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I PAESI DI RADICE ARBËREŞË SONO TUTTI STESI SULLE COLLIME CHE MIRANO AD EST (diersëtë thëjatruatë më thë mirà janë ata cë kamë shëlognë) (i sudori di studio migliori sono quelli che ancora devo versare)

Protetto: I PAESI DI RADICE ARBËREŞË SONO TUTTI STESI SULLE COLLIME CHE MIRANO AD EST (diersëtë thëjatruatë më thë mirà janë ata cë kamë shëlognë) (i sudori di studio migliori sono quelli che ancora devo versare)

Posted on 19 febbraio 2025 by admin

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“MEDITERRANEO BACINO D’ACCOGLIENZA E ITEGRAZIONE SOSTENIBILE”  (le Radici antiche, nella Terra di oggi, per solidi germogli di Accoglienza e buoni proposti dei domani)

“MEDITERRANEO BACINO D’ACCOGLIENZA E ITEGRAZIONE SOSTENIBILE” (le Radici antiche, nella Terra di oggi, per solidi germogli di Accoglienza e buoni proposti dei domani)

Posted on 05 febbraio 2025 by admin

DA STATO A MANXANAa

PROGETTO PRELIMINARE DI RICERCA E COMPILAZIONE DEI PAESI CHE SONO

LA REGIONE STORICA DIFFUSA E SOSTENUTA DAGLI ARBËREŞË

(il modello completo di solida integrazione mediterranea)

 

Introduzione

 

Questa nota di progetto vuole essere una proposta per tutte le amministrazioni che mirano ad allestire o disporre attività di resilienza, nel rispetto e suggerendo le leggi che tutelano le minoranze storiche, in specie l’Arbëreşë, secondo le direttive qui di seguito elencate:

– Convenzione – Quadro tutela delle minoranze, Consiglio d’Europa 10/11/1994;

– Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Articolo 21), che vieta la discriminazione, dell’Unione Europea che privilegia il principio di non discriminazione in tutte le sue forme.

Costituzione della Repubblica Italiana:

 – Articolo 6 tutela le minoranze che vivono sul territorio nazionale;

–  Articolo 9 tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico;

– La Legge del 15 Dicembre 1999, n. 482, Art. 2. Comma 1, in attuazione dell’articolo agli articoli 3 e 6 della Costituzione Italiana a tutela cultura il parlato di minoranza storica:

– Decreto del Presidente Repubblica del 2 maggio 2001, n. 345 Art. 1 Comma 3;

– Decreto Legislativo del 22 gennaio 2004 n. 42 recante il “Codici dei Beni Culturali e del Paesaggio”;

– Legge della Regione di Abruzzo, Molise, Calabria, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria.

– Decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63,

le attività di seguito elencate formulano atti, attività e direttive, non intese come “divieto alla non uguaglianza”, ma, “sollecito ad acquisire atteggiamenti, misure, progetti e dispositivi il cui fine vuole concertare la più solida continuità culturale”.

Se a questo associamo le direttive che i PNRR, ovvero i Piani Nazionali di ripresa e Resilienza, come non adoperarsi a delineare, percorsi di salvaguardia delle regioni storiche sostenute dalle minoranze, che in Italia rappresentano i modelli di integrazione tra i più solidi, longevi e meno invasivi di tutto il Mediterraneo.

 

Premessa

Chi possiede una lingua materna, la storia con protagonisti i padri in campo a seminare bene,  i riti religiosi in Chiesa , le tradizioni e costumi come solido patrimonio, la Gjitonia che si concretizzano nello studio di generi e prodotti e dell’artigianato, la iunctura tra famigli che descrive architettura e ambiente, per il fine di continuare a essere patrimonio insostituibile, soprattutto in quest’epoca dove sono messe, seriamente, a dura prova per l’invasione commerciali e di nuovi simboli, espressi da grafiti indigeni non paralleli, restituisce  e fa una forza culturale irremovibile.

