare a Greci in Provincia di Avellino, dove in pianta stabile sarà allestito un edifico o polo di attrazione della storia degli Arbëreshë.

    I cui titoli seguiranno le vie dell’idioma, la consuetudine, gli ambiti attraversati per essere bonificati, i cunei agrari, il costruito i costumi, la casa e la credenza che uniscono i due termini adesso citati.

    La commissione in oltre avrà il compito di promuovere misure atte alla costituzione e la definizione della “Carta per la Tutela e Salvaguardia delle Minoranze Storiche”

    Tutto questo per evitare il susseguirsi di compilazioni a dir poco inesatte, di fatti, e cose materiali e immateriali dell’eccellenza impareggiabile, che dalla emanazione in avanti non dara più spazio a libere interpretazioni.

 

 

P.S. Il progetto è stato redatto dallo scrivente, per questo ogni utilizzo da parte di altri privati e/o associazioni senza consenso sottoscritto è sottoposto alle leggi del Copyrait, si adisce  secondo le normative di legge.

Comments (0)

GIUGNO IL TEMPO DEL RACCOLTO FATUO RIMASTO (tue mbiedur ghì e finghillë pa Zjarë)

GIUGNO IL TEMPO DEL RACCOLTO FATUO RIMASTO (tue mbiedur ghì e finghillë pa Zjarë)

Posted on 25 giugno 2023 by admin

cenere e carbomeNAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Ormai sta diventando una consuetudine a dir poco vergognosa, l’allestire fatuo storico, da giugno a settembre e, questo del 2023 in corso e la terza edizione che senza soluzione di continuità espone atti, fotocopie, inesattezze o guerre di pasqua vinte per fare festa.

La cosa ancor più grave resta stesa alla luce del sole, ed è il dato del perseverare con attività nell’aia del fatuo a termine, con abbagli storici, stesi senza vergogna, innanzi alle storiche case di quanti conoscono, sanno e così facendo, tutto diviene via crucis in pena di dolore, per chi osserva e ascolta le attività fuori loco e palmo.

Va tuttavia rilevata la pazienza dei saggi, i quali, si dimostrano comprensivi visto il gran numero di comunemente che, ballando e cantando, sventolano natalizi, spargono radici e, per mare tornando a casa.

Scendere con la scopa in mano nell’aia del “trapeso”, sarebbe la cosa più opportuna da farsi, ma chi è saggio usa la scopa per fare altre cose, perché spera che il buon senso deponga radice e, curi le menti di questa schiera d’incultura di “mezza festa”.

Ormai il mese di giugno è considerato la vigilia, “la mezza festa” il momento di tutto quello che rappresenta il nulla per l’Arbër, non resta altro da aggiungere, bisogna solo prendere atto del dato che sono anime in pena lontane dal proprio cuore.

Giugno ormai è da ritenere il mese in cui si manomettono le pietre fondali della storia e, tutto diventa “lecita magistralis”, infatti, sono tanti che scendono armati di chitarre, mantice e tamburello, per indirizzare i/le costumanti/e a turcofone ruotate, cantare e, cosa più grave sollevare la veste del marito e del padre.

Non è concepibile che dall’alto degli scanni, di quanti avrebbe dovuto garantire pubblicamente, misura, parole, atti e cose, come il dovere del ruolo assunto gli imponeva, affermare che: la storia letteraria, della minoranza più longeva del vecchio continente, sia iniziata nel 1831.

Poi se a quest’affermazione, affidano l’operato di nobili eccellenze risalenti al 1775, le stesse volutamente ignorate per dare spazio a una anomala figura, incerta persino della sua natura, il quale poco attento immaginò che catapultarsi a Napoli per cose, nessuno le avrebbe potute riconoscere, come ha fatto il figlio quando ha avut innanzi il copiati dell’opere paterna ancora violato.

Conferma resta il compilante, che si vide costretto a tornare indietro a ricamuffare ogni cosa, con più confusione della sua banalità culturale da allora in poi messa di lato.

Poi germogliarono gli anemici guerrafondai dal vallone senza bandiera, pronti ad armarsi e partire appena odorata la polvere da sparo dei venti rivoluzionari, i quali recatisi in ogni dove, chiedevano ai locali in rivolta, a chi, cosa e dove mirare per seminare morte.

A quanti hanno frequentato quel presidio di incultura “ilibërato” non resta che chiedere di smettere: Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta e Bastaaaaaaaa…….e se non lo avete capito BASTA, chiudete bottega e fate orti; si, a voi, proprio voi che dite di essere “titolo”, “titolati” e “certificatori”, smettetela una volta per tutte, di seminare grano a giugno, tanto non germoglierà mai e neanche di fatuo a settembre come inconsciamente avete promesso non fate nulla, dopo aver redarguito i saggi che vi superano in ogni dove.

Giugno rappresenta il baricentro della estate Arbanon, il tempo di raccogliere i seminativi per questo bisogna sapere bene quello che si coglie per separarlo dalle cose fatue.

Saper riconoscere e ripetere questi antichi gesti consente al futuro continuità del luogo, in comune convivenza con l’uomo, il mese è il primo momento di esposizione alla calura estive: e non certo è il luogo adatto per esporre neonati in fasce non all’ombra, altrimenti si terminano le cose buone della specie per pochi frutti acerbi.

Ora inizia luglio, riservandoci non certo cose migliori, del mese appena trascorso, certamente si continuerà nel non rispettare uomini, cose, vestizioni, civili, religiose e, si diventerà ancor più estremi, nello smarrire i sensi del protocollo di credenza e onorare, quei tragitti che uniscono tutte le case con la chiesa.

Si vuole sottolineare in questo breve discorso il rispetto che le grandi famiglie hanno sempre avuto per il ricorso dei propri figli, come quando nel 1799 i Serra di Cassano si videro impiccato in maniera a dir poco indecente il figlio Gennaro, rampollo 27enne, essi per questo chiusero il portone che affacciava verso la residenza reale e da oltre duecento anni rimane chiuso in senso di disprezzo verso quella corona, e ancora oggi quell’atto rimane vivo tra quei palazzi, nonostante la prospettiva sia mutata.

Questo, valga di esempio, per chi ha consapevolezza e cognizione di tempo, uomini sangue e cose, alla ricorrenza del luttuoso 18 Agosto, festeggiato perché risultato di conti errati, un falso storico e nulla più, quando a suon di fanfare e onorificenze, ironicamente, pure alla stessa ora, beffa storica di una duplice inforcatura  del 1799 e del 1806.

Non è diverso il ricordo degli altri uomini illustri, associato generalmente a nere figure antagoniste, nelle vicende che videro protagonisti glia Arbanon.

I nomi di questi tutti riversati in una cesta per fare estrazione o riffa e, per il sole cocente di mezzo dì, si finisce per estratti come eccellenza, un nero, collocandoli in lapide ricordo con il risultato di 64 certificato per 66 e quindi il giuoco risulta essere truccato.

La letteratura non riconosce a Pasquale Baffi, il dato di essere il primo letterato a comparare le parole Arbër con quanti, con questo popolo, si sino confrontati, per questo è il compositore primo di grammatica  e tutto il resto viene dopo.

Se a questo aggiungiamo le disertazioni gratuite di quanti millantano di saper leggere e non riconosce nei discorsi, lo svolgimento dei periodi ad opera del grande letterato sofiota, è il segno inconfutabile che per concorrere al titolo accademico, molti non hanno fatto i compiti a casa e, quello che più conta, non riconoscono la grammatica del maestro con quella di pesatori di grano per tomoli d’interesse.

Si fanno presidi universitari e si perde la mira per la quale scopo furono istituite, tutto questo succede quando non si ha una titolarità specifica dell’argomento, pellegrinaggio senza meta verso le cose moderne che hanno facile misura di tutela, in senso generale, ragion per cui si cerca di innestare l’età della pietra, con l’impero romano, il medio evo e l’era della globalizzazione, senza il minimo riguardo del tempo che tra queste le differenziate.

Il dato che emerge non presta alcuna attenzione alla storia in senso generale e poi come in tutte le cose nessuna attenzione è rivolta alla tutela delle architetture storiche o degli ambiti all’interno dei “centri antichi”, specie nell’esporre cose o fare ricerca verso le attività agresti o la dieta mediterranea, tralasciando i Cunei Agrari, che nella maggior parte dei casi, sono una meteora ignota, comunque non buona da tutelare.

Eppure basterebbe accogliere le figure giuste per intercettare cosa serve e cosa è fatuo, specie per avvicinare i canali turistici che contano, preferendo “bërlocarsi di tutto punto”, per annunciare rapporti intimi e distrarre le piazze divertite, in tutto, continuare ad essere ignari del messaggio inviato.

Cosa dire poi degli inesistenti “Borghi Arbëreshë”, di cui senza formazione si riferisce del costruito, risalente a detta dei cultori, a sei secoli orsono, anche se i materiali dei modelli indicati, descritti e circoscritti, come originali dell’epoca sono tipici delle superfetazioni degli anni sessanta del secolo scorso, a detta sempre degli espositori, ispirati dalle direttive del Cubismo Analitico e Sintetico, in tutto, un penoso falso storico per attrarre ignari turisti, della breve colazione, che partono senza nessuna memoria e contenti di aver mangiato a pranzo.

Se poi il tema diventa la tutela delle parlate locali, oggi tanto in voga e divulgato, per opera di meteore linguistiche a dir poco inopportune, non esistono temi in grado di dare in barlume di fondamento agli orgogliosi alfabetari locali, sbandierati e riverberati ai quattro venti, con le parole Autobus per la “A”;  Elefante per la “E”; Pinocchio per la “P”; Orologio per la “O”; Telefono per la “T”; Gorilla per la “G”; ritengo questi accenni siano sufficienti per evitare di scuotere il sonno eterno dei nostri Avi.

Chiaramente soffermarsi sul protocollo della vituperata Gjitonia è un obbligo, specie se diffusa come Vicinato o ancor peggio di Strade, Piazze e Palazzi, questi ultimi fatti di libri rari, portati dall’Albania dentro bauli(?), mentre le altre lastricate di pergamene scritte in latino e greco, tanta cultura alla pari, dei materiali edilizio per fare abusi, come ferro, amianto, plastica e ogni sorta di additivo inquinanti

Si cantano e si ballano valej non avendo alcuna ragione del significato, confuso per battaglia vinta, come se il popolo più antico del vecchio continente, per ballare e per cantare, doveva attendere la Pasqua del 1460 dopo aver fatto strage di uomini donne e bambini.

Altro dato mortificante è allestiscono musei biblioteche e archivi senza che si consulti un luminare titolato per innalzare o articolare questi presidi; potrebbero esser eccellenza, ma si preferisce averli “varruni”, di cose accatastate e delle quali non si conosce, senso direzione, tempo e regole utili alla sostenibilità locale abbandonata così al consiglio del primo viandante, il quale anche se formato non sa e non conosce nulla di quelle pieghe, diplomatiche o temi dirsi voglia locali.

Ormai non si distinguono cosa siano le cose di casa e le cose della credenza, all’interno dei perimetri civili di quelli sacri e le vie del culto, unite indelebilmente.

Ormai oggi tutto si è appiattito ogni cosa è stata cancellata, al punto tale che il capofamiglia del rione Kanun, viene emulato alla pari dei protettori di credenza che dovrebbero essere altra cosa.

Anelli, chiavi, battenti e mezze porte, sono cose della casa, ormai parte anche dei luoghi di culto e, senza misura, grazia, per i Santi che non descrivo più le vie della storia locale, ma diventano luogo dei sani all’inizio dell’evento e, non si ha misura o sostantivo plausibile per “sostenerli” al termine della processione fondamentale per incamerare visibilità degli accasati.

Essere sempre coerente e vicino alle cose, gli uomini, l’ambiente, la storia dai tempi in cui furono e rimasero Arbanon, non importa, resta solo il valore di quanti dicono di sapere, tanto sono e restano, molto più distanti del mio cuore, perché credo sempre nell’essere un Arbëreshë e, non importa altro,

Non bisogna aprissi mai alle cose nuove della vita senza avere riferimenti certi, ovvero come si è stati allevati dai sapienti Genitori e Gjitoni e, tutte le cose che affermano non si citano solamente, ma devono trovare conferma, solo così diventano e sono il momento di conferma per tutti noi.

Mantenere la mente aperta, per un modo profondo e sincero di vedere le cose, senza altri fini o campanili di persone del passato, è l’obbligo che perseguono le persone sagge Arbëreshë.

Viviamo questa vita con il ruolo che una famiglia albanofona, generalmente per discendenza affida a un abilmente dotato, compito non per tutti, ma solo per pochi; in quanto servono anche l’occhi nel cuore, nella mente e, non tutti sono designati per natura ad averne tre.

Non importato cosa cercano di sapere e fanno le altrui genti, né si deve dare peso di cosa sanno e non vogliamo sapere, perché essi comunque vivono lontano dal cuore, perché noi viviamo orgogliosi di essere abilmente dotati.

