Posted on 01 febbraio 2018 by admin
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Posted on 05 gennaio 2018 by admin
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Posted on 31 dicembre 2017 by admin
Napoli (di Atanasio Pizzi) – In una “Indiavolata” conversazione di un poco di tempo addietro, mi è all’improvviso apparsa la strada per una nuova ricerca sulla verità storica Arbëreshë.
Essa si basa su un principio fondamentale, che aveva bisogno solo di esse interlacciata con altre mie conoscenze; tuttavia il rispetto e l’educazione che ho avuto dai miei genitori (a confronto di altri che sono cresciuti nei mercati e solo di domenica) mi distraeva nel collegare i principi di un teorema molto semplice.
Una delle mie prime letture per avvicinarmi al mondo della ricerca della storia Arbëreshë è stato il Kanun nelle sue varie spigolature dei gruppi che formavano l’allora Arbëria.
Bene questo è un esercizio che tutti voi potete fare in autonomia e confrontare i principi su cui si basa il Kanun e la religione Ortodossa o greco Ortodossa, troverete similitudini strabilianti che fanno meditare su quale sia l’ideale religioso più affine agli arbëreshë.
Se a ciò associate che gli esuli non hanno mai superato i confini dell’infinito, per la ricerca dei territori paralleli nel regno di Napoli, avrete un quadro completo per domandarvi chi a detto che gli arbëreshë sono di religione greco bizantina?
A chi fa comodo che noi arbëreshë dobbiamo essere associati a una religione che con il nostro consuetudinario non ha nulla a che fare, ed essere utilizzati come una semplice finestra o nel migliore dii casi come balcone?
Siamo proprio certi che il Rodotà con il papa nell’istituire il Collegio Corsini avesse a cuore le nostre anime e il nostro credo religioso, o gli interessi erano molto diversi?
Perché gli arbëreshë non varcarono mai le soglie dell’infinito, se non per approdare e allontanarsi subito dopo?
Quali furono i veri motivi che spinsero il Baffi e il Bugliari a portare la struttura a Sant’Adriano e formare un gran numero di laici?
Sono queste le domande che mi sono balenate, a cui ho dato una risposta
P.S.
Augurando a tutti un Felice 2018, non lasciatevi incantare mai e ricordate che la Cultura e l’educazione non abitano nei fastosi saloni del potere, in quanto, preferisce i dignitosi Katoj degli artigiani!
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Posted on 14 dicembre 2017 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Per la religione cristiana, il Natale simboleggia la nascita del bambinello Gesù, ossia il nostro Messia, atteso fin dai tempi remoti.
Il giorno corrisponde al 25 Dicembre per le chiese, greche ortodosse secondo il calendario liturgico, mentre per quelle orientali cade il 6 Gennaio secondo il calendario Giuliano.
Il termine “Natale” deriva dal latino, e significa: GIORNO DI NASCITA.
Si dice che il giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre, inizia la sintesi dei mesi dell’anno che seguirà, in fatti, il dodicesimo giorno corrisponde proprio al 25 dicembre, il giorno della nascita.
L’augurio che faccio a voi tutti è quello di meditare dal 14 al 25 dicembre, o dal 26 al 6 gennaio (secondo il vostro credo) per una nascita di tutta la Regione storica Arbëreshë, al fine di non tessere più, all’ombra dei campanili, dei minareti turchi e degli inutili protagonismi, quel pietoso velo che avvolge e non mette in mostra le bellezze dell’arberia .
Il mio auspicio mira a sentimenti antichi che non vanno nella direzione del profitto a scapito di coloro chi partono per difendere i propri ideali, unici e irripetibili.
Arbëreshë di buon senso, solo a voi Auguro un Felice Natale e un 2018 colmo di ribalte, sino a oggi negate, per illuminare con garbo il “codice sociale più solido del mediterraneo”.
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Posted on 11 dicembre 2017 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – All’indomani della pubblicazione, in gazzetta ufficiale, della legge 482 del 1999, giovani cattedratici, associarono, senza elementi riconducibili di esclusiva arbëreshë, il vicinato indigeno, alla Gjitonia; gli esecutori del enunciato, copiarono frammenti di un’analisi, eseguita nel dopoguerra per dare senso ad in progetto di delocalizzazione.