Il progetto qui i compimento in forma preliminare, si prefigge il fine di coinvolgere figure alte per accorare, un gruppo di lavoro, multidisciplinare, sulla base o la fonte di esperienze specifiche in campo, Antropologico, Linguistico, Psicologico, Storico, Sociologico, Psichiatrico, Architettonico, Urbanistico, Credenza Religiosa e Consuetudini diffuse dagli Arbëreşë, includendo anche altre discipline, per il fine di raggiugere il buon esito dell’operato di tutela e resilienza, seguendo protocolli di ricerca, relazioni, grafici e studi specifici di mire fondamentali di luogo naturale, tempo, epoche e uomini.

 

 

 

Temi di tutela per sostenere la resilienza di questo esempio di integrazione mediterraneo

 Ripristinare la parlata arbëreshë di macro area o di Katundë, avendo mira i lascito più antichi per le nuove generazioni, utilizzando in prima analisi i presidi scolastici con “un tempo breve” di avvicinamento e in seguito “ tempi più articolati ” per porre in essere corsi specifici come l’antico governo delle donne realizzava per la trasmettere la lingua, secondo direttive locali, con preferenza del parlato e del canto rimato, senza l’ausilio di musica, vocabolari e forme scrittografiche di alcun genere, come si usa fare con le lingue più forti, ovvero quelle sostenute dalla poesia e la forma scritta, qui mai utilizzata da tutto i buoni parlati e pronti per l’ascolto;

Recupero dei sistemi urbani di approdo e di sviluppo oltre i percorsi dell’economia tipici di necessità vernacolare, in tutto componimenti di iunctura familiare solidale intrecciata nei: Vicoli (Rruhat), Suporti (Sottoportici), Vicoli Ciechi Rruhat i mëbuliturë), Vallj (Spazi circoscritti senza Uscita) e Orti Botanici (Kopshëti) storicamente allestiti nel centro antico,  l’insieme poi finalizzato a compilare progetti di resilienza del centro antico, dove innestare e far rifiorire i valori sociali del Governo delle donne o luogo dei cinque sensi;

 

Allestire manifestazioni culturali e, convegni rivolti alla cultura, per la definizione di temi che troveranno allocamento in mostre evidenziando i percorsi storici di integrazione degli arbëreşë in generale e, quella di ogni Katundë e la sua macro area, nei dettagli più intimi; il tutto da apporre in una struttura di museo antropologico o in appositi spazi di libero accesso all’interno del centro antico e le attività proto industriali, innanzi il camino;

Studio e ricerca storica dello sviluppo urbano del centro antico, seguendo i ricorsi storici, sociale e dell’economia nel corso dei secoli, con apposizione di sistema planimetrico G.I.S. indispensabili a definire epoca e sviluppo e sistemi rionali secondo cui era composto a ha seguito il percorso di crescita il Katundë dall’essere centro antico e diventare centro storico;

 

Realizzare un’analisi toponomastica che possa definire l’ampliamento del centro antico seguendo la realizzazione dei quattro rioni tipici (Sheshi) e le pertinenze di origine come il cortile la casa e l’orto botanico, a cui seguirono i modelli più complessi di “Iunctura familiare”, articolata in quelli antichi e lineari per i più moderni.

Progetto dei pannelli toponomastici viari numerici, dei civici in caratteri Romani e Arabi, per la toponomastica di memoria locale, sia del centro antico, sia dei cunei agrari, silvicoli e pastorizia; in oltre eseguire la puntigliosa ricercare degli storici itinerari della transumanza di macro are e di radice di ogni Katundë, all’interno del suo agro di pertinenza;

 

Tracciare i percorsi di credenze del centro antico e, valorizzare le antiche icone del centro storico, oltre quelle dei cunei della sostenibilità agraria, cercando di cogliere l’orientamento a associarle agli accadimenti storici, datandone la realizzazione con gli elementi che solidarizzano e compongono gli levati.

Definizione dei cunei agrari della produzione, della trasformazione e conservazione del bisogno sostenibile proto industriale eseguiti davanti al camino o al forno del modulo abitativo del bisogno vernacolare.