Ignota rimane l’unità di misura con cui calcolano le cose fatte, sicuramente loro sono molto lontani dal proprio cuore, in quanto non hanno mai provato a credere in cosa siamo e, poco importa cosa diffondono, non importa cosa conoscono e di quanto e di cosa preferiscono contare, ballare o apporre bërlocun.

Esprimersi ermeticamente è l’unico modo per difendere le cose buone, perché quando essi proveranno a capire si comprenderà chi sono i veri ricercatori e quanti vivono a modo inverso, per copiare ricerca altrui.

Tutte queste parole non si affermano per cercare croci di bosco, ma riferisco la fiducia che giunge ogni giorno con cose nuove grazie all’occhio della fronte, del cuore e della mente.

Quello che poi appare è un problema di chi ti deve accogliere e si vergogna, immaginando che due occhi sono meglio di tre.

La mente deve essere aperta per vede cose in Arbanon, non riservare altri fini è obbligo, non importa altro, non importa quello che dicono, non importano i giochi di storia, non importata quello che fanno, non è mai importato quello che sanno, perché la visione trittica non ha rivali e camminare con il vero e, sicuramente state sempre vicino al cuore, credendo per questo sempre in chi e cosa siamo e, non importa nient’altro.

Io sostengo la storia, quella vera, la stessa che ha un inizio, uno svolgimento e il continuo secondo la dinastia di oltre Adriatico ereditata; credo nel Castriota, nella Comneno, nel Baffi, nei Bugliari, nei Giura, nei Torelli, gli Scura e, non importa altro, tanto il resto è noia copiata o riportata per essere illuminati nel palco dei cantanti.

Per terminare si potrebbe ironizzare affermando che tutto quello che è stato fatto per la tutela è finito con il distruggere con largo anticipo, quando doveva essere tutelato e avere più vita e, a ben vedere osservando le ondate che arrivano ad est del fiume Adriatico da un poco di tempo a questa parte, per fini di tutela e cooperazione, peggiora ancor più le cose, cancellando quello che dovevamo difendere.

Restano solo le cose giuste degli ostinati buoni, armati dell’occhio della fronte, del cuore e della mente, i quali continuano a catalogare e scrivere, per lasciare almeno l’impronta di un essere umano, lungo quel solco tracciato il giorno prima del 17 gennaio del 1468 dal Castriota e i suoi fidi.

A queto punto torna in mente uno dei principi delle storiche massaie Arbëreshë, le quali durante la settimana per fare cose dal maiale dove valeva la regola che: nel dubbio mettete tutto nella madia: alla fine facciamo Nduja, tanto, uno disposto a cibarsi, lo troverete sempre da giugno a settembre, dopo il duro lavoro sotto al sole dei campi che hanno già dato.

Comments (0)

ERA IL 17 GENNAIO DEL 1977

ERA IL 17 GENNAIO DEL 1977

Posted on 21 giugno 2023 by admin

pifferaio

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Ero poco più che un bambino, non frequentava ancora l’asilo, quando nel giardino che circondava l’INA-Casa, giocavo gridando e immaginando epiche battaglie e T.C. Miracco che faceva da sostegno alla madre anziana e sofferente della vecchiaia, io chiamavo rispettivamente Nanë Carmè e Kumbaclè.

Questi, per non interrompere i miei rumorosi sogni cavallereschi, al quanto riecheggianti, mi invitavano a sedermi in mezzo a loro e ripetere le parole Arbëreshë che diffondevo in maniera a dir poco anomala.

Una volta seduto e fermo delle mie frenesie cavalleresche, mi dicevano: Shànà ripeti bene le parole, perché così come fai, se vai in piazza a giocare e ti sente parlare un viandante, ti mette nella sporta dell’asino e ti porta a San Demetrio perché loro parlano e fanno così, e poi diventerai Shimitrotë.

Per questo ogni volta che vedevo il figlio sostenere la madre per sedersi a conversare sedevo in mezzo a loro e chiedevo di essere interrogato sulla mia origine di parlatore sofiota senza ombre o dubbi.

Passarono circa due decenni da quelle ripetute verifiche e, decisi che l’università, avrei dovuto continuarla definitivamente a Napoli, era di pomeriggio quando mi accingevo a salutare parenti ed amici, perché il giorno seguente, 17 gennaio del 1997, sari partito.

Alle ore 15, 00 durante uno dei miei ripetuti andar vieni, da casa e piazza, incontrai il proff. E.A. Miracco, il nipote e figlio dei due storici verificatori, il quale mi faceva gli auguri per l’inizio della mia nuova carierà, aggiungendo che: finalmente uno studioso, data la mia volontà di essere architetto, avrebbe fornito alla storia del nostro paese, risposte valide di cosa rappresentassero palazzi, case orti e strade per noi Arbanon, e della stessa Trapesa dove ci fermammo a conversare.

Quelle parole oltre all’impegno assunto con mia Madre e mio Padre, sono diventati la meta o meglio la strada che non ho mai smesso di seguire, per migliorarmi.

Infatti dal giorno che giunsi a Napoli, l’Università gli Archivi, le Biblioteche e i luoghi di culto, tutti, sono stati i mira di studio e apprendimento per la mia formazione e di ricercatore e professionista.

Oggi posso affermare che il mio dovere di studente, tirocinante estremo, professionista e ricercatore è stato svolto con una tale dovizia di particolari, che per molti comuni viandanti è ritenuta, troppo elevata, anche se in cuor mio ritengo che tutto si può migliorare, avendo cuore e mente vicino alle cose che contano.

Stare vicino alla propria radice non sarà mai molto più lontano dal cuore, se crediamo sempre in quello che siamo nient’altro importa.

Non mi sono mai espresso in questo modo la vita è nostra, la viviamo a modo nostro, tutte le parole non si dicono, ho sempre cercato la fiducia e la trovo e nelle persone a me più care.

Ogni giorno è qualcosa di nuovo, basta avere la mente aperta per un modo diverso di vedere le cose, non importa altro.

Questi sono le diplomatiche che ho seguito per giungere alla definizione stoica culturale dell’edificato minoritario di radice Arbanon, avendo cura di appuntare fatti luoghi e avvenimenti con le vicende di tempo e di luogo dove e quando sono avvenute.

Non fanno parte della mia natura di studioso campanili, palchi o specchi di travaglio comune, gli stessi che piegano le cose della storia ridicolizzando sin anche prestigiosi gruppi musicali, presidenti e rappresentanti di varia levatura i quali, attratti a partecipare a luminarie inopportune, denotano la precaria qualità culturale minando irreparabilmente la forza politica, rivela dei comunemente manovrabili.

Il Genius Loci espresso nelle Kalive, Katoj, Palazzi, Rioni, Chiese, Toponomastica, Costume  e tutte le attività del trittico mediterraneo sono i componenti pazientemente studiati e assemblati per poter restituire o meglio fornire un percorso, una metrica unica e inattaccabile, la stessa che ha dato lezioni a uomini politico di levatura estrema, da poco scomparsi, in quanto le diplomatiche poste in essere, sono un macigno, per quanti da decenni, senza sapere di cosa parlano, espongono e valorizzano faccendieri economici o esponenti culturali, che definire copiatori è poco.

Esiste un luogo in Calabria citeriore, che grazie alla fortuna di essere allocato a favore di vento, rispetto a un antico presidio di cultura e, per questi i figli li nati e allevati hanno acquisito note senza stonature culturale, diversamente da chi è cresciuto a ridosso di mulino che a seconda del macinato cambiavano tono.

Oggi invece di far rivivere e creare presupposti sociali condivisi, si disegnano le cose del futuro, invece di ricordare il passato, in oltre si insegna come appellare gli animali della giungla o attrezzare veicoli comunicativi moderni aggiungendo una” J” una “ë” o chissà quale lettera alfabeta greca per sentirsi più elevati.

Due anni orsono, la previsione di Miracco poteva concretizzarsi, ma purtroppo la scelta di puntare nella fotocopia più assurda che la politica poteva esporre, si è preferito ballare tarantelle travestiti da sposo, sposa e prete non titolato, invece di ascoltare e rendere di eccellenza storia.

A tale misura urge predisporre attività di tutela più solidi e allestiti da gruppi disciplinari e non da singoli senza tirocinio, almeno ventennale; per quanto mi riguarda il consiglio/augurio del proff. E.A. Miracco, è stato portato a buon fine, adesso spetta ai preposti organizzare, scena e attori,” assecutando” i comuni parlatori nella Trapesa dopo quel 17 gennaio 1977.

Commenti disabilitati su ERA IL 17 GENNAIO DEL 1977

9_original_file_I0

I PIONIERI ARBËR DELLA LINGUA, DEL GENIO, LA LEGGE E DELL’EDITORIA

Posted on 02 giugno 2023 by admin

9_original_file_I0NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Esiste una via che unisce la saggezza linguistica, la scrittura, la diffusione, il genio e la saggezza di applicare leggi, secondo il genio Arbër, purtroppo ancora oggi ignota a quanti lo avrebbero dovuto sapere, largamente divulgare e sostenere.

Esistono quattro colonne, o meglio Figure, vere e proprie istituzioni della storia Arbër, che non sarà mai possibile superare, nonostante la pubblicità multimediale dei comunemente, semini piccole cose dei campanili senza ne corde e né campane.

Esiste un tempo per copiare, non fare i compiti, bighellonare, cantare in tutto marinare la scuola, poi viene giugno e il maestro saggio tira le somme e, nonostante le raccomandazioni dei potenti, promuove quattro, il resto è rimandato a settembre e i rimanenti tre sono bocciati e devono ripetere tutto.

Esiste la strada che unisce le quattro colonne e, quanti non studiano non conoscono neanche o hanno la ben che minima consapevolezza del valore di univoco che si dà alla storia; essa parte dalle colline della Sila, segue la via Erculea, intercetta la Traiana in “Aequum Tuticum” e per le trionfali arche della Traiana poi da Benevento segue l’Appia Antica, per finalmente vede il sole della cultura a Napoli.

La strada unisce senza soluzione di continuità, gli studi e il genio primo di Pasquale Baffi il Linguista; Luigi Giura il Genio di Scienza Esatta; Rosario Giura il Procuratore e, Vincenzo Torelli il genio della cultura di Massa.

Questi sono il genio della cultura del mondo Arbër, tutto il resto è contorno, associati di comodo, o “riverberatori seriali di comodo domestico”, che non avranno mai le carte in regola, per essere promossi a giugno.

Queste quattro colonne che sostengono i valori fondamentali della regione storica diffusa degli Arbër, saranno qui analizzati brevemente, tanto basta lo stesso per rendere merito al loro genio, mai da nessuno analizzato con dovizia di particolari o breve serenità di saggezza.

In questa diplomatica rivelatrice della storia, non si parlerà di cavalieri, elmi, spade, gabelle o alfabetari, ma della storica consuetudine caratteristica del genio di uomini semplici, che con il loro sapere hanno unito genti e difeso la storia, da protagonisti silenziosi del mondo Arbër.

Per questo il tema si svolgerà con il rispetto dei tempi dei luoghi e delle cose divulgate secondo l’esigenza e svelare senza protagonismo come hanno avuto luogo le cose materiali ed immateriali della sostenibilità del buon nome degli Arbër.

Quattro sono le figure, a cui poi come si fa con il miele versato, si avventano formiche, zanzare e ogni sorta di invertebrato a caccia perché affamato o senza gloria.

In definitiva esso sono, rispettivamente per nascita: Pasquale Baffi Linguista; Luigi Giura Genio di Scienza; Rosario Giura Procuratore e, Vincenzo Torelli istituto della cultura di Massa, sono loro che dal fiume della Calabria Citeriore e dal Vulcano Vulture, resero servigi di radice culturale e sociale impareggiabili dal 1775 e per oltre un secolo.

E da questi quattro elementi forti, poi prendono spunto e si dirama, il pensiero e le gesta di altre figure, alcune buone come i maestri e purtroppo, anche tre note stonate degeneri o replicanti seriali, ma noi qui parleremo solo delle colonne.

-Prima Colonna: Pasquale Baffi

Chi dei ricercatori moderno, ha studiato le gesta del Baffi, con dovizia di particolari, comprende subito che il solco dritto e indeformabile, nonostante numerosi contadini moderni, cercano di storcerlo, sono la prima icona dello studio e la comparazione della lingua Arbër, anche sulla scorta dei suggerimenti, forse mai letti da nessuno, degli studi del professore M. Gigante, uno dei più importanti papirologi italiani del dopoguerra e, in senso lato, studioso delle antichità classiche e bizantine.

Conferma resta la prima comparazione delle parole più comuni utilizzate dagli Arbër scritta con lettere greche, risale al 1775-76-77 stampata all’estereo senza errori, diversamente da come decenni dopo per tutelarsi si trascrive a premessa, perché a Napoli a quei tempi nessuna Stamperia era fornita di quei caratteri, diversamente dalle stamperie del nord Europa più evolute.

Resta un dato inconfutabile, comunque, anche conservato, nella biblioteca nazionale nel fascicolo Baffi, dove sono trascritte a mano comparazioni Arbër, co le lingue indo europee, al fine di estrapolare la radice di numerose parole.