L’irresponsabile gesto di copia/incolla ha innescato un“processo degenerativo senza eguali” e tutt’oggi dopo quasi due decenni, non smette di far “germogliare avena fatua” nel seminato storico della minoranza, più numerosa in Italiano.
Che la Gjitonia sia un modello sociale è innegabile; tuttavia ritenere di poterlo riassumere, in quattro o cinque porte che affacciano sullo sheshi o sulla strada, la pone alla stregua di un moderno abuso edilizio da sanare, per tale motivo sminuisce a dismidura il valore della consuetudine e il lessico della Regione storica Arbëreshë.
In questi untimi tempi, una lezione su cui meditare ci giunge via etere dalle trasmissioni multimediali di Radio Antenna Duemila; nata per dare parola ad amministratori, addetti locali e operatori del settore folcloristico, e porre all’attenzione delle istituzioni oltre alle proposte, anche le innumerevoli necessità locali, è diventato un nuovo modo di sentirsi “Gjitoni arbëreshë”.
Ogni sera, si illustrano soluzione per rendere solido il senso della minoranza che vede sempre più lontana la rotta per una ripresa che dia linfa all’antica caratterizzazione minoritaria.
Tuttavia a giudicare dagli ascolti e di quanto succede in questo piccolo Catojo, nel brego di Serra di Leo, ogni sera dopo le 21, 30 supera lei confini entro i quali la trasmissione aveva deciso addentrarsi.
Un piccolo spazio, non più grande di un profferlo, dove per incanto si armonizzano “i cinque sensi” e raccolgono adesioni e interesse da tutto il mondo; un’ora intera, di sana e semplice arbëria.
Senza volerlo attraverso le telecamere di questa emittente, si riaccendono i riflettori, per la prima volta nella storia, sulla “Gjitonia del nuovo millennio”; e tutti assieme ci ritroviamo a parlare di legami, di luoghi, di religione, di paesi, di progetti e di apparentamenti da consolidare.
Questo fenomeno si attua grazie alla consuetudine radicata in ogni arbëreshë, in quanto quel luogo verticale, ci accomuna, ci avvicina, ci legava, e risveglia quell’antico senso di mutua convivenza, così come faceva con i nostri avi; quando, riuniti davanti al camino in inverno, sotto il sole nascente a primavera, all’ombra delle acacie in estate o protetti dai vitigni e dagli ulivi in autunno, tutti assieme, tesseva i legami parentali per continuare a seguire quella rotta fatta di consuetudine, idioma, canto e religione.
Qui, nel Catojo di Serra di Leo, hanno cantato, discusso, ballato, giudicato, condannato e aiutato nella piena consapevolezza di continuare a sentirsi orgogliosamente arbëreshë, indirizzati dal grande cuore e con la passione che ci accomuna, abbiamo magicamente risvegliato in ognuno di noi il concerto dei cinque sensi.
Ebbene, in queste sere in radio antenna duemila non è stato fatto altro che utilizzare la magia ricetta arbëreshë, denominata “GJITONIA”.
Se questo miracolo è stato possibile nello stretto di un Catojo, perché non amplificarlo e renderlo possibile anche all’interno dei Comuni, delle Associazioni o di ambiti multimediali meglio organizzati?
Sicuramente, grazie alla opportunità offerta dal nuovo modello comunicativo, possiamo trasformare la gjitonia multimediale in uno strumento per avvicinare e rendere più solida tutta l’arberia.
Appare evidente che aver ben chiaro, cosa sia la gjitonia, è un valore indispensabile per il futuro degli albanesi; un emblema ideale su cui ricostruire quei legami e quegli affetti che sino ad oggi non potevano in alcun modo essere concertati per renderli possibili.
Occorre dare avvio alla stagione dei CONVEGNI STORICI, che pongano le basi per una nuova politica di tutela e custodia, una solida piattaforma che parta dall’inno degli antichi del settecento e dell’ottocento d’arberia “la storia degli arbëreshë unica e indivisibile” al fine di restituire il giusto garbo a tutta la Regione minoritaria.