 

Ampliare i musei monotematici del costume, volgendo l’interesse non a temi specifici ma di largo interesse antropologico locale, con sezioni a tema di costumi e momenti di vita domestica giovanile e di rappresentanza, o delle attività e lavorazione, dei prodotti Solanizzati, in tutto l’arte del genio locale sostenuto e diretto dal governo delle donne;

 

Comporre una postazione video e audio, del parlato per l’ascolto di macro area, al fine di fornire alle generazioni più adulte di tramandare i valori originali per la discendenza del parlato e dell’ascolto secondo antiche consuetudini;

 

Formare un gruppo di giovani/e residenti locali, al fine di rispondere con cognizione storica locale e generale con coerenza, alle richieste di turisti della lunga o della breve sosta e, rendere interessante l’accoglienza, riverberando informazione specifica della minoranza, sia del centro antico, che del territorio agreste, della macro area di pertinenza, accompagnano i turisti lungo le trame viarie del centro antico e, avvertire i valori dei cinque sensi qui depositati tra gli elevati di iunctura familiare, in tutto i valori solidi che fanno la regione storica diffusa e sostenuta in Arbëreşë;

Formulare un elenco vernacolare del perlato primo in Arbëreşë, ovvero identificare il corpo umano di genere e le necessità naturali del bisogno di vivere, oltre a tutte le movenze e le cantilene di ironia, per fare memoria di vicinanza allerta sociale da tramandare alle nuove generazioni e come il senso Gjitonia, anche del parlato e dell’ascolto non scritto;

 

Realizzare percorsi pedonali con l’utilizzo di materiali autoctoni di antica necessità, creando le prospettive secondo l’uso dell’epoca, si serviva di prodotti naturali o estrattive, realizzando forme e pianori aditivi del bisogno o della necessità dell’epoca in continuo progredire;

Gli stessi che segnarono i percorsi dell’operato di credenza locale, per i tanti scampati pericoli naturali, come carestie terremoti e pandemie, in tutto momenti di isolamento e pena che misero in dubbio la continuità sociale e produttiva dei cunei agrari e sin anche dei centri abitati, in forma proto industriale.

 

Intercettare i lavinai storici, che resero possibile il sostenersi all’interno dei sistemi articolati, in quanto unica risorsa naturale per igienizzare e rendere vivibili quegli ambiti.

Analisi di ricerca e studio degli effetti della legge 482/99, nazionale e quelle regionali estrapolandone i benefici e le manchevolezze di tutela non contemplate rispetto a quelle troppo esaltate; annotazioni da sottoporre a politici e istituzioni, per le mire non raggiunte per il ventaglio ristretto estrapolato dalla lettura, per meglio dire, i processi involutivi non previsti e ancora non meglio contemplati;

Studio del costume tipico, di: giovane donna; sposa; regina della casa; giornaliero; lutto e, vedova incerta; attestandone sin anche le varianti e le inesattezze nel corso dei secoli, che oggi sono attesti in editi, convegni e tesi dipartimentali;

Studio dei processi di organizzazione urbana, tipica e articolata secondo i rioni tipici che fissano le varie e poche e le genti che qui trovarono agio di vivere, secondo la riorganizzazione Prima greca, poi bizantina, in seguito longobarda poi cistercense, arbereshe dominate da francofoni, austriaci e ispanici.

 

Definizione dei sostantivi che identificano il centro abitato, i Rioni, le Piazze, le Vie, gli Orti Botanici e i Valori di convivenza sociale largamente utilizzati senza alcuna Radicanza Arbëreşë;

Progettare il percorso ideale del costume all’interno di musei ed eventi, secondo disposizione e temi, predisposti da titolati, fornendo la più giusta e idonea linfa espositiva, che molto spesso non trova ragione di essere tema di memoria;

 

Ricerca storica delle figure di eccellenza Arbëreşë, nelle discipline: di Credenza Economiche; Politiche, Scienza Esatta e del patire storico, sino all’unità d’Italia e ancora oggi nel confronto con la terra madre;

Le Credenze locale e Sociali, oltre fenomeni paralleli laici, la terminazione del rito Ortodosso, per il Latino e, gli atti che determinarono l’esigenza del Greco Bizantino;

 

Valorizzare la giornata del Termine per gli Arbëreşë, il Carnevale gli appuntamenti storici della stagione lunga; l’Estate e di quella corta; l’Inverno.