Da ciò è bene ricordare a quanti asseriscono che il Baffi non è da ritenere eccellenza, ma eroe, perché non ha scritto nulla, per la divulgazione della lingua scritta Arbër, ritenendo che i pionieri sono giovani leve che nel 1775-76-77, non erano ancora né seme e né stelline, sbaglia quindi chi costruisce campanili da cui sparge veli di polvere e fatuo.

Il primi e unico pensatore colto, che aveva titoli formazione, garbo educazione, in tutto forza culturale per non esporsi come comunemente avviene ad errori scritti, è stato il Baffi e, se nel 1831, qualche avventore immaginava che a Napoli nessuno avrebbe riconosciuto il copiato o il riportato di altri, ha fatto una penosa figura, quando quei racconti, sottoposti alla verifica di Michele Baffi, figlio di Pasquale, esperto in Diplomatiche, è stata solo la sua educazione nel tacere sugli gli scritti, in silenzioso dispiacere, riconoscendo il maltolto paterno.

Per terminare la parentesi della colonna linguistica non vi è alcun dubbio, sul dato che il primo, il solo e il più elevato comparatore della lingua Arbër scritta, resta senza ombra di dubbio, Pasquale Baffi e, se a qualche istituto, istituzione, associazione o scriba dell’ultima ora, non ha ancora chiaro il concetto; Venga in Biblioteca a Napoli, non come turista per allungare la coda, ma essere almeno attento “studiatore” che legge,  in italiano, le cose sagge del Baffi.

– Seconda Colonna: Luigi Giura

Se un comune pensatore avesse misura della grandiosità di questo Arbër, smetterebbe di pronunziare il nome di fuggitivi seriali, guerrafondai da quattro danari e ogni genere di polverosa figura senza definizione svelata.

Una considerazione anzi due, valgano per tutte;

  • La prima per sottolineare il dato che se oggi si elevano ponti su catenarie in tutto il mondo, compreso l’atteso ponte dello stretto di Messina, lo si deve all’intuito e l’innovazione tecnologica frutto delle ricerche dell’Ingegnere/Architetto Arbër di Maschito, Luigi Giura che il 10 Maggio del 1831, inaugurò con successo la stagione dei ponti sospesi su catenarie.
  • La seconda operazione assume storicamente un valore ineguagliabile in quanto dove per secoli I grandi ingegneri romani non riuscivano ad avere ragione della bonifica del lago carsico del Fucino; è qui che il suo ingegno superò ogni tipo di aspettativa, in quanto il suo progetto, posto in essere dopo la sua morte resiste al logorio del tempo e rende quella valle produttiva, senza più soluzione di continuità.

Se questo è poco e vale meno di chi prova a scrivere alfabetari da tempo, offre la misura o le mire storiche di istituti e istituzioni preposte a valorizzare le cose della Regione storica diffusa degli Arbër.

– Terza Colonna: Rosario Giura

Personaggio con una grande e instancabile rispetto delle leggi e il valore che attribuiva alla vita delle persone, fu lui che nel corso delle vicende che caratterizzarono la storia del regno nel 1848 a ribellarsi al volere del re, opponendosi con forza, quando a capo della procura Napoletana si oppose, alle preferenze del regnate, che desiderava, chiunque e senza misura di azione condannato a morte, se facente parte di quegli eventi contro la corona; condannato preferì l’esilio e dopo la sua morte a Marsiglia, la provincia di Potenza, traslò la sua salma, che riposa sepolto nel termine marmoreo vicino al fratello Luigi, nel cimitero monumentale di Napoli in Poggioreale.

– Quarta Colonna: Vincenzo Torelli-

Editore, critico musicale e tra i più innovativi dell’ottocento, sulla cui falsa riga si è allineata tutta l’editoria moderna, resta un’icona fondamentale delle eccellenze Arbër, qui riportate non perché secondo o a nessuno dei su citati, ma solo per ordine di nascita.

Fu il primo ad analizzare la differenza che corre tra le popolazioni come gli Arbër  che affidano la loro metrica di memoria al canto di genere, noto come Valje.

Tra i suoi editi era famoso un giornaletto, dove i personaggi che si sfidavano nelle articolate avventure, era il canto e la musica.

Famose restano le vivaci discussioni in un famoso locale partenopeo dove nascevano confronti a favore di uno o dell’altro personaggio e, lui conoscitore profondo della storia Albanofona faceva trionfare sempre il Canto e mai la Musica.

È lui l’editore di Omnibus e l’Albanese d’Italia, come di tante altre pubblicazioni che nel corso della sua vita passò alle stampe; è il Torelli l’ideatore degli inserti popolari, dei suoi giornali, convinto che a fine anno ogni famiglia avrebbe posseduto un libro, dove le giovani leve, pure se povere avrebbero avuto occasione di illuminare il sapere.

Torelli nella sua struttura diffusa in tutto il territorio della Napoli capitale, aveva la sua sede nei pressi della chiesa di San Giovanni Maggiore, dove campeggiava la scritta e per chi non la notava, era lui a dare il ben venuto a, ogni Arbër, che li si recava a confrontarsi o a editare, con il saluto; ”Jaku i shërishiur su harrua”.

Per terminare, va sottolineato il dato che numerose sono le eccellenze Arbër che vanno ricordate e, qui non è il caso di citare per non dilungarsi e diventare noiosi, diversamente, dai tre “moschettieri della vergogna” che resteranno sempre noti come: il rissoso guerrafondaio, il copiatore seriale e il traditore per danaro.

Comments (0)

Disegni-di-Giura.2

Un Ponte che parte da Napoli dalla via Furcillense e, collega Tirana tkë Sheshi Skënderbej

Posted on 01 giugno 2023 by admin

Disegni-di-Giura.2

 

 

 

 

 

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) –  In Italiano/Skip

-PROGETTO RICORSI MEDITERRANEI: LA REGIONE STORICA DIFFUSA DEGLI ARBËR-

 

-Piani d’indagine: cose, fatti, presidi, uomini e finalità-

1  Introduzione;

2  La via Egnazia e le stazioni di sosta;

3  Scanderbeg; la lungimirante strategica diaspora;

4  Capitoli e Onciari

5  Il fuoco la casa, il cortile e l’orto botanico;

6  I vocaboli che uniscono Arbër e Albanesi;

7  Il centro Antico della Napoli purpignera di Valori Arber a confronto con il centro storico di Tirana;

8  L’Orientale di Napoli prima Università di lingua Arbër d’Europa: nata “Collegio dei Cinesi”;

9  Conclusioni e attività per il buon esito del progetto;

  1   -Introduzione –

L’Adriatico assieme all’alto Jonio e il Tirreno sono mari le cui caratteristiche geografiche si configurano come un golfo allungato dove si insinuano le terre peninsulare e, nello specifico le più estreme dell’Italia meridionale.

È qui che la storia focalizza gli sviluppi culturali più espressivi per i quali l’insieme assume il ruolo di sintesi, del più esteso, Mediterraneo.

La naturale configurazione, rende il “golfo Adriatico-Jonë”, una risorsa mediterranea, di cui hanno beneficiato i regnanti che gestivano le terre prospicienti; veste complementare rispetto alle grandi rotte, distinguendosi come protagonista nella navigazione costiera unilateralmente, per le configurazioni delle sponde.

L’invaso, prevalentemente di forma allungata, assumere più la caratteristica fluviale, che unisce due sponde, diversamente di come notoriamente è dei mari che separano lunghe distanze.

Il bacino, dalla punta ionica della puglia, sino alla laguna veneta, diventa protagonista nelle vicende che segnarono la storia di relazioni fra i popoli che in esso affacciano, tra queste, il regno di Napoli, con la capitale medesima e le terre dei governariati d’Albania con Tirana Capitale.

All’interno di questo golfo allungato nasce la navigazione, senza rischi e per questo ha da sempre assunto il ruolo di ponte per il dialogo civile e confronto tra i popoli che vivono le sue sponde.

Il suo utilizzo in forma di navigazione, per questo si può definire, allo steso modo di un cammino lento, i cui tempi sono paragonabili alla risalita di chine collinari.

Questo lento camminamento marittimo, si pone alla stessa stregua di quanti si trovarono con lentezza a superare valli, canaloni e colline, per giungere nei parallelismi territoriali su cui insediarsi grazie a intese politiche, culturali e religiosi tipici delle popolazioni prospicienti vivere in comune condivisione.

Le condizioni geografiche sono dunque l’elemento fondamentale per spiegare le vicende storico/culturali del mondo adriatico/jonico, che svolse essenzialmente una funzione di tramite.

L’Adriatico, anche rispetto al cruciale problema storico della suddivisione tra Impero d’Oriente e Impero d’Occidente e la relativa opposizione tra «latinità» «grecità» e «alessandrino», che interessò tutti gli ambiti, da quello politico a quello linguistico, religioso e culturale, ebbe una posizione particolare.

La divisione interessò, sostanzialmente solo il basso Adriatico, mentre, la parte compresa tra le due sponde fino al confine meridionale della Dalmazia rimase sotto l’influenza occidentale.

Le ragioni che hanno permesso il reciproco scambio tra meridione e la Dalmazia sono tanto di ordine geografico quanto economico.

La prima forniva ai territori dalmati prodotti agricoli, soprattutto grano e sale; la seconda ricambiava con legname, pellame e altre materie prime.

Secondo Aristotele Grekoj, la radice dell’appellativo “Greci”, erano un’antica tribù dell’Epiro Vecchia e nel periodo dell’Impero romano, il termine fu adottato per indicare popolazioni della stessa area culturale, linguistica o religiosa.

Più volte s’è discusso e parlato dell’insediamento degli albanesi in Italia, nel meridione in particolare, e della integrazione nel tessuto sociale ed economico accettato ed arricchito con impegno convinto e costruttivo in tutti i settori determinanti del vivere civile.

La massa di profughi sbarca in buona parte nei porti sicuri del meridione, dopo la morte dell’eroe Nazionale, Giorgio Castriota, allocandosi verso le colline, e disponendosi nei pressi di quei governariati principesche che poi sono i residui degli antagonisti Aragonesi fondano i paesi, a tutti noi noti e da noi abitati.

Gruppi consistenti si insediarono diffusamente nelle colline insulari e peninsulari del Regno di Napoli, Abruzzo, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania i luoghi già abitati dagli Arbanon, vennero rimarcati in maniera più consistente in quei principati in cui la fiducia era riposta più verso Gli angioini che gli Aragonesi creando delle vere e proprie enclave Arbanon, con il duplice compito di controllare il territorio a favore degli Aragonesi e sollevarne le sorti economiche, visto lo stato di abbandono in cui versavano questi territori, affermando le macroaree più importanti di questi gruppi etnico-albanofoni.

Emerge comunque il lungo legame storico tra le due terre, con l’Italia meridionale in modo più forte e, per certe considerazioni successive, anche vantaggiose per le due comunità.

Lo sviluppo e la crescita di queste popolazioni, nel corso del tempo, hanno ben tenuto saldo il legame con le loro terre d’origine, da qualcuno verranno definiti “italiani di origine albanese”

-La via Egnazia e le stazioni di sosta-

La rete stradale romana cominciò a svilupparsi già nel II secolo a.C. All’inizio fu usata soprattutto con scopi di
espansione militare, per poi divenire un sistema ben organizzato Nell’ambito del sistema viario romano, la via Egnazia
era una delle più importanti e antiche, costruita tra il 146 e il 120 avanti Cristo e poi estesa nel III-IV secolo).

La Via collegava colonie romane che si estendevano dal Mar Adriatico al Bosforo, del Mar Adriatico, un collegamento diretto di Roma con le colonie dei Balcani meridionali.

La via ha accolto per secoli Ambasciatori, Pellegrini, Cavalieri e Crociati, provenienti da ogni anfratto o capitale dell’Europa, qui transitavano per recarsi nei luoghi di confronto di credenza e nel transitare ricevevano conforto dalle genti Kalabanon, Arbanon e Arbër e, sono proprio queste genti ad iniziare confronti con varie dinastie e negli atti di accoglienza, si estendeva il confronto della parlata di queste terre, le stesse espressioni dialettali o parlate intercettate dal letterato Baffi nel 1775 e nessun delegato o presidio linguistico, che avesse come mira o tema le parlate di tramando idiomatico degli Arbër, unici in tutto il territorio dell’est o di ogni anfratto europeo, ha mai approfondito, o capitolo il valore dei rudimentali accenni del Libero pensatore Sofiota.

3 -Scanderbeg; la lungimirante strategica diaspora –

Gli Ottomani, all’indomani dell’espansione dell’impero romano d’oriente verso l’occidente, si attivarono per imporre religione, dopo le armi seguivano i temi dell’inculturazione.

Senza correre e perdere il senso di questo discorso, è opportuno iniziare dalla battaglia della Piana dei Merli.

Le regole cui si attenevano i Turchi in questi frangenti di conquista, consistevano nella consegna dei figli maschi, i discendenti legittimi.

Anche Giovanni Castriota, consegnati i suoi fili seguirono, pur avendo ottenuto ampie garanzie sulla libertà di religione, giunti a corte furono battezzati e circoncisi secondo i riti mussulmani, cambiandone anche il nome.