Occorrono progetti condivisi, che abbiano come unico fine la tutela del tangibile e dell’intangibile a tutti i costi, senza protagonismi, campanili o egocentrismi.
La Regione storica Arbëreshë è tutta bella, tutta interessante, e tutti hanno contribuito nel bene e nel male a renderla magica; ciò nonostante nessuno dei protagonisti, ha mai rinunciato all’idioma, alla consuetudine, alla metrica del canto e alla religione, greca bizantina, nel aver assunto un qualsivoglia ruolo nella storia.
Avviare la stagione dei congressi è indispensabile, ( inutile andare a cercare nel luogo dove avvenne la divisione, perché, ormai tutto è cambiato), le domande e le risposte vanno fatte e cercate all’interno della R.s.A., solo in questo modo, chi riferisce, potrà essere individuato da quanti millantano e tutti finalmente possiamo sollevare quel velo pietoso d’inesattezze, che hanno manomesso le solide fondamenta d’arbëria.
Amministratori, cattedratici e tutti i cultori che si occupano delle vicende che vedono protagonista la R.s.A., devono fornire le certezze e curare adeguatamente le radici del buon senso, storico/culturali, sofferenti da troppi decenni.
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Posted on 03 dicembre 2017 by admin
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Posted on 21 novembre 2017 by admin
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Posted on 18 novembre 2017 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Il testo che vi apprestate a leggere, per renderlo tipicamente Arbëreshë basta sostituire “Gjitonia” alla parola “Vicinato”, a questo punto avrete titolo per essere antropologi o addirittura storici; che si parli, poi, di altre persone, altri ambiti e altre culture o il prodotto di analisi sia il frutto di indagini eseguite per emergenze abitative che si riteneva terminare nel primo dopo guerra è poca cosa; tanto il traguardo che si vuole perseguire nel caso degli studiosi del nuovo millennio è di fornire elementi utili per entrare trionfalmente e con titolo nei benefici della legge 482 del 1999.
Questa è la prova, che gli studi delle pertinenze della Regione storica Arbëreshë , sino ad oggi sono state cavalcate da guerrieri senza lode ne cavallo, rubando la scena ai legittimi protagonisti d’ambito, che conservano imperterriti le caratteristiche di minoranza.
La trattazione qui riportata è il codice errato da cui letterati e ogni sorta di cultore ha copiato ripetutamente e senza riguardo ciò che non è il tangibile e l’intangibile Arbër.
Il Vicinato
“‘Vicinato’ è chiamato ai (…..) quel gruppo di famiglie le cui case sono disposte in modo da affacciare su una delimitata area comune.
I vicinati più facilmente riconoscibili sono quelli costituiti da abitazioni affacciantisi sui cortili a pozzo o sui recinti.
Dei vicinati si sono però costituiti anche lungo le strade diritte, del resto assai rare ai (…..)”. Questa la descrizione in termini fisici e spaziali fatta da (…..); ad essa segue e si lega la descrizione in termini sociali: “funzioni principali del vicinato erano quelle di associazione, di mutuo aiuto (…) o di controllo sociale.
La vita familiare era in stretta relazione con la vita del vicinato, l’integrazione vicinato-famiglia aveva notevole importanza, soprattutto per la donna… ”.
Il vicinato assume un “valore quasi istituzionale” e la sua insorgenza, dovuta alla densità abitativa, riveste una “funzione psico-sociale, di solidarietà morale e materiale, di controllo, di influenza per la formazione di atteggiamenti e la modificazione di opinioni”.
In tal modo il vicinato, “mezzo di trasmissione della cultura e quindi di educazione sociale” ha “un indiscutibile vantaggio di precedenza sulla scuola”.
E’ importante rilevare come il vicinato ha una sua “fisionomia precisa” dal punto di vista topografico, dato dal “gruppo di case disposte intorno ad una piazzetta o cortile nel quale si svolge quasi in comune gran parte della vita dei bimbi, delle donne e, in misura minore, degli uomini”.
Tutto ciò “ha messo in luce una grande carica di tensioni negative tra le famiglie dei vicinati studiati, e pochissima coesione nel gruppo”; pertanto, benché esistano ancora prodotti positivi frutto di questo vivere in comune, “è raro il caso” di una famiglia che, “pensando all’eventualità di cambiare abitazione, mostri il desiderio di avere ancora i vicini che ha attualmente”.