La festa patronale e il significato storico locale dei Santi, tracciando le vie della devozione di ogni Katundë;

 

Definizione solidale e condivisa di Katundë, Borgo, Paese, Contrada, Rione, Quartiere, Gjitonia, Sheshë, Drjtësora, Ruitoj oltre i toponimi indigeni da non contemplare perché appartenuti alla storia prima che approdassero gli, arbëreşë;

Analisi dei processi costruttivi, primari estrattivi, quelli vernacolari del bisogno, per dare forma alle residenze prima e dopo il terremoto del 1783, intercettando i palazzotti o palazzati nobiliari, di crescita sociale ricostruiti secondo le imposizioni regie imposti dal governo centrale di Napoli

 

Vanno anche analizzati gli spazi temporali dei terremoti che hanno messo alla prova, territorio, uomini e i processi di sviluppo edilizio nei Katundë Arbëreşë attraverso i quali definire le tessiture petrografiche e degli elementi di laterizio in uso nei modelli architettonici utilizzati, a seguito dei numerosi eventi tellurici che interessarono la regione storica dal XIV secolo a venire.

Le Vallje: la festa dell’integrazione,

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KANDJLORA ARBËREŞË

KANDJLORA ARBËREŞË

Posted on 03 febbraio 2025 by admin

CandeloraNAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Ricorrenza che si celebra il 2 di febbraio, in tutto, la memoria che segna la presentazione di Gesù al Tempio e la purificazione di Maria, secondo la tradizione cristiana.

Il nome “Candelora” deriva dal latino “candelorum”, che significa “candele”, in arbëreşë ” Kandjlorë”, che ha come espressione diffusa il benedire le candele, simbolo di luce che rappresenta Gesù come “luce che illumina le genti” almeno questo è l’auguri che ogni credente cerca di mettere a regime specie dal punto di vista religioso etico e culturale.

In Italia, la Candelora è anche legata a diversi detti popolari e tradizioni e, in alcune regioni, è considerata un momento di passaggio tra l’inverno e la primavera, e si dice che se il giorno della Candelora è soleggiato, l’inverno durerà ancora sei settimane, mentre se è nuvoloso, la primavera è già vicina.

Tra queste regioni le più significative sono quelle che si dispongono nel meridione italiano e fanno la regione storica diffusa e sostenuta in Arbëreşë.

Come si ricorda per quanti conoscono il parlato arbëreşë la Candelora è associata a previsioni meteo e l’eliminazione delle cose o le persone negative, in senso di tempo buono e figure formate idoneamente.

Un detto recita: “Se alla Candelora piove o tira vento, l’inverno è ormai al mezzo e comincia il suo declino” e se il tempo è sereno, invece, si dice che l’inverno durerà ancora a lungo.

La festa è anche legata alla purificazione della Madonna, che secondo la legge ebraica doveva presentarsi al Tempio dopo 40 giorni dalla nascita di un bambino maschio, per ricevere in dono la purificazione e simboleggia la sua consacrazione e la sua partecipazione al piano divino.

Dal punto divista sociale e della partecipazione dei generi, essa rappresenta anche il passaggio dall’oscurità alla luce, e in molte culture, questo è un momento simbolico per lasciare alle spalle le difficoltà dell’inverno e guardare con speranza alla primavera che arriva e libera la mente.

In alcune regioni, la Candelora è anche vista come un’opportunità per compiere atti innovativi o di rinnovamento rispetto all’inverno e, le pene esposte in pubblico dominio dalle istituzioni, sino al primo di Febbraio e, promuovendo limpide  forme di solidarietà culturale, di fratellanza e solidarietà.

La tradizione delle candele benedette, rappresenta dunque, sia la luce spirituale che quella fisica, facendo riferimento al rinnovamento e alla speranza, che il nuovo anno solare, a breve darà inizio, al fine che possa rendere ogni luogo espressione di un passato costruttivo e solidale.