Nel 1443, si diffuse la notizia che il padre, di Giorgio Castriota Giovanni, era passato a miglior vita, e com’era consuetudine, l’antico patto andava messo in atto e, fu inviato il generale Sabelia, a impossessarsi delle terre di Krujë.

E nel marzo del 1444, ad Alessio, Giorgio Castriota, il minore dei figli di Giovanni, fu proclamato all’unanimità guida cristiana

Giorgio Castriota dal 1444 si distinse in numerose battaglie, intervenne a favore degli Aragonesi contro le armate Angioine, nella battaglia di Troia in località Terra Strutta presso Greci.

Dopo il 1468, anno della morte, restano le gesta irripetibili, la fama e l’impegno di mutuo soccorso dell’Ordine del Drago, accogliendo a Napoli Andronica Arianiti Comneno, vedova di Giorgio.

Al tempo la scelta preferita della vedova di Giorgio, lasciò perplessi il Papato e i Dogi veneziani e altre

Grazie a quest’atto di fiducia e stima reciproca, in seguito anche altri esuli trovarono la strada spianata in accoglienza nelle “Arché dell’infinito arbëreshë”.

A tal proposito è bene, rilevare, gli eventi politico religiose in atto:

  • i primi segnano il territorio a favore del re per controllare i Principi legati alla corona francese;
  • i secondi, oltre a incrementare il numero in senso di forza lavoro si insediarono in quell’antica disposizione subito dopo la venuta di Anidrotica Arianiti Comneno.

Arche abitative per la difesa, Katundë ripopolati da profughi arbëreshë, cui fu affidata la missione di evitare futuri confronti con i nuovi popoli che con gli indigeni condividevano quelle terre.

Giorgio Castriota per gli arbëreshë rappresenta la svolta storica di quanti abitarono le terre una volta dell’Epiro Nuova E dell’Epiro Vecchia, lungo la via Egnazia per tutelare l’originaria essenza Linguistica, Metrica, Consuetudinaria e Religiosa, oggi ancora vivi in quelle macro aree che identificano la Regione Storica Diffusa Arbëreshë.

I parlanti questa lingua antica, senza ne segni, né tomi, rappresentano i prosecutori di un modello senza eguali, ancora oggi, capace di mantenere vivi i valori di integrazione tra le più antiche.

Gli Arbëreshë assumono il ruolo di conservatori fedeli della radice identitaria originaria, quella che si compone di gruppi familiari allargati.

I risultati di questa intuizione li apprezziamo ancora oggi con gli Albanesi (il tangibile) e gli Arbër, i tutori dell’antica radice identitaria (l’intangibile).

 4  -Capitoli e Onciari-

Capitoli:

Spesso si odono regole sui diritti religiosi e civili, riferite sulla base di tradizioni, o documenti gelosamente conservati nell’archivio, che nessuno sa leggere e applicare.

Diffusamente si insiste nel ritenere che alcune Colonie Albanofone siano di radice militare e presentano anche argomenti a sostegno tale stranissima e curiose tesi, emergendo le somiglianze delle loro strutture urbanistiche e dei Capitoli in casali preesistenti e disabitati, a differenza di quanto avveniva per i paesi di nuova fondazione.

Certamente i Capitoli sono la prima documentazione scritta di buona parte delle usanze seguite dalla società Albanofona, trapiantatasi nel meridione con tutta la sua struttura sociale e la sua organizzazione.

Sono queste che dopo la caduta di Scutari nel 1479, vede le famiglie dell’antica Albania, che si assunsero l’onere di preservare il modello sociale e identitario definito dal Kanun.

Questi gruppi e a tutti gli altri che si sovrappongono o si aggiungono, si applicava la norma di reggersi secondo i loro dettami, in tutte le parti dove essi decidessero d’impiantarsi.

Un elemento che lega tutti i profughi che trovarono ristoro nelle colline del meridione è sintomatica ed esemplare la diffusione del culto della Madonna Odigitria.

Essi lo esercitavano nei vari paesi dove si andavano trapiantando e dove si radicava presso le locali popolazioni e sopravviveva anche quando i pochi si assimilavano con gli abitanti del luogo o si trasferivano altrove.

Questo principio continuò a diffondersi e ad affermarsi in modo sorprendente in vari organismi religiosi del meridione e sin anche nella capitale partenopea e siciliana, da cui tendeva anche a trasferirsi negli organismi sociali.

I Capitoli costituivano la parte più antica e certamente la più importante del Kanun detto di Dukagjini, questa osservazione ci permette di fare un ragionevole collegamento col resto delle consuetudini che non sono registrate in quei Capitoli, ma che sono consuetudini radicate nella regione storica ed hanno una notevole corrispondenza con le concezioni Kanunali.

Se poi volessimo allargare la ricerca anche ai movimenti culturali e socio-politici determinati sulla base dello spirito di quei Capitoli, allora il campo di ricerca diventerebbe troppo ampio.

Onciario:

Il Catasto Onciario è una fra le più importanti fonti per lo studio della storia economica e sociale dell’Italia Meridionale.

Iniziato a compilare dalla fine del seicento e dopo decenni di accumulo di dati del 4 ottobre 1740 re Carlo III di Borbone dispose per il Regno intero la compilazione dell’onciario per la quantificazione d’imposta.

Dal 1741 al 1742, la Regia Camera della Sommaria, autorità fiscale, organo amministrativo e consultivo dell’antico regime aragonese operante nel Regno di Napoli, emanò istruzioni per la compilazione dei Catasti e il 28 Settembre 1742 stabilì i termini di consegna del censimento catastale entro quattro mesi.

Dieci anni più tardi molte Università non avevano ancora completato il lavoro, ed il Re, nel maggio 1753, decise di inviare suoi Commissari per supportare quei Comuni che non erano stati in grado o non avevano ancora completato la redazione. Il risultato fu una sorta di censimento dell’intera popolazione dell’Italia meridionale completo di età, professioni e proprietà, non escluso il bestiame. A ciascuna Università (Comune) era dato il compito di redigerne due copie, una da conservare presso l’Università per eventuali aggiornamenti e l’altra da inviare a Napoli alla Regia Camera della Sommaria. Da allora molte delle copie conservate localmente sono andate distrutte o consegnate agli archivi provinciali. Le copie inviate a Napoli sono ora conservate in una speciale sezione dell’Archivio di Stato.

La finalità era quella di uniformare e mettere ordine nel campo tributario, rilevando con precisione l’ammontare della popolazione e garantendo la ripartizione del carico fiscale in base alle effettive possibilità e i beni posseduti. In realtà le informazioni demografiche sono da ritenersi lacunose poiché non risultano iscritte nel Catasto le famiglie prive di beni e quelle esentate dai pagamenti.

Le categorie iscritte erano i cittadini abitanti e non, vedove e vergini, ecclesiastici secolari cittadini e forestieri, forestieri abitanti e non abitanti laici, chiese, monasteri e luoghi pii.

5 – Il Fuoco, la Casa, il Cortile e l’Orto botanico-

Gli agglomerati diffusi arbëreshë nascono secondo regie disposizioni e grazie al modello di famiglia allargata, i rioni rappresentano il percorso evolutivo dell’abitato per restituirci l’attuale assetto planimetrico, il processo di trasformazione dell’ambiente naturale in quello costruito è avvenuto secondo i parametri morfologici, orografici e climatici; fondamentali per gli esuli, giacché simili a quelli della terra d’origine.

È in queste macro aree che le costanti dei sistemi urbani: il fuoco, la casa, il recinto, e il giardino, hanno trovato l’ambiente ideale per restituire gli ambiti odierni; il recinto delimita il territorio, ove la famiglia allargata aveva il controllo assoluto; il fuoco acceso appena raggiunto il luogo parallelo di residenza, venne acceso, mai più spento e, attorno ad esso che si riunirono i componenti della famigli allargata a prospettare strategie in Arbër, alimentato e gestito dalla regina del fuoco è stato il centro della luce e delle prospettive di uguaglianza, sociale e civile ;la casa, era costituita da un unico ambiente in cui conservare le poche suppellettili e alimenti; il giardino è luogo della prima spogliatura, dimora dell’orto stagionale, la farmacia dei casa, l’indispensabile “orto botanico”.

Nel periodo che va dal XV al XX secolo, gli esuli lentamente hanno riposto il modello familiare allargato per quello urbano e poi, in tempi più recenti vive quello della multimedialità.

Lo sviluppo degli agglomerati tendenzialmente accoglie le direttive dell’urbanistica greca che allocava gli accessi degli abituri sulle strette vie secondarie, rruhat.

La Gjitonia, (dove vedo e dove sento), sin dal XVI secolo ha resistito alla modernità diventando il luogo della ricerca dell’antico legame indispensabile per la consuetudine Arbër, essa ha origine dal tepore del focolare, si espande con cerchi concentrici, nella piazzetta sheshi e si estende lungo le rruhat, sino a giungere negli angoli più reconditi dei territori e non solo.

Gli agglomerati Albanofoni rappresentano il cardine che lega lingue, religioni e storie in grado di produrre il modello d’integrazione più riuscito del mediterraneo. Il piccolo abituro, shëpia, in origine realizzato con espedienti estrattivi, in seguito, è stato ottimizzato attraverso l’utilizzo di materiali autoctoni più idonei secondo metriche additive. Dopo il terremoto del 1783, gli stessi ambiti urbani minoritari ebbero un nuovo sviluppo architettonico e gli agglomerati iniziarono a svilupparsi verticalmente allocando i magazzini e le stalle al piano terra mentre le abitazioni erano al primo livello. I successivi frazionamenti, richiesero l’uso delle scale esterne, profferlo, modificò radicalmente le prospettive all’interno dei centri antichi. Il ciclo di crescita si arricchisce ulteriormente dopo il decennio francese, con la costruzione dei nuovi palazzotti nobiliari, solo per le classi più elevate perché quelle meno abbienti continuano a occupare i vecchi abituri e quella media esterna la nuova posizione sociale, imitando frammenti dei palazzi

6 -Il vocabolario che unisce l’Albanese e l’Arbër-

La ricerca di favole e racconti locali, riferiti in Arbër, è il percorso da imitare come venne fatto dai fratelli Grimm.

Tuttavia i fratelli G., per tracciare la lingua unitaria, usando le favole diffondevano unitariamente gli elementi che compongono il corpo umano e, gli elementi naturali comuni, in altre parole tutto ciò che consentiva la vivibilità sul territorio, vita condivisa tra uomo e natura.

Questo è un dato rilevantissimo che sfugge in questa disciplina, presumibilmente, si può ipotizzare che, nella foga di voler primeggiare non si sia terminato di leggere la frase, che descriveva, l’operato dei fratelli germanici.

Esiste un principio secondo il quale le radici danno linfa, solidità del tronco di un albero e i rami con le foglie forniscono il giusto equilibrio energetico per tutelare il sistema vitale.

Se si comprende questo principio, si è in grado di dedicarsi a progetti di una tutela condivisa, per sostenere nel tempo, la solidità di un idioma privo di segni e tomi condivisi.

Quanti sino a oggi si sono adoperato per produrre elementi utili in campo linguistico, letterario, storico, sociale, antropologico, urbanistico e architettonico, all’interno della regione storica Arbër, senza seguire i protocolli storici, non hanno fatto altro che produrre inutili focolai di contaminazione.

Una lingua per essere analizzata compresa ed eventualmente tutelata, la si deve sanzionare iniziando da presupposti storico identitari, per poi muoversi secondo le tematiche di progetto; avendo come prioritari la figura umana e l’ambiente; “la descrizione e al modo di appellare il corpo umano; Apparati, Organi e Sistemi, ben legati alle opportunità che offre l’ambiente naturale per la sopravvivenza”.

Una teoria nasce secondo i canoni del progetto a favore dei fruitori, la radice è il cuore e i sensi, evitano di confondere cosa vuol dire essere un Arbër o gli odierni Albanesi, ovvero l’antico e il nuovo del glorioso popolo.

 7 -Il centro Antico della Napoli purpignera di Valori Arber a confronto con il centro storico di Tirana-

Dopo l’esodo latente degli Arbanon nelle regioni del meridione, ebbe avvio un consistente esodo, a seguito della morte dell’eroe Giorgio Castriota, agevolato dalla scelta della consorte, Donica Arianiti Comneno, nel preferì Napoli quale porto sicuro, di lei, la sua discendenza e il popolo ad essa rimasto fedele.

Ebbe così luogo un esodo epocale di Arbër, negli approdi del regno; cui seguì il pellegrinare lungo le coste adriatiche, joniche, e del Tirreno, verso le colline dove furono intercettati i luoghi paralleli, innescando così il breve periodo scontro e il medio confronto, le basi di conoscenza del protocollo dell’integrazione.

Nascono in sette regioni dell’odierno meridione Italiano, le ventuno macroaree in consistenza di oltre cento agglomerati, facente parte la Regione Storica Diffusa degli Arbër, presidi paralleli caratterizzati tutti dai quattro tipici rioni e tutti desiderosi di innestare le radici della terra da cui furono costretti a fuggire.