Oggi quasi tutti i ragazzi vanno a scuola, molte famiglie hanno la radio, giornali ed opuscoli circolano ovunque, ed al cinema si va con una certa frequenza: sarebbe assurdo pensare che il vicinato potesse (sic) serbare intatta la sua funzione. Nuove forme di vita si vanno inserendo rapidamente sul vecchio sistema di valori, il che è inevitabile e certamente benefico per molti aspetti, ma ha creato un forte squilibrio tra vecchia e nuova generazione”. Nonostante queste valutazioni, chiare e poco opinabili, “forse uno dei mezzi per ricostituire più solidamente ed in un’atmosfera rinnovata e democratica la vecchia trama sociale del mondo contadino è quello di non lasciar naufragare il vicinato, di valorizzarlo e potenziarlo invece come gruppo sociale per meglio agire attraverso esso”.
Questo scrivevano alla fine degli anno quaranta del secolo scorso, sociologi e antropologi incaricati di analizzare i problemi abitativi del dopoguerra e portare la classe operaia verso orizzonti che ad oggi non sono stati ancora raggiunti.
Il progetto per modalità di esecuzione e finalizzazione assomiglia alla vicenda che oggi vive una piccola parte dell’arbëria moderna.
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Posted on 13 novembre 2017 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – L’enunciazione, all’interno della Regione storica Arbëreshë, dei mesi del calendario non è concepibile che si possa fermare a maggio menomata di ben sei mesi.
A tal proposito è bene precisare che il calendario arbëreshë segue, le fasi lunari a cui sono legate le attività terrene; un,attività inscindibile tra consuetudine, credo religioso, luoghi e attività agresti.
Gli arbëreshë usano appellare i mesi dell’anno come qui di seguito elencati; tuttavia alcuni variano seconda la consuetudine di macroaree e i mesi, rappresentano sin anche le regole di vita Kanuniane, direttamente legate “alla consuetudine e la religione”, rigorosamente riferite e pronunciate in Arbër.
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Posted on 06 novembre 2017 by admin
BOLOGNA (di Giuseppe Chimisso) – L’Arbëria deve occupare il posto che merita nell’acceso dibattito politico in essere sulla rinascita dell’Europa delle piccole Patrie, dibattito che rappresenta una ferita aperta per l’establishment burocratico di Bruxelles il quale deve dare forzosamente il consenso istituzionale ai governi centrali degli Stati nazionali, ma si sente in difficoltà rispetto alle legittime richieste di autonomia da parte di numerose regioni e territori europei.
Scriviamo poche note per fare il punto non tanto sulla precaria situazione che vive l’Arbëria, argomento trattato in diversi momenti non solo dallo scrivente, non vogliamo quindi proseguire a praticare lo sport preferito da molti riguardante la lamentazione a josa fine a se stessa, ma piuttosto per esporre una serie di proposte che penso utili, non solo per riflettere, ma per acquisire la coscienza e la determinazione che porti all’organizzazione delle forze disponibili per cambiare lo stato di cose presenti in Arbëria. Ecco perché parlo di Europa: perché la richiesta dell’Autonomia Amministrativa per l’Arbëria è parte di quell’eterogeneo ma vasto movimento che coinvolge il continente e vede decine di regioni e nazionalità richiedere a viva voce l’Autonomia per le proprie culture e genti. Questo per rammentare chel’Arbëria non è sola nel richiedere l’autonomia economica, ma è in buona compagnia assieme alle Isole Canarie, Andalusia, Galizia, Paesi Baschi, Aragona e la Catalogna in Spagna; al Nord Irlanda, Cornovaglia, Galles e Scozia nella Gran Bretagna; alla estesa Occitania, Savoia, Alsazia, Bretagna e Corsica in Francia; alla Frisia, Vallonia e Fiandre nei Paesi Bassi e Belgio; alla Slesia e Moravia tra il sud Polonia e Repubblica Ceca; per non scrivere delle tante piccole comunità storiche sparse a pioggia in Italia e nel continente che hanno levato laloro voce, esempio per tutte le puntiformiIsole Aland nel Mare del Nord. Sulla presenza delle minoranze linguistiche in Italia abbiamo scritto in passato, quindi non ci ripetiamo. Proprio perché crediamo ad una Europa di storie, linguaggi, luoghi, di “vaterland” ed “heimat”, memorie che devono essere valorizzate, tutelate e reciprocamente dialogare, al fine di creare mentalità moderne che sapranno proiettarsi nel futuro, a condizione di saper includere nella propria esperienza quella del passato che indubbiamente fa parte del presente, come questa dell’avvenire. Quanto sopra al fine che in Italia ed in Europa non si parli solo di economia e di banche , idea d’Europa questa, per altro foriera di tragiche negatività, molto distante da quella dei Padri Fondatori che preconizzavano una Europa dei popoli, delle comunità e delle persone, degli stili di vita, delle culture e delle loro storie, del rispetto delle differenze soggettive, culturali, etniche e linguistiche; tutti questi elementi vitali ed imprescindibili dell’insieme.