Una regione storica dove chi vale va elogiato e chi non sa, deve sedersi e, ascoltare o apprendere le gesta e le ritualità degli uomini sani, tutti quelli che conoscono e sano fare, senza distinzione alcuna,  come è stato fatto nel modello di integrazione mediterranea dagli Arbëreşë, con Napoli capitale, mente e luogo storico di integrazione.

In tutto, la candelora è anche il giorno del termine di rappresentazioni a dir poco volgari, se non addirittura offensive verso quanti dedicano tempo danaro e impegno fisico e mentale, per illuminare di nuovo la regione storica diffusa degli arbëreşë e sin anche le menti rigide e chine, di quanti oggi fanno Albania , le terre  da dove un tempo si costrinsero a  migrare gli arbëreşë per non essere sottomessi culturalmente o mutare quella credenza antica, che parificava il sole e la luna.

Quello che avviene al giorno d’oggi è inconcepibile blasfemo e ineducato, non da forestieri senza scrupoli, ma dagli attivisti locali, che preferiscono estranei a casa nostra per approdarvi e spiegare come si terminano i quadrupedi, come si allevano e si rappresentano le consuetudini più antiche del vecchio continente europeo.

Questa candelora è il tempo adeguato a cambiare e, quanti non lo faranno dovranno a breve dare spiegazioni per non ardere con la luce che fanno le fiamme dell’inferno e magari scambiandole con la luce del sole e della luna della stagione che fa germogli, fioritura e frutti genuini per tutti i generi e senza distinzione alcuna.

Il Sole e la Luna sono spesso considerati simboli potenti con significati profondi, che variano leggermente tra le diverse tradizioni e culture dei Balcani. Tuttavia, ci sono alcuni temi comuni che emergono.

Il Sole è generalmente visto come un simbolo di vita, energia e vitalità, associato alla luce, al calore e alla crescita, elementi necessari per il benessere e la prosperità.

In molte tradizioni è anche visto come una divinità o una forza divina che protegge le persone e rappresenta anche il ciclo della vita, poiché, con la sua ascesa e il suo tramonto, simboleggia la nascita, la crescita, la maturità e la morte.

Esso è spesso legato alla fertilità, sia quella agricola che quella umana, e viene invocato per portare buon raccolto e prosperità nelle famiglie.

La Luna, al contrario, è un simbolo di cambiamento e mistero, legata alle fasi della vita, incarna la dualità, rappresentando l’oscurità, la morte.

E spesso associata al femminile, alla fertilità e alla spiritualità, vista come una figura che governa l’emotività, l’intuizione e i sogni, legata alle divinità o figure femminili che proteggevano la casa e la famiglia.

Connessa con il soprannaturale e il misterioso, spesso legata a leggende di creature mitologiche, come le streghe o i lupi mannari, che si attivano durante la sua piena fase.

Il Sole e la Luna rappresentano un equilibrio di forze complementari, una dualità che permea la natura e la vita quotidiana, con il Sole che porta forza e chiarezza e la Luna che governa il cambiamento e la dimensione spirituale.

Sì, nel contesto delle tradizioni sono interpretati come simboli che si riflettono nelle differenze tra cristianità (in particolare il cristianesimo occidentale) e ortodossia (che prevale nei domini orientali).

Sebbene il simbolismo del Sole e della Luna non sia direttamente legato a queste due religioni in modo esplicito, esistono delle interpretazioni simboliche che possono essere collegate a queste tradizioni religiose.

Il Sole comunque viene associato alla luce divina e alla Verità di Cristo, che “illumina” il cammino dei credenti e, rappresenta la rivelazione divina o la presenza di Dio nel mondo.

Nella cristianità occidentale, può essere inteso come simbolo di Cristo stesso, con il suo potere di illuminare l’umanità e di purificare attraverso la luce, connesso con l’Eucaristia e la Pasqua, che celebrano la resurrezione e la vittoria sulla morte, portando “luce” nelle tenebre della morte e del peccato.