Devono trascorrere circa due secoli per veder nascere le prime scintille del fuoco culturale dove numerosi Arbër, prima in forma religiosa e poi sempre più diffusamente laica, nella Napoli capitale primeggiano in tutti i titoli culturali d’Europa.

Un numero di eccellenze che segano la stessa storia del regno positivamente, in ogni provincia partono formati da quelle che all’epoca erano considerate scuole dell’obbligo minimo, e tracciano un nuovo sapere moderno, relativamente al sociale culturale, la scienza esatta, la politica, la sociologia e purtroppo, sin anche nelle vicende di profitto economico che lasciarono qualche perplessità ancor oggi non chiara, che diventano certezza pei pochi che sanno interpretare la storia.

La parentesi culturale prende il suo avvio, grazie ai presidi monastici attraverso cui diffondere credenze, lingue antiche, arte e storia, questa indirizzata a un ristrettissimo gruppo o fortunati addetti, devono attendere l’insediamento sul trono di Napoli di re Carlo III, per avere la svolta epocale senza più termine la platea estesa, che la stessa Europa si affacciava spesso a osservare, apprendere per poi articolare politiche di non principi a dirsi nobili.

Dall’insediamento del re, si avvia una vera e propria rivoluzione culturale, istituendo presidi e luoghi per conoscere e mostrare le cose del passato.

Ginnasi, università, musei accademie luoghi di studio e restauro di reperti, arti ceramiche, giardini botanici, in tutto una vera e proprio rilancio colturale senza precedenti.

Generalmente, genericamente e comunemente, si preferisce illuminare e valorizzare quanti si sono particolarmente affannati o meglio ostinati ad allestire alfabetari e racconti secondo regole grammaticali a dir poco inutili, tuttavia e, nonostante questa preferenza locale o campanili afonici, sono gli altri uomini della regione storica a brillare per giungere riveriti in tutti i salotti d’Europa, senza allargare troppo la platea.

Se dal punto di vista linguistico Pasquale Baffi seminava le fondamenta di indagine indirizzate alla provenienza idiomatica, mai continuata, figure altre, intuendone le potenzialità, giungevano da tutta Europa per dilettarsi e apprendere, il nuovo pensiero politico, culturale, sociale e storico Albanofono.

8 -L’Orientale di Napoli prima Università di lingua Albanofona in Europa: nota come “Collegio dei Cinesi”-

L’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” trae le sue origini dal Collegio dei Cinesi, fondato da Matteo Ripa, sacerdote secolare e missionario, che dal 1711 al 1723 aveva lavorato, in qualità di pittore/incisore su rame, alla corte dell’imperatore mancese Kangxi.

Sarà Clemente XII, con breve del 7 aprile 1732, ad offrire un riconoscimento ufficiale al Collegio dei Cinesi, che aveva come scopo la formazione religiosa e l’ordinazione sacerdotale di giovani cinesi destinati a propagare il cattolicesimo nel loro paese.

Dal 1747, furono ammessi al Collegio giovani provenienti dall’Impero Ottomano (albanesi, bosniaci, montenegrini, serbi, bulgari, greci, libanesi, egiziani) allo scopo di ricevere formazione religiosa e ordinazione sacerdotale perché poi potessero svolgere attività missionaria nei paesi di origine.

Dopo l’Unità d’Italia il Collegio dei Cinesi fu trasformato nel 1868 in Real Collegio Asiatico, articolato in due sezioni: quella, antica, missionaria e una nuova, aperta a giovani laici interessati allo studio delle lingue parlate nell’Asia Orientale.

Dopo la riforma De Sanctis furono inaugurati gli insegnamenti dell’hindi e dell’urdù, nonché del persiano e del greco moderno. Nel dicembre del 1888 una legge dello Stato trasformò il Real Collegio Asiatico in Istituto Orientale.

Attualmente “L’Orientale” è specializzata negli insegnamenti linguistico-letterari e storico-artistici inerenti l’Oriente e l’Africa, senza trascurare le culture espresse dai paesi mediterranei, dall’Europa e dalle Americhe.

Nel 1900, presso l’allora Istituto Universitario Orientale di Napoli, città alla quale fu riconosciuto il suo ruolo di centralità avuta in tutto l’Ottocento per la “questione albanese, è stata istituita la prima cattedra universitaria di lingua e la letteratura albanese in Europa.

Giuseppe Schirò, illustre studioso e attento raccoglitore delle tradizioni poetiche Arbër, fu il primo professore universitario, presso l’Istituto Orientale di Napoli, di cui fu anche direttore.

Egli fu tra gli iniziatori di una letteratura che dall’Arbër andò sempre pi allargandosi accogliendo prospettive autorevoli, ispiratore degli intellettuali del suo tempo ed ebbe un ruolo importante nel movimento della Rinascita Albanese e nell’indipendenza dell’Albania, partecipando attivamente insieme alle élite intellettuali albanesi.

Dopo aver frequentato il Seminario Italo-Albanese di Palermo, si laureò in legge e affrontò in prima persona la questione albanese vissuta tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX frequentando gli ambiti albanesi e per questo meritorio di Salire nella prima cattedra dell’istituto.

Non meno significative furono le indagini condotte nel campo delle tradizioni letterarie popolari Arbër, egli attinse da tutte le parlate, nella prospettiva di unificarle, di particolare importanza sono gli studi nel campo della filologia letteraria e della dialettologia e del tutto eccezionali rimangono gli anni trascorsi a Napoli, dove incaricato quale primo docente di Lingua e Letteratura Albanese presso l’Istituto Regio Orientale, insegnò dal 1900 sino alla morte.

In questa veste rilanciò presso gli ambienti culturali e politici italiani l’idea nazionale albanese e si fece promotore di iniziative editoriali e pubblicistiche, come Arbër i rii.

9 – Conclusioni e attività per il buon esito del progetto –

Alla luce di quanto emerso o meglio lamentato e posto in evidenza è palese la necessità di tutelare i centri Antichi e i protocolli per le cose che poste nelle disposizioni di istituti e istituzioni che non hanno forza, o meglio capacità interpretativa per realizzare progetti di continuità storica di questi luoghi, cose e genti.

La rara consuetudine minoritaria, inghisata in questi ambiti, attende l’idoneo restauro che la collochi con rispetto nello scenario sociale, culturale e scientifico di tutto il Mediterraneo cosi come integrato prima delle libere interpretazioni succedutesi dalla fine del secolo scorso.

La Regione Storica Diffusa Degli Arbër nasce perché è il risultato dell’azione di una civiltà indissolubile, non frutto dell’azione costruttiva di un singolo o di singoli senza formazione che fanno gruppo; essa è una cerniera di culture e perciò va salvaguardato. Dopo gli avvenimenti succedutisi negli ultimi decenni e precisamente dagli anni settanta del secolo scorso, o meglio dopo il devastante sessantotto, alla luce degli eventi, si dovrebbe giungere a un ragionevole esame e seguire il fine di depositare in sicurezza gli ambiti degli oltre cento paesi Arbër. I centri antichi in modo particolare, attraverso opportuni interventi indispensabili a far rivivere il patrimonio storico costruito in 550 anni di vita Arbër. Il recupero dell’agglomerati assieme alle cose materiali ed immateriali, l’ambiente naturale, i cromatismi pittorici devono avere come fine, la ricollocazione della minoranza storica che va condivisa non solo con le associazioni, eventi e appuntamenti a dir poco inadeguati da tutta la regione arbëreshë. Serve, urge o è indispensabile avviare progetti che hanno come indicatore la storia albanofona, qui in itali e dalla terra di origine Albanese, i luoghi dove sono ancora intrise le ostinate murature, le quali continuano a riverberare una lingua antichissima con radice nuova e antichissima.

Se a Queste innestiamo le attività i costumi e il genio locale in consuetudini agro, silvicole e pastorali, in solida convivenza con il territori Della regione Storica e della odierna Albania, possiamo rendere solida, resiliente e indistruttibile il nostro protocollo.

Esiste una regione storica ad ovest dell’Adriatico con 109 paesi di origine Arber con Capitale Napoli; esite una Nazione Albanese Capitale Tirana ad est dell’Adriatico; la storia insegna che cavalieri e re si uniscono o meglio convergono nelle rive di un fiume, per iniziare nuove stagioni di progetti comuni e valorizzare le cose e gli uomini.

La geografia spiega che cosa sia un mare e cosa sia un fiume; storicamente l’Adriatico ha più l’aspetto di un fiume anche se lo si appella mare, per questo a ben vedere, costituire un momento di fraterna cooperazione sociale e culture, nel momento storico che viviamo è un bel esempio per tutta la popolazione del vecchio continente.

Abbiamo tutti gli elementi a disposizione, ovvero, Scuole, Università, Istituzioni, Associazioni, Acli (Associazioni, Cristiane Lavoratori Italiani), oltre a numerose Figure Culturali forti, per innescare attività di cooperazione, i cui temi di proposta iniziali sono i seguenti:

  • Percorsi Storici, Linguistici e Teologici;
  • Figure storiche Arbër e Albanesi; risorsa culturale del Vecchio Continente
  • Storia dell’Urbanistica e dell’Architettura;
  • Storia della Consuetudine Sociale;
  • Storia del Costume;
  • Il vocabolario che unisce le sponde dell’Adriatico
  • Aspetti sociologici Mediterranei;
  • Aspetti e risvolti Filosofici;
  • Aspetti Storici e Antropologici;
  • Relazioni Internazionali tra l’Est e l’Ovest dell’Adriatico;
  • Pompei, Butrinto, Ercolano
  • La via Appia. La via Traiana, La via Egnatia;

 

————————————————————————————————————————————–

 

NAPOLI  (i Shanasi Pici Basilitë) ndë Skip

PROJEKT APELI MESDHETAR: KRAHINA HISTORIKE I SHPËRFARË I ARBËR

– Planet e hetimit: gjërat, faktet, parimet, njerëzit dhe qëllimet –

 1) Hyrje;

2) Nëpër Egntia dhe stacionet e pushimit;

3) Skënderbeu; diaspora strategjike largpamëse;

4) Kapitujt dhe Katastra

5) Zjarri, shtëpia, oborrin dhe kopshtin botanik;

6) Fjalët që bashkojnë Arbër dhe shqiptarë;

7) Qendra Antike e Napolit “të Purpurt” e Vlerat arbërore duke e krahasuar me qendrën historike të Tiranës;

8) Universiteti i Napolit Orientale e Napolit, i pari universitet arbërfolës në Evropë: themeluar si “Colegj Kinez”;

9) Konkluzionet dhe aktivitetet për suksesin e projektit;

1) -Hyrje –

Adriatiku së bashku me Jonin e sipërm dhe Tirrenin janë dete, me karakteristikat gjeografike të konfiguruar si një gji i zgjatur, në të cilat futen tokat gadishullore dhe veçanërisht ato më ekstremet të Italisë jugore. Historia e zhvillimit kulturor përqendrohet pikërisht në këtë pikë e tëra merr rolin e sintezës, të e zgjeruar, mesdhetare.

Konfigurimi natyror e bën “gjirin Adriatik-Jonë”, një burim mesdhetar, nga i cili përfituan pushtetarët që menaxhonin tokat përballë, duke u dalluar si protagonist në lundrimin bregdetar të njëanshme, për shkak të konfigurimeve, të brigjeve.

Forma e saj kryesisht e zgjatur, merr më shumë karakteristikën lumore, që bashkon dy brigje, ndryshe nga sa njihet për detet që ndajnë distanca të gjata.

Pellgu, nga maja joniane e Pulias, deri në lagunën veneciane, bëhet protagonist në ngjarjet që shënuan historinë e marrëdhënieve midis popujve që e anashkalojnë, mes tyre mbretëria e Napolit, dhe trojet e Shqipërisë me kryeqytet Tiranën.

Lundrimi ka lindur brenda këtij gjiri të zgjatur, pa rrezik dhe për këtë arsye ka marrë gjithmonë rolin e

urë për dialog civil dhe ballafaqim mes popujve që jetojnë në brigjet e saj.

Përdorimi i tij në formën e lundrimit, për këtë arsye, mund të përkufizohet njësoj si një shteg i ngadaltë, kohët e së cilës janë të krahasueshme me ngjitjet në shpatet kodrinore.

Ky vendkalim i ngadaltë detar vendoset në të njëjtën mënyrë si ata që e gjetën veten duke kapërcyer ngadalë luginat, gryka dhe kodra, për të arritur paralelet territoriale mbi të cilat do të vendosesh falë marrëveshjeve politike, kulturore dhe fetare, tipike për popullatat që jetojnë në ndarje të përbashkët.

Prandaj kushtet gjeografike janë elementi themelor për shpjegimin e ngjarjeve historike/kulturore të botës së brigjeve Adriatik/Jon, i cili në thelb kryente një funksion ndërmjetësi.

Adriatiku, ngelet një nyje me problemin vendimtar historik të ndarjes midis Perandorisë Lindore dhe Perëndimore, dhe kundërshtimit relativ midis “latinishtes” “grekes” dhe “aleksandrian”, i cili preku të gjitha fushat, nga ajo politike në ai gjuhësor, fetar dhe kulturor, dhe pati një pozicion të veçantë.