Questo è l’orizzonte ideale al quale fare riferimento nella nostra battaglia politica non-violenta per la richiesta dell’Autonomia Amministrativa dell’Arbëria calabrese ed italiana.
Penso sia opportuno fare il punto per la difesa della storia e del futuro dell’Arbëria e riassumere tutta una serie di posizioni espresse e maturate nel tempo.
Le comunità arbëreshë per secoli, dopo il loro insediamento, erano rette da “capitoli” e regolamenti e, seppure assoggettate a pesanti corvée da parte dei feudatari locali, possedevano sovente piena autonomia amministrativa e religiosa che permise loro di rimanere isole socio-culturali nel tempo e preservare anche la lingua, le proprie costumanze e l’ organizzazione urbana.
Purtroppo nell’ultimo secolo e mezzo con il mutare delle condizioni politiche e socio-economiche e con la perdita dell’autonomia giuridico-amministrativa tradizionale, numerose decine di comunità italo-albanesi hanno perso le loro caratteristiche etno-linguistiche, quelle esistenti vivono un forte travaglio e sono in serio pericolo, sul loro futuro si profila la lenta ma inesorabile estinzione. La mancata tutela, il sottosviluppo delle aree ove sono insediate, le conseguenti migrazioni economiche, rappresentano, assieme allo sviluppo abnorme dei mass-media e della scolarizzazione monoculturale nella lingua egemone,due ganasce della tenaglia che stritolano sempre più tutte le minoranze linguistiche. Da queste scarne e sintetiche considerazioni ne discende la necessità di richiedere il ripristino dell’autonomia giuridica tradizionale dell’Arbëria, la formazione quindi della Regione storica Arbëreshë (R.s.A.) come condizione irrinunciabile per la salvezza della minoranza italo-albanese e porre termine all’etnocidio culturale silente in corso. Solo l’autonomia dell’arcipelago arbëresh, formato dalle miriadi di isole culturali alloglotte, le famose “oasi” di M. Ҁamaj, rappresenta una valida prospettiva per lo sviluppo economico, quindi culturale dell’Arbëria; prospettiva che affonda le proprie radici nel passato e che deve essere richiesta con forza alle istituzioni ed essere argomento di confronto, di dibattito e di mobilitazione da parte di tutta la popolazione arbëreshë con azioni politiche e mediatiche anche eclatanti e certamente non violente.
L’Arbëria rappresenta un bacino geo-culturale di approvigionamento emancipatorio che va oltre i propri confini ed il suo sviluppo economico potrà fare da volano per interi territori regionali. Il concetto di R.s.A si pone appieno nell’attuale dibattito politico in Europa e contribuisce a tentare di sanare la ferita odierna della realtà europea lontana dal sentimento comune e dall’Europa dell’Utopia preconizzata dai Padri Fondatori. Questa è la battaglia civile ed assieme culturale e politica che ci attende a difesa della nostra cultura e nel contempo di una nuova Europa .