Di contro la Luna, con il suo ciclo di fasi, va intesa secondo la relazione con la fede ortodossa e alla liturgia, celebrando molte festività secondo il calendario lunare, che segue il ciclo di questa, come nel caso della Pasqua ortodossa, che viene celebrata in una data diversa rispetto a quella cattolica a causa della differenza nei calcoli basati sul ciclo lunare.

Rappresentando per questo la misteriosità e la spiritualità del mondo visibile, può simboleggiare il legame tra l’umanità e il divino nella tradizione ortodossa, che è spesso più mistica e sottile rispetto alla cristianità occidentale.

La spiritualità ortodossa tende ad essere percepita come più legata al mistero, al silenzio, alla preghiera interiore, e alla venerazione dei santi e delle icone, che possono essere in qualche modo legati a questa simbologia lunare di ciclo e trasformazione.

Quindi, in un contesto metaforico, il Sole potrebbe rappresentare la chiara e radiosa presenza di Cristo nel cristianesimo cattolico, mentre la Luna, con le sue fasi e il suo cambiamento, potrebbe essere vista come un simbolo della profondità mistica e rituale della tradizione ortodossa. Naturalmente, queste sono letture simboliche che si sovrappongono a concetti più ampi di fede e spiritualità.

Sì, il concetto di dualismo tra il sole e la luna può essere interpretato come un simbolo che rappresenta opposti complementari in diverse tradizioni, comprese quelle cristiana e musulmana, anche se il loro significato specifico varia nelle due religioni.

Nel cristianesimo, il dualismo spesso si manifesta attraverso concetti come la luce e le tenebre, dove il sole può simboleggiare la presenza di Dio, la verità e la salvezza, mentre la luna può essere vista come simbolo di riflessione, rivelazione e mistero. La luce solare potrebbe rappresentare la manifestazione divina, mentre la luna, che riflette la luce del sole, potrebbe essere un simbolo di rivelazione indiretta o della Chiesa che porta la luce di Cristo nel mondo.

Nel mondo musulmano, la luna ha un ruolo simbolico molto forte. La luna nuova segna l’inizio del mese nel calendario islamico, e la luna crescente è spesso associata con l’Islam stesso. Il sole e la luna possono rappresentare anche la divisione tra il mondo materiale e quello spirituale. In alcuni commentari coranici, la luna e il sole sono visti come segni della grandezza di Dio, con il sole che rappresenta la Sua luce diretta e la luna che funge da guida riflessa.

In entrambe le religioni, quindi, questi corpi celesti, pur non essendo simboli esclusivi di un dualismo assoluto, giocano un ruolo importante nel descrivere la relazione tra il divino e l’umano, tra la luce e le tenebre, tra la verità e la riflessione.

La luna crescente è un simbolo comunemente associato all’Islam, anche se non è direttamente presente nel Corano, anche se il simbolo è stato adottato da molte nazioni musulmane e usato come emblema durante l’Impero Ottomano, e da lì si è diffuso in molte culture.

Tuttavia, è importante notare che la luna crescente non ha un valore religioso come lo potrebbe avere, per esempio, la croce per i cristiani.

Infatti essa è più un simbolo culturale, che rappresenta l’Islam in un contesto storico e politico, adottato in bandiere di paesi musulmani, come la Turchia, la Tunisia, e il Pakistan, la luna crescente appare accanto a una stella, ma il suo significato è spesso interpretato come un simbolo di rinnovamento, di speranza, o di orientamento.

Dal punto di vista religioso, la luna ha un’importanza pratica, poiché il calendario islamico è lunare, con i mesi che iniziano con la nuova luna, e anche il Ramadan e altre festività sono basati sul ciclo lunare.

Ma il simbolo della luna crescente comunemente non è strettamente una rappresentazione della divinità di Allah o di un concetto teologico specifico; piuttosto, è un simbolo che ha acquisito significato attraverso la tradizione e la storia.

In sintesi, sì, la luna crescente è un simbolo fortemente associato all’Islam, ma la sua connessione è più culturale e storica che teologica.

Tuttavia e in ragione di ciò resta un dato, ovvero, in alcune altre regioni storiche, esistano tradizioni di patti giurati “al cospetto del sole e della luna” e affonda le sue radici in pratiche