Ndarja përfshiu në thelb vetëm Adriatikun e poshtëm, ndërsa pjesën ndërmjet dy brigjeve deri në kufiri jugor i Dalmacisë mbeti nën ndikimin perëndimor.

Arsyet që kanë lejuar shkëmbimin e ndërsjellë mes jugut dhe Dalmacisë janë gjeografike dhe ekonomike.

I pari furnizonte territoret dalmate me produkte bujqësore, mbi të gjitha drithëra dhe kripë; e dyta reciproke me lëndë druri, lëkurë dhe lëndë të tjera të para.

Sipas Aristotelit Grekoj, rrënja e emërtimit “grek”, ishin një fis i lashtë i Epirit të Vjetër dhe në periudhën

të Perandorisë Romake, termi u miratua për të treguar popullsinë e së njëjtës zonë kulturore, gjuhësore apo fetare.

Shpesh është folur dhe diskutuar për ngulmimet e shqiptarëve në Itali, veçanërisht në jug, dhe të

integrimit të tyre në strukturën sociale dhe ekonomike të pranuar dhe pasuruar me përkushtim të bindur dhe konstruktiv në të gjithë fushat kryesore të jetës civile.

Masa e refugjatëve zbarkoi në pjesën më të madhe në portet e sigurta të jugut, pas vdekjes së heroit kombëtar, Gjergj Kastrioti, duke u ndarë drejt kodrave dhe duke u rregulluar pranë atyre qeverive princërore që janë mbetjet e antagonistëve aragonistë, themeluan qytetet, të njohura për të gjithë ne dhe të banuara prej nesh.

Grupe të konsiderueshme të vendosura gjerësisht në kodrat ishullore dhe gadishullore të Mbretërisë së Napolit, Abruzzo-s, Siçilisë, Kalabrisë, Basilicata-s, Puglia-s dhe Campania-s, vende të banuara tashmë nga Arbër, u vërejtën në mënyrë më të qëndrueshme në ato principata në të cilat besohej më shumë. Anzhuinët dhe aragonezët krijuanenklavat e vërteta arbëror, me detyrë të dyfishtë për të kontrolluar territorin në favor të aragonezëve dhe për të lehtësuar pasuritë e tyre ekonomike, duke pasur parasysh gjendjen e braktisjes në të cilën ranë këto territore, duke afirmuar makro-zonat më të rëndësishme të këtyre grupeve, folës etnikë-shqiptarë.

Megjithatë, lidhja e gjatë historike midis dy tokave shfaqet, me Italinë jugore në një mënyrë më të fortë dhe, për disa konsiderata të mëvonshme, gjithashtu të dobishme për të dy komunitetet.

Zhvillimi dhe rritja e këtyre popullsive, me kalimin e kohës, e kanë mbajtur të fortë lidhjen me tokat e tyre të origjinës, disa do t’i përcaktojnë si “italianë me origjinë shqiptarë”;

2)Rruga Egnatia dhe stacionet e pushimit

Rrjeti rrugor romak filloi të zhvillohej qysh në shekullin II para Krishtit. Në fillim ajo u përdor kryesisht për qëllime të zgjerimit ushtarak dhe më pas u bë një sistem i organizuar mirë. Brenda sistemit rrugor romak, rruga Egnazia ishte një nga më të rëndësishmet dhe më të vjetrat, e ndërtuar midis viteve 146 dhe 120 para Krishtit dhe më pas u zgjerua në shekullin III. -shekulli IV).

Ruga lidhte kolonitë romake që shtriheshin nga deti Adriatik në Bosfor, të detit Adriatik një lidhje e drejtpërdrejtë e Romës me kolonitë e Ballkanit jugor.

Rruga prej shekujsh ka pritur ambasadorë, pelegrinët, kalorës dhe kryqtarë, të ardhur nga çdo luginë apo kryeqytet i Evropës, që kalonin këtu për të shkuar në vendet e ndryshme  apo të besimeve, kalimthi merrnin ngushëllim nga Kalabanët, Arbanët dhe Arbërit përballeshin me dinasti te ndryshme dhe në aktet mikpritese u zgjerua ndeshja e të folurit të këtyre trojeve, të njëjtat shprehje dialektore apo të folura të përgjuara nga studiuesi Baffi në vitin 1775 dhe asnjë delegat apo garnizon gjuhësor, që kishte si synim apo temë dorëshkrimin idiomatik të arbërit, unik në të gjithë territorin lindor apo në çdo luginë europiane, nuk e ka thelluar apo kapitulluar vlerën e elementit rudimentar, sugjerime të mendimtarit të lirë Sofiot.

3)  -Skënderbeu; diaspora strategjike largpamëse –

Osmanët, si pasojë e zgjerimit të Perandorisë Romake Lindore drejt Perëndimit, ndërmorën veprime për të imponuar fenë, pasi armët ndoqën temat e inkulturimit.

Pa u nxituar dhe pa humbur kuptimin e këtij fjalimi, është me vend të fillojmë nga beteja e Piana dei Merli.

Rregullat që ndoqën turqit në këto momente pushtimi konsistonin në lindjen e fëmijëve meshkuj, d.m.th

pasardhës të ligjshëm. Edhe Gjon Kastrioti, pavarësisht se kishte marrë garanci të shumta për lirinë e fesë, pasi erdhën në oborr  fëmijët e tyre u pagëzuan dhe u bënë synet sipas riteve myslimane, duke ndryshuar edhe emrin.

Në vitin 1443, u përhap lajmi se babai i Gjergj Kastrioti, Gjoni kishte vdekur, dhe siç ishte

zakoni, pakti i lashtë duhej zbatuar, kështu që  gjeneral Sabelia u dërgua për të marrë në zotërim tokat e Krujës.Dhe në mars 1444, në Lezhë, Gjergj Kastrioti, më i riu nga djemtë e Giovanni-t, u shpall njëzëri udhërrëfyes i krishterë. Gjergj Kastrioti nga viti 1444 u dallua në beteja të shumta, ndërhyri në favor të aragonezëve kundër ushtrive Anzhuinëve, në betejën e Trojës në Terra Strutta afër Grecit.

Pas vitit 1468, viti i vdekjes së tij, mbeten veprat e papërsëritshme, fama dhe angazhimi për ndihmë reciproke të Urdhrit të Dragoit, duke mirëpritur në Napoli Donikën Arianiti Comneno, të venë e Gjergjit.

Zgjedhja e preferuar që bëri vejusha e Gjergj Kastriotit,hutoi Papatin, Dozhët venecianë si dhe të tjerët.

Falë këtij akti besimi dhe vlerësimi reciprok, gjetën rrugën e shtruar në mikpritje edhe mërgimtarët e tjerë “princip e arbëreshëve të pafund”.

Në këtë drejtim, është mirë të theksohen ngjarjet e vazhdueshme politiko-fetare:

– e para shënuan territorin në favor të mbretit për të kontrolluar princat e lidhur me kurorën franceze;

– e dyta krahas rritjes së numrit për nga fuqia punëtore, u bënë ngulimet e tyre, kjo erdhi menjëherë pas mbrritjes së Donikës Arianiti Comneno.

 Katunde u ripopulluan nga refugjatë arbëreshë, të cilëve iu besua misioni për të shmangur përballjet e ardhshme me popujt e rinj, e me vendasit ndanë ato troje.

Gjergj Kastrioti për arbëreshët përfaqëson kthesën historike të atyre që dikur banonin në trojet e Epirit.

Lindja e Re e Epirit të Vjetër, përgjatë rrugës Egnatia, për të mbrojtur thelbin origjinal gjuhësor, metrik, zakonor dhe fetar, ende i gjallë sot në ato makro zona që identifikojnë Rajonin e Përhapur Historik arbëreshe.

Folësit e kësaj gjuhe të lashtë, pa shenja e toma, përfaqësojnë vazhduesit e një modeli të pabarabartë, ende sot, të aftë për të mbajtur gjallë vlerat e integrimit ndër më të vjetrit.

Arbëreshët marrin rolin e ruajtësve besnikë të rrënjës origjinale identitare, asaj që përbëhet nga grupet e gjera të familjes.

Rezultatet e kësaj intuite i vlerësojmë edhe sot me shqiptarët (e prekshme) dhe arbërit, rojet e rrënjës së lashtë identitare (të paprekshmes).

4)  –Capitoli e Onciari-\ kapitulli i kadastrave të njësisë me Ons

Kapitulli\ Marrëveshja

Shpesh dëgjohen rregulla për të drejtat fetare dhe civile, të referuara në bazë të traditave apo dokumenteve,të ruajtura me xhelozi në arkiv, të cilat askush nuk di t’i lexojë dhe t’i zbatojë.

Besohet gjerësisht se disa koloni albanofone kanë rrënjë ushtarake të cilat paraqesin argumente në mbështetje të kësaj teze shumë të çuditshme dhe kurioze, duke zbuluar ngjashmëritë e strukturave të tyre urbane si dhe të marrveshjeve në fermat para-ekzistuese të pabanuara, ndryshe nga ajo që ndodhi për qytetet e reja të themeluara.

Sigurisht që Kapitujt(Marrveshjet), janë dokumentacioni i parë i shkruar i një pjese të madhe të zakoneve të ndjekura nga shoqëria albanofone, e cila u zhvendos në jug me gjithë strukturën dhe organizimin e saj shoqëror.Janë këta që pas rënies së Shkodrës më 1479, familjet e Shqipërisë së lashtë, morën përsipër barrën e ruajtjes së modelit social dhe identitar të përcaktuar nga Kanuni.

Këto grupe dhe të gjitha të tjerat që shtohen me njëra-tjetrën, qeveriseshin nga rregulli sipas diktatit të tyre, në të gjitha pjesët ku u ngulitën.

Një element që lidh të gjithë refugjatët që gjetën freskim në kodrat e jugut është përhapja simptomatike dhe shembullore e kultit të Madonna Odigitria. Refugjatët e ushtronin atë në vendet e ndryshme ku u ngulitën dhe ku ajo zuri rrënjë në popullsinë vendase dhe mbijetoi edhe kur të paktët u asimiluan me banorët vendas ose u shpërngulën gjetkë.

Ky parim vazhdoi të përhapet dhe të vendoset në mënyrë të habitshme në organe të ndryshme fetare të vendit në jug dhe madje edhe në kryeqytetin napolitan partenope dhe sicilian, nga i cili tentoi të kalonte edhe në organizmat shoqërore.

Kapitujt përbënin pjesën më të vjetër dhe sigurisht më të rëndësishme të Kanunit të thënë për Dukagjinin, ky vëzhgim na lejon të bëjmë një lidhje të arsyeshme me pjesën tjetër të zakoneve që nuk janë regjistruar në ata kapituj, por që janë zakone të rrënjosura në rajonin historik dhe kanë një korrespondencë të shquar me konceptimet kanunali. Nëse atëherë do të donim ta shtrinim kërkimin edhe në lëvizjet kulturore dhe socio-politike të përcaktuara në bazë të frymës së atyre kapitujve, atëherë fusha e kërkimit do të bëhej shumë e gjerë.

 

Onciario\ Ons :

Catasto Onciario është një nga burimet më të rëndësishme për studimin e historisë ekonomike dhe sociale të Italisë Jugore.

Filloi të përpilohej nga fundi i shekullit të shtatëmbëdhjetë dhe pas dekadash grumbullimi të të dhënave më 4 tetor 1740, mbreti Charles III i Bourbonit urdhëroi përpilimin e onciarios për përcaktimin e sasisë së taksave për të gjithë Mbretërinë.

Nga viti 1741 deri në 1742, Regia Camera della Sommaria, autoriteti fiskal, organi administrativ dhe këshillimor i regjimit të lashtë aragonez që vepronte në Mbretërinë e Napolit, nxori udhëzime për përpilimin e regjistrave të tokës dhe më 28 shtator 1742 përcaktoi kushtet e dorëzimit të regjistrimi kadastral brenda katër muajve.

Dhjetë vjet më vonë shumë Universitete nuk e kishin përfunduar ende punën, dhe Mbreti, në maj 1753, vendosi të dërgonte Komisionerët e tij për të mbështetur ato Bashki që nuk kishin mundur ose nuk kishin përfunduar ende hartimin. Rezultati ishte një lloj regjistrimi i të gjithë popullsisë së Italisë Jugore, i plotësuar me moshën, profesionin dhe pronën, duke mos përjashtuar bagëtinë.

Secilit universitet (bashki) iu dha detyra të hartonte dy kopje, njëra për t’u mbajtur në Universitet për çdo përditësim dhe tjetra për t’u dërguar në Napoli në “Regia Camera della Sommaria”.

Që atëherë, shumë nga kopjet e ruajtura në vend janë shkatërruar ose dërguar në arkivat provinciale.

Kopjet e dërguara në Napoli tani ruhen në një seksion të veçantë të Arkivit Shtetëror.

Synimi ishte standardizimi dhe vendosja e rregullit në fushën e taksave, duke zbuluar me saktësi shumën e taksës popullsia dhe garantimi i shpërndarjes së barrës tatimore mbi bazën e mundësive efektive dhe të pasurive në pronësi.

Në realitet, informacioni demografik duhet të konsiderohet i paplotë pasi familjet pa pasuri dhe ato të përjashtuara nga pagesa nuk janë të regjistruara në Regjistrin e Tokës.

Kategoritë e regjistruara ishin banorë dhe jobanorë, të veja dhe virgjëreshat, klerikët laikë, shtetasit dhe të huajt, laikët e huaj dhe jobanorët, kishat, manastiret dhe vendet e devotshme.

5) – Zjarri, Shtëpia, Oborri dhe Kopshti Botanik

Aglomeracionet e shpërndara arbëreshe lindin sipas dispozitave mbretërore dhe falë modelit të familjes së gjerë, rrethet përfaqësojnë rrugën evolucionare të zonës së banuar për të na rikthyer strukturën planimetrike aktuale. Procesi i shndërrimit të mjedisit natyror në të ndërtuar është zhvilluar sipas parametrave morfologjikë, orografikë dhe klimatikë; themelore për të mërguarit, pasi janë të ngjashëm me ata të atdheut të tyre.

Pikërisht në këto makro zona konstantet e sistemeve urbane: zjarri, shtëpia, gardhi dhe kopshti, kanë gjetur mjedisin ideal për të rikthyer mjediset e sotme; gardhi kufizon territorin, ku familja e gjerë kishte kontroll absolut; zjarri u ndez sapo mbërriti në vendbanimin paralel, u ndez, nuk u shua kurrë dhe, rreth saj që u mblodhën anëtarët e familjes së gjerë për të parashikuar strategji në Arbëri, ushqeheshin dhe e menaxhuar nga mbretëresha e zjarrit ishte qendra e dritës dhe perspektivat për barazi, sociale dhe civile;

shtëpia, ishte i përbërë nga një dhomë e vetme në të cilën mund të ruheshin pak orenditë dhe ushqimet; kopshti është shtëpia e perimeve sezonale,  si edhe të barërave mjeksore, farmacia e shtëpisë, “kopshti botanik” ishte i domosdoshëm. Në periudhën nga shekulli i pesëmbëdhjetë deri në shekullin e njëzetë, të mërguarit zëvendësuan ngadalë modelin e familjes së gjerë për atë urbane dhe më pas, në kohët më të reja jeton atë të multimedias.

Zhvillimi i aglomerateve tenton të jetë në përputhje me direktivat e urbanistikës greke, të cilat i caktonin akseset në banesat në rrugët e ngushta dytësore, rruhat.

Gjitonia, (ku shoh e ku dëgjoj), i ka rezistuar modernizmit që në shekullin gjashtëmbëdhjetë, duke u bërë vendi i kërkimit të lidhjes së lashtë të domosdoshme për zakonin arbër, buron nga ngrohtësia e vatrës, zgjerohet me rrathë koncentrikë, në sheshin e vogël dhe shtrihet përgjatë rruhatit, derisa arrin në qoshet më të fshehura të territore dhe më gjerë.

Aglomeracionet albanofone përfaqësojnë gurin themelor që lidh gjuhët, fetë dhe historitë e aftë për të prodhuar modelin më të suksesshëm të integrimit në Mesdhe. Banesa e vogël, shëpia, e ndërtuar fillimisht me pajisje nxjerrëse, më vonë u optimizua përmes përdorimit të materialeve më të përshtatshme vendase sipas metrikës shtesë. Pas tërmetit të vitit 1783, të njëjtat zona urbane minoritare iu nënshtruan një zhvillimi të ri arkitekturor dhe aglomerateve filluan të zhvillohen vertikalisht duke ndarë magazinat dhe stallat në katin përdhes ndërkohë që shtëpitë ishin në nivelin e parë. Ndarjet e mëvonshme kërkuan përdorimin e shkallëve të jashtme, duke ofruar ndryshim rrënjësisht perspektivat brenda qendrave antike.

Cikli i rritjes pasurohet më tej pas dekadës franceze, me ndërtimin e pallateve të reja fisnike, vetëm për klasat më të larta, sepse më pak të pasurit vazhdonin të zinin banesat e vjetra  formonin pozicionin e ri shoqëror, duke imituar fragmente pallatesh.

6) -Fjalori që bashkon shqipen dhe arbërishten

Kërkimi i përrallave vendase, të përmendura në Arbëri, është rruga për tu imituar siç u bë nga vëllezërit Grimm.Megjithatë, vëllezërit Grimm për të gjurmuar gjuhën unitare, përdorën përralla dhe përhapën në mënyrë të unifikuar elementet që përbëjnë trupin e njeriut dhe elementet e përbashkëta natyrore, me pak fjalë, gjithçka që lejonte jetueshmërinë në territor, jetën e përbashkët midis njeriut dhe natyrës.

Ekziston një parim sipas të cilit rrënjët japin limfë, qëndrueshmëria e trungut të pemës dhe degët me gjethe ofrojnë ekuilibrin e duhur të energjisë për të mbrojtur sistemin jetësor.

Nëse ky parim kuptohet, njeriu është në gjendje t’i përkushtohet projekteve të mbrojtjes së përbashkët, për të mbajtur me kalimin e kohës qëndrueshmërinë e një gjuhe pa shenja dhe vëllime të përbashkëta.

Ata që kanë punuar deri tani për të prodhuar elementë të dobishëm në fushën gjuhësore, letrare, historike, sociale, antropologjike, urbanistike dhe arkitekturore, brenda rajonit historik të Arbërisë, pa ndjekur protokollet historike, nuk kanë bërë gjë tjetër veçse kanë prodhuar shpërthime të kota kontaminimi.

Në mënyrë që një gjuhë të analizohet, kuptohet dhe mundësisht të mbrohet, ajo duhet të sanksionohet duke u nisur nga supozimet e identitetit historik dhe më pas duke lëvizur sipas temave të projektit; duke pasur si prioritet figurën njerëzore dhe mjedisin; “përshkrimi dhe mënyra e thirrjes së trupit të njeriut; Aparatet, organet dhe sistemet, të lidhura mirë me mundësinë që ofron mjedisi natyror për mbijetesë”.

Një teori lind sipas kanuneve të projektit në favor të përdoruesve, rrënja është zemra dhe shqisat, duke shmangur ngatërrimin se çfarë do të thotë të jesh arbër apo shqiptarët e sotëm, ose më mirë çfarë është e lashta dhe e reja e popullit të lavdishëm.

 7) -Qendra Antike e Napolit Purple, vlera e Arbërve, ne krahasim me qendren historike te Tiranës-

Pas eksodit latent të Arbanve në rajonet jugore, pas vdekjes së heroit të Gjergj Kastrioti, dhe zgjedhjes së gruas së tij, Donika Arianiti Komneno, e cila preferoi Napolin si portin e saj të sigurt, pasardhësit e tij dhe njerëzit që i qëndruan besnikë filloi një eksod i konsiderueshëm.

Kështu ndodhi një eksod epokal i Arbërit, në zbarkimet e mbretërisë; i cili pasoi pelegrinazhin përgjatë brigjeve të Adriatikut, Jonit dhe Tirrenit, drejt kodrave ku u kapën vendet paralele, duke shkaktuar kështu periudhën e shkurtër të përballjes dhe përballjen mesatare, si dhe bazat e njohurive të protokollit të integrimit. Në shtatë rajone të Italisë së sotme jugore, lindën njëzet e një makro-zonat që përbëheshin nga mbi njëqind grumbullime, duke qenë pjesë e Rajonit të Përhapur Historik të Arbërit, garnizone paralele të karakterizuara nga katër rrethet tipike dhe të gjithë të etur për të shartuar rrënjët e tokës nga e cila u detyruan të iknin.

Duhet të kalojnë rreth dy shekuj që të lindin shkëndijat e para të zjarrit kulturor ku arbërit e shumtë, fillimisht në formë fetare dhe më pas gjithnjë e më laike, në kryeqytetin e Napolit  shquhen në të gjithë titujt kulturorë të Evropës.

Një numër ekselencash që panë pozitivisht të njëjtën histori të mbretërisë, në çdo krahinë fillojnë të formohen nga ato që në atë kohë konsideroheshin si shkolla minimale të detyrueshme dhe gjurmojnë një njohuri të re moderne, në raport me atë sociale dhe kulturore, shkencën ekzakte, politikën, sociologjinë dhe për fat të keq, edhe në ngjarjet e përfitimit ekonomik, të cilat ende sot lanë disa huti të paqarta, të cilat bëhet një siguri për ata pak që ata dinë të interpretojnë historinë.

Ndërhyrja kulturore merr fillimin e saj, falë princave monastike përmes të cilave përhapen besimet, gjuhët e lashta, arti dhe historia, kjo i drejtohet një grupi shumë të vogël ose të brendshëm fatlume, të cilët duhet të presin fronin e Napolit të Mbretit Charlesin e III, për të pasur pikën e kthesës epokale. Që nga inaugurimi i fronit të mbretit, filloi një revolucion i vërtetë kulturor. U ngritën gjimnazet, universitetet, muzetë, akademitë, vendet e studimit dhe restaurimit të artefakteve, artet qeramike, kopshtet botanike, në të gjitha një rinisje kulturore reale dhe e paprecedentë.

Në përgjithësi, në mënyrë të përgjithshme dhe të zakonshme, preferohet të ndriçohen dhe të vlerësohen ata që kanë punuar shumë ose më saktë me kokëfortësi vendosin libra alfabetësh dhe tregime sipas rregullave gramatikore, të cilat janë të padobishme për të thënë të paktën, dhe pavarësisht nga kjo preferencë, lokale ose afonike. Janë burrat e tjerë të rajonit historik që shkëlqejnë për të arritur të nderuar në të gjitha dhomat e ndenjjes së Evropës, pa e zgjeruar shumë audiencën.

Nëse nga pikëpamja gjuhësore Pasquale Baffi mbolli themelet e hetimit drejtuar origjinës idiomatike, duke ndjerë potencialin e tij, erdhën nga e gjithë Evropa për të marrë dhe mësuar mendimin e ri politik, kulturor, shoqëror dhe historik albanofon.

8) – Orientale e Napolit, Universiteti i parë Albanofon në Evropë: i njohur si “Kolegji i Kinezëve”-

Universiteti i Napolit “L’Orientale” e ka origjinën nga Collegio dei Cinesi, i themeluar nga Matteo Ripa, një prift laik dhe misionar, i cili nga viti 1711 deri në 1723 kishte punuar, si piktor/gdhendës bakri, në oborrin e Mançus,Perandori Kangxi.Do të jetë Klementi XII, me një përmbledhje të datës 7 prill 1732, i cili do t’i ofrojë njohje zyrtare Kolegjit të Kinezëve, i cili kishte si qëllim formimin fetar dhe shugurimin meshtarak të të rinjve kinezë të destinuar të përhapnin katolicizmin në vendin e tyre.

Nga viti 1747, qenë të rinjtë nga Perandoria Osmane (shqiptarë, boshnjakë, malazezë, serbët, bullgarët, grekët, libanezët, egjiptianët) me qëllim të marrjes së formimit fetar dhe shugurimit priftëror, sepse atëherë ata mund të kryenin veprimtari misionare në vendet e tyre të origjinës.

Pas bashkimit të Italisë, Kolegji Kinez u shndërrua në 1868 në Kolegjin Mbretëror Aziatik, i ndarë në dy seksionet: e vjetra, misionare dhe një e re, e hapur për të rinjtë laikë të interesuar për studimin e gjuhëve të foluranë Azinë Lindore.

Pas reformës De Sanctis, u inauguruan mësimet e hindishtes dhe urdusë, si dhe persishtes dhe greqishtes moderne. Në dhjetor 1888, një ligj shtetëror e transformoi Kolegjin Mbretëror Aziatik në një Institut Oriental.

Aktualisht “L’Orientale” është e specializuar në mësimet gjuhësore-letrare dhe historiko-artistike në lidhje me Orientin dhe Afrika, pa lënë pas dore kulturat e shprehura nga vendet e Mesdheut, Evropa dhe Amerika.

Në vitin 1900, në Institutin e atëhershëm Universitar Oriental të Napolit, qytet i cili u njoh për rolin e tij si qendror gjatë gjithë shekullit XIX për “çështjen shqiptare u krijua katedra e parë universitare e gjuhës dhe letërsia shqipe në Evropë.

Giuseppe Schirò, një studiues i shquar dhe mbledhës i vëmendshëm i traditave poetike arbër, ishte profesori i parë universitet, në Institutin Oriental të Napolit, drejtor i të cilit ishte edhe ai.

Ai ishte ndër nismëtarët e një letërsie që nga arbërit zgjerohej gjithnjë e më shumë, duke mirëpritur këndvështrime autoritar, frymëzues i intelektualëve të kohës së tij dhe luajti një rol të rëndësishëm në lëvizjen e Rilindjes shqiptare dhe në pavarësinë e Shqipërisë, duke marrë pjesë aktive së bashku me elitat intelektuale shqiptare.

Pasi ndoqi Seminarin Italo-Shqiptar në Palermo, ai u diplomua për drejtësi dhe u përball me

Çështja shqiptare ka jetuar nga fundi i shekullit të 19-të deri në fillim të shekullit të 20-të duke frekuentuar viset shqiptare dhe për këtë meriton për t’u ngjitur në karrigen e parë të institutit.

Jo më pak domethënëse ishin hetimet e bëra në fushën e traditave letrare popullore arbërore, nga të cilat ai tërhoqi të gjitha gjuhët, me synimin për njësimin e tyre. Një rëndësi të veçantë kanë studimet në fushën e filologjisë letërsia dhe dialektologjia dhe vitet e kaluara në Napoli mbeten të jashtëzakonshme

Ai qe mësuesi i parë i Gjuhës dhe Letërsisë Shqipe në Istituto Regio Orientale dha mësim nga viti 1900 deri në vdekjen e tij. Në këtë rol ai rifilloi idenë kombëtare shqiptare në qarqet kulturore dhe politike italiane dhe promovoi nismat editoriale dhe reklamuese, si Arbër i rii.

9) – Konkluzionet dhe aktivitetet për suksesin e projektit –

Në dritën e kësaj linje, vë në pahë ankesën dhe nevojën e qartë për të mbrojtur qendrat antike dhe protokollet për gjërat e vendosura në dispozitat e instituteve dhe institucioneve që nuk kanë forcën, ose më mirë aftësinë interpretuese për të realizuar projekte të vazhdimësisë historike të këtyre vendeve, sendeve dhe njerëzve, është evidente.

Zakoni i rrallë i pakicës, i ankoruar në këto zona, pret restaurimin e duhur që e vendos atë me respekt në skenarin social, kulturor dhe shkencor të të gjithë Mesdheut si dhe të integruar përpara interpretimeve të lira që pasuan njëri-tjetrin nga fundi i shekullit të kaluar.

Krahina e Përhapur Historike e Arbërit lindën sepse është rezultat i veprimit të një qytetërimi të pazgjidhshëm, jo ​​fryt i veprimit konstruktiv të një individi apo individësh pa formim që formojnë një grup; është një varëse kulturash dhe për këtë arsye duhet të mbrohet. Pas ngjarjeve që kanë ndodhur në dekadat e fundit dhe pikërisht që nga vitet shtatëdhjetë të shekullin e kaluar, ose më mirë pas gjashtëdhjetë e tetë, në dritën e ngjarjeve, duhet të bëhet një shqyrtim i arsyeshëm dhe të ndiqet synimi i depozitimit të sigurt të zonave më shumë se njëqind vendeve arbërore. Në veçanti qendrat antike, përmes ndërhyrjeve të duhura thelbësore për të ringjallur trashëgiminë historike të ndërtuar në 550 vjet jetë arbërore. Rimëkëmbja e aglomerateve së bashku me gjërat materiale dhe jomateriale, mjedisin natyror, kromatikët piktoreske duhet të kenë si përfundim, zhvendosjen e pakicës historike që duhet të ndahet jo vetëm me shoqatat, ngjarje dhe takime që janë të pamjaftueshme për t’u thënë më së paku nga i gjithë rajoni arbëresh. Është e nevojshme, urgjente ose e domosdoshme të nisin projekte që kanë si tregues historinë shqipfolëse, këtu në Itali dhe nga toka me origjinë shqiptare, vendet ku janë ende të njomur muraturat e gurta, të cilat vazhdojnë të kumbojnë një gjuhë të lashtë me rrënjë të reja e shumë të lashta.

Nëse në këto shartojmë veprimtaritë, zakonet dhe gjenialitetin vendas në zakone agro, pyjore dhe baritore, në mënyrë solide bashkëjetesa me trevat Historike dhe Shqipërisë së sotme, ne mund ta bëjmë protokollin tonë solid, elastik dhe të pathyeshëm.

Ka një rajon historik në perëndim të Adriatikut me 109 vende me origjinë arbërore me kryeqytet Napolin; ka një kryeqytet të kombit shqiptar Tirana në lindje të Adriatikut; historia mëson se kalorësit dhe mbretërit bashkohen ose më mirë konvergojnë në brigjet e një lumi, për të nisur sezonet e reja të projekteve të përbashkëta dhe për të përmirësuar gjërat dhe njerëzit.

Gjeografia shpjegon se çfarë është deti dhe çfarë është lumi; historikisht Adriatiku ka më shumë pamjen e një lumi edhe nëse quhet det, për këtë, me një vështrim më të afërt, të përbëjë një moment bashkëpunimi vëllazëror social dhe kulturor, në momentin historik që ne jetojmë, një shembull i mirë për të gjithë popullsinë e kontinentit të vjetër.

Ne i kemi në dispozicion të gjithë elementët, pra shkollat, universitetet, institucionet, shoqatat, ACLI (Shoqatat, Cristiane Lavoratori Italiani), si dhe figura të shumta të forta kulturore, për të nxitur aktivitete bashkëpunimi, të cilëve Temat e propozimit fillestar janë si më poshtë:

– Kurse Historike, Gjuhësore dhe Teologjike;

– Figura historike arbër dhe shqiptare; burim kulturor i kontinentit të vjetër

– Historia e Urbanistikës dhe Arkitekturës;

– Historia e zakoneve shoqërore;

– Historia e kostumeve;

– Fjalori që bashkon brigjet e Adriatikut

– Aspektet sociologjike mesdhetare;

– Aspekte dhe implikime filozofike;

– Aspekte historike dhe antropologjike;

– Marrëdhëniet ndërkombëtare midis Lindjes dhe Perëndimit të Adriatikut;

– Pompei, Butrint, Ercolane

– Rruga Apia,Traiana,Egnatia;

Comments (0)

-IL CICLOPE ARBËR, SORIDE AL COSPETTO DEI SOLITI GIOCOLATORI SUI CAMPANILI -

-IL CICLOPE ARBËR, SORIDE AL COSPETTO DEI SOLITI GIOCOLATORI SUI CAMPANILI –

Posted on 28 maggio 2023 by admin

imagesxx

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Gli istituti e le istituzioni preposte alla salvaguardia della regione storica, notoriamente distratte verso la conoscenza delle cose indispensabili, relativamente al sancito di valorizzare e promuovere la storia di cose e uomini, in tutto, le eccellenze locali.

Le stesse “maliziosamente” taciute, per dare valore con men­daci ed ingrate osservazioni, proposte da alcuni stranieri che, non potendo fug­gire dalle nebbie, le miserie, e le turbolenze delle contrade di provenienza, non avendo altrove trovare agio, sanità e quiete, pro­pongono le nostre regole con maliziose cose, invece di  onorarci come fanno gli ospiti buoni quando sono accolti per fame.

E così facendo, compromettono lo stato dignitoso di ogni cosa, dell’equilibrio culturale dei distratti lettori, o di quanti li preposti a deliziarsi di sapere, che tutto potrà essere, men che storia di noi Arbër.

In teoria si crede vi siano sempre più opzioni per fare ricerca, ma nella realtà la soluzione è sempre una sola, nota anche come inconfutabile somma di eventi, l’unica capace di seguire la logica del     sole dal sorge del mattino, quando instancabilmente illuminare tutti i luoghi, disposti in ordinata attea.

Le attività di studio qui condotte, mirano a rendere nota una storia del mattino mediterraneo, colmo di auspici e meritevoli confronti di convivenza civile tra culture e religioni.

Contesti genuini, ancora oggi in svolgimento, i cui luoghi hanno come scena, le terre che si insinuano al centro del mediterraneo; l’Italia meridionale.

Un percorso contornato da valori e avvenimenti, che elevano territorio e le genti, secondo principi di convivenza tra popoli, tutti desiderose di conservare le cose della propria identità, specie se questa è l’identità più antica del vecchio continente.

È stato per questo indispensabile, rivestire ruoli specifici per la continuità culturale in movimento, seguendo le epoche che la volevano mutare e, per evitare questo, si è ritenuto far nascer un nuovo movimento letterario, linguistico, politico, religioso, in tutto un pensiero popolare tramandato in forma completa, priva di favoritismi e campanili di sorta, per questo solo chi è in grado di avvertire e comprendere il messaggio, ha diritto di apparire e diffondere, partecipandovi secondo l’antico patto tipico degli Arbër: “Besa”.

Questo teorema di nuovo pensiero, vale solo per la qualità delle cose tramandate all’interno di un circoscritto gruppo o di ambito parallelo ritrovato, innalzato da più discipline familiari, ovvero, principi di incultura colma di significati riassunti, nelle testimonianze in conformità della filiera generazionale saggia e non di falsi curriculi o curriculati.

Ciò significa che le realtà trasmesse sono verificate e controllate dalla saggezza degli adulti protagonisti, in definitiva il valore che resistite con forza nelle consuetudini, pur nel variare delle circostanze dei portatori acerbi o malsani.

Talvolta capita anche brandelli del protocollo vengano riferiti male, ma a questo punto interviene lo “studioso capace” ad intercettarli, al fine di ricucirli per lavarli e stenderli al sole, restituendo così la visione delle cose, in esempio di modestia, locale.

Lo studioso, a questo punto riveste il ruolo del sarto saggio che ricuce il lume e, risvegliare, dopo un sonno buio oltre misura, della grandiosa saggezza senza termine, la stessa che vaga nelle menti di quanti si ostinano a violentare le cose della nostra tradizione, leggendo e riferendo atti di una storia che nasce e termina nello spazio mentale di perverse figure, pronte ad allungare la coda nel mio archivio.

Ad oggi sono numerosi i facoltosi delle consuetudini locali o di area e, fa impressione l’equilibrio e la saggezza di questi scambiatori di olio usato e capelli tagliati, per sapone.

In tutto episodi utili al degrado sociale, realizzato con incoscienza da quanti, mirano a scambiare il costume e le coperte in ricami armonici antichi, con vestizioni volgari, oltremodo private dei minimali espedienti che dovrebbero generare famiglia.

Spesso si odono regole sui diritti religiosi e civili, su base di tradizioni, o documenti, gelosamente conservati nell’archivio o imprecisi anfratti, comunque realizzati da scriba d’occasione e nessuno sa ne leggere e ne applicare, banalissime sottrazioni matematiche, per capire che sono falsi, come se la consuetudine e l’idioma più antico del globo, possa essere depositato non si sa da chi e come nei fascicoli di uno scriba che non poteva esistere, perché mai nato.

Diffusamente si insiste nel ritenere che alcune Colonie siano di radice militare e presentano anche argomenti a sostegno tale stranissima e curiose tesi, come per essere accolti come ospiti a casa di altri è bene presentarsi brandendo armati.

Ma quello che si racconta di veramente anomala è la leggenda secondo cui ripetere ogni anno le stesse noiosissime manifestazioni, elevare ad eccellenze vili cultori, che di fronte alle proprie responsabilità, prendevano la via di casa e si nascondevano sotto il letto o salivano nella soffitta di casa, immaginando di fare battaglie con il fucile senza animo di coerenza umana di valori per i propri simili locali, ostruendo sin anche le feritoie di areazione dei sottotetti.

Basta con gli stessi noti, o locali di turno, è il tempo di parlare ed elevare le figure buone, perché sempre illuminate e, mi riferisco a quanti hanno primeggiati nel costruire ponti, dialogando e aiutano sin anche Giacomo Leopardi, a vivere qui a Napoli la sua stagione migliore.

Questi sono intellettuali di spessore Arbër, in campo della comunicazione e, del rilancio sociale, quelli veramente capaci di essere esempio di terminazione del seme dell’ignoranza in ogni dove, valorizzando con il loro ingegni l’intera Europa, per comunicare, produrre e affermare cose nuove.

Intanto il Ciclope resta sempre vigile pur se ancora deluso e stupito da quanti dicono di sapere e poi per dare misura della loro forza pubblica, leggono e rileggono i postulati di cui non hanno padronanza o misura.

No ha mai convinto e mai avuto gloria il teorema secondo cui solo chi si cimentava a compilare alfabetari e componimenti scritti in Arbër, era da ritenere eccellenza, mentre quanti avevano dato la vita, costruito ponti, compilato teoremi per l’istruzione di massa, fossero ritenuti senza gloria.

La storia moderna degli Arber va compilata con dovizia di particolari, senza mai dimenticare che se una lingua rimane il riferimento primo di una determinata popolazione, un motivo ci deve essere e certamente non va fissata nei campanili di conventi o nelle polveri delle macine dei mugnai, che senza dignità non distinguevano, crusca per i suini, con il cose per fare frese e pane buono; a Napoli è stata inventata la pizza, dopo secoli che gli Arbër si cibavano con “Bukvallje per misurare il forno prima e dopo fatto il pane”, nel mentre allestivano, cunei agrari, per cibare e rendere più lucide le menti comuni di tutto il regno.

Comments (0)

Advertise Here
Advertise Here

NOI ARBËRESHË




ARBËRESHË E FACEBOOK




ARBËRESHË




error: Content is protected !!