Si scriveva in altre occasioni del lavoro da compiersi per la costituzione degli Stati Generali dell’Arbëria, che dovrebbe rappresentare un alto momento mediatico-politicocon la partecipazione di massadei cultori e partigiani dell’Arbëria ed aperto a rappresentanti di altre minoranze e di Stati albanofoni, per aprire un dibattito pubblico che superi i confini nazionali, abbia risonanza mediterranea e sia propositivo sulle tematiche a noi care perché vitali per la salvaguardia della nostra lingua e cultura. Stati Generali in cui richiedere tra l’altro l’Autonomia amministrativa dell’Arbëria (R.s.A.); la richiesta di un Consigliere Regionale Permanenteche rappresenti tutte le minoranze esistenti e da queste espresso. Solo nell’ambito della Regione storica Arbëreshë sarà possibile la pari dignità sociale della lingua materna e di quella italiana con l’insegnamento dell’arbërisht nelle scuole, lo sviluppo della cultura, della stampa cartacea ed on-line in lingua arbërisht ed il conseguente aiuto finanziario per realizzare quanto detto. Con l’autonomia dell’Arbëria finalmente si potranno costruire progetti attuativi per le singole macroaree territoriali e tra queste creare una rete che consenta di superare l’insularità presente per la difesa dei beni tangibili ed intangibili classici della nostra cultura e puntare a ben conservare i centri urbani ed i territori rurali valorizzandone le eccellenze e le aree naturalistiche, a ridefinire itinerari di sviluppo architettonico ed urbanistico d’ambito e far rispettare i canoni dei modelli consuetudinari albanofoni che rappresentano le vere fonti della nostra cultura. Impegnandoci per la R.s.A. non solo diamo solide basi ai giovani ed al loro futuro nell’ambito della nostra cultura, ma salviamo la nostra specificità e nel contempo diamo un solido contributo alla Democrazia Politica del Bel Paese perché la Democrazia Linguistica, mai attuata in Italia, ma prevista da Padri Costituenti non è un aspetto secondario della Democrazia, ma uno degli elementi fondanti di questa.Proprio per questo dobbiamo chiedere con forza la piena applicazione dell’Art. 6 della Costituzione – Le popolazioni arbëreshë dopo aver dato un alto contributo di sangue, di energie e di intelligenze per la costituzione dell’Italia unita, in questo caso darebbero un altro grande e storico contributo per rafforzare la Democrazia italiana, attualmente monca, oltre che malata. Solo con la costruzione di una Regione autonoma (R.s.A) sarà possibile una rinascita dei nostri territori (Nuova Rilindja Arbëreshë),sarà possibile organizzare e finanziare progetti di sostenibilità e gestione dei musei, biblioteche ed edifici religiosi con la costituzione di banche-dati comuni, al fine di permettere la fruibilità a tutti i visitatori e di costruire una sana politica turistica non invasiva ma rispettosa delle comunità e delle popolazioni, ne discende la formazione di corsi specifici per ‘operatori culturali’ affinché i nostri giovanisi possano costruire la loro professione in risposta alle esigenze del territorio e non saranno più costretti a contribuire allo sviluppo di regioni lontane, a piegare le spalle e la testa per sostenere l’economia del nord-Italia o di altri Stati. Solo così si potranno organizzare nuovi processi di alfabetizzazione culturale ed identitario per rafforzare e sviluppare la consapevolezza e quindi l’orgoglio arbëresh, e, perché no, costituire un ampio movimento di studio per analizzare le diverse parlate arbëreshë e giungere alla codifica di una lingua arbrisht comune per tutta l’Arbëria, con proprio vocabolario ufficiale; effettuare, in poche parole, un percorso parallelo a quello fatto per la codifica ufficiale della lingua shqip (in quel caso dal ghego e dal tosco), oltre l’Adriatico. La Regione storica Arbëreshë – R.s.A. – con la sua autonomia amministrativa potrà anche ‘de Jure’ finalmente contribuire a dare alla nostra cultura minoritaria il senso della propria specificità ed unicità: oggi la lingua la si difende solo difendendo la cultura che ne è l’indispensabile supporto, e, quest’ultima vive se affonda le proprie radici su una economia di base solida che permette ai propri figli di lavorare e vivere in loco. Dobbiamo chiedere ed arrivare ad imporre soluzioni che garantiscano il sostegno finanziario della tutela del territorio arbëresh rurale ed urbano per incentivare e favorire associazioni di piccole imprese giovani impegnate sul piano economico e produttivo, nei beni culturali, nel turismo, nel commercioe nei servizi socio-culturali. Il corretto sviluppo economico dell’Arbëria, quindi, deve essere il nostro obiettivo.Cosa vuole dire Autonomia Amministrativa ? Certo vuole dire anche autogovernodella Regione storica Arbëreshë, ma non solo. Per finanziare la R.s.A. dobbiamo pensare all’istituzione di una ZONA FRANCA; questa ha una lunga storia che trova le sue radici nei Padri Costituenti ed agli ART. 116 e 117 della Costituzione, per passare al trattato di Roma del 1957, senza tralasciare le Direttive Comunitarie n° 69/75/CEE e n° 69/74/CEE .L’ART. 12 della Legge Costituzionale n° 3/1948 tratta sulla sua normativa e il successivo D.Lgs. 75/78 entra nel merito specifico. Questo per quanto riguarda la cornice legale occorrente. In poche parole l’istituzione di una ZONA FRANCA Integrale(per l’Arbëria) come recitail D.Lgs. 43/73 che codifica il diritto di ritenersi o istituire zone franche per la caratterizzazione geografica di lontananza, di isolamento ovvero di natura demografica (un tempo la città di Trieste, oggi la Valle D’Aosta e dal 4 luglio ’17 -cosa nota a pochi- la Corte Costituzionale ha deliberato che la Sardegna da decenni doveva essere considerata Zona Franca in base alle Direttive Comunitarie quindi i residenti dal 2010 dovrebbero ricevere rimborsi o sgravi doganali….). Entriamo nel merito di quelle compensazioni fiscali che competono ai residenti di un territorio extra-doganale detto ZONA FRANCA: abolizione di tutte le imposte fiscali (Iva-Irpef-Irpeg) le accise sui beni di consumo quali alcolici e carburanti e cosi a seguire si potrebbe estendere il regime fiscale anche ai Tiket sanitari ed a spese sanitarie private……….
Questa che delineo rappresenta una strada possibile, perché legale, costituzionale, quindi praticabile che certamente darebbe l’impulso vitale alla rinascita economica dei nostri territori e non solo. Certo uno Stato che sino a d‘ora non ha rispettato la propria Costituzione, merita poca fiducia, ma le popolazioni arbëreshë che si sentono parte fondante del processo di costituzione unitaria dello Stato Italiano ed hanno un corposo e lungo “cahier de doleance” da rivendicare in quanto gruppo etno-linguistico mai tutelato, debbono fare uno sforzo ulteriore per salvare la propria cultura, malgrado e contro i burocrati romani, affinché si applichino le leggi. Perché la ZONAFRANCA? Perché gli automatismi distributivi del passato non possono più essere dati per scontati. Spesso questi automatismi, in specie nel Meridione d’Italia, hanno finito di riprodurre nel tempo la sindrome del sottosviluppo; i casi della Germania e della Spagna dimostrano invece che i divari regionali non sono una condanna biblica, ma possono attenuarsi grazie ad incentivi intelligenti (Zona Franca) ed i seguenti investimenti capaci di attivare dinamiche endogene di crescita. Basta con l’assistenzialismo che crea dipendenza ed attendismo, si allo sviluppo all’interno di una Autonomia Amministrativa, nel quadro di un agonismo sinergico con lo Stato nazionale.
La richiesta di dare ‘battaglia politica’ per la formazione della R.s.A.,non mi sembra assolutamente una proposta incostituzionale visto che in Italia si continuano a fare e disfare Province e Regioni (!) spesso e volentieri solo per motivi clientelari ed elettorali.
Ci rendiamo conto che molte persone e personaggi arbëresh trattano da anni le diverse argomentazioni riportate in questo scritto in maniera più esaustiva e completa, da veri professionisti, proprio per questo sono invitate ad intervenire, integrare e modificare quanto viene espresso da alcuni anni; solo così possiamo costruire un progetto di alto valore politico per l’Arbëria e definire il suo futuro: è ora che tutte le forze sane presenti sul territorio, a cominciare dagli amministratori più sensibili ed avveduti si muovano, pena essere schiacciati da avvenimenti ormai incombenti……; in passato si è scritto anche della possibilità della costituzione di un ‘Governo Ombra’, inteso come strumento propositivo e di propaganda mediatica, lo stesso dicasi per lo strumento del Referendum (vedi la Catalogna, la Lombardia ed il Veneto), che aprono prospettive nuove in Italia ed Europa. Certo tutte opzioni possibili e da non escludere a priori, ma tutte abbisognano di lavoro di sensibilizzazione, di precisa informazione e di azioni mediaticamente eclatanti, che, come si dice in gergo giornalistico, ‘bucano’, facciano notizia. Stessa cosa dicasi per la problematica dei mass-media e delle TV Regionali che debbono inserire nel loro palinsesto trasmissioni nelle lingue minoritarie presenti nella regione; l’obiettivo dei mass media, infatti, non è quello di informare e tanto meno di formare, ma quello di uniformare le menti ed i comportamenti per imporre il pensiero culturale ‘lëtir‘già dominante. Stessa cosa dicasi, per tutelare la nostra esistenza culturale, che dobbiamo attivarci affinché i rapporti di amicizia tra l’Arbëria e gli Stati albanofoni (Albania, Kosova, Macedonia e perché no, Montenegro) si trasformino da puri rapporti di cortesia ed amicizia, caratterizzate da vicendevoli visite reciproche di uomini politici, di artisti, gruppi canori, a metà tra il rapporto culturale e la vacanza spesata, quali sono quelli attuali, si trasformino, si diceva,inrelazioni nelle quali esercitare una chiara ‘pressione’ politica al fine che detti Stati pongano nel calendario dei loro rapporti con l’Italia la questione della tutela della minoranza italo-albanese ancora presente nel centro-sud della penisola.
Questovolutamente piccolo contributo, senza rischiare diavventurarci nello scrivere quelli che potrebbero divenire i menù delle osterie dell’avvenire, punta a sviluppare un dibattito, il più ampio possibile, che rappresenti un crogiuolo nel quale tutti possano portare contributi per forgiare gli strumenti dell’azione futura per la salvezza della cultura Arbër, nostro unico obiettivo. A questo proposito non ci sentiamo di escludere la possibilità o la necessità della formazione di un movimento politico arbëresh trasversale ai partiti, alle associazioni, ai ceti sociali, alle ideologie ed ai riti, che si faccia propositore di iniziative nei confronti delle autorità locali, regionali e nazionali, per raggiungere le proprie mete; un movimento che sia aperto a gruppi e singoli cultori e partigiani dell’Arbëria, intellettuali ed artisti, amministratori, insegnanti, rappresentanti di categorie e giovani. La possibilità di costruire un movimento persistente, creativo e non-violento che appoggiandosi e mettendo le proprie radici nel substrato culturale e nelle numerose strutture di resistenza esistenti all’interno e fuori delle nostre comunità, abbia la capacità di divenire primo attore “politico” per la Rinascita dell’Arbëria.
Non pensiamo che le varie considerazioni esposte rappresentino l’unica soluzione proponibile, l’unica strada per la salvezza della nostra lingua e cultura attraverso lo sviluppo economico che si potrà avere con la conquista e l’istituzione della Regione storica Arbëreshë(R.s.A.), caratterizzata dalla Zona Franca e quanto precedentemente esposto. Da quanto si proponesi sottintendonoe si esprimono chiaramente gli obiettivi da raggiungere – Autonomia Amministrativa dell’ Arbëria e suo Autogoverno – Il confronto determinerà modi, prassi e tempi per percorrere questa strada perché la democrazia, per parafrasare Vaclav Havel, ‘ non è una griglia di parole crociate in cui vi è una sola soluzione corretta’, ma qualche cosa di più complesso, dove non bastano le risposte tecnocratiche, ma queste vanno raggiunte considerando lo stato dei fatti (!), le priorità, i possibili attori in campo e le proprie qualità, le opportunità , gli strumenti ed i progetti per raggiungere gliobiettivi prefissati.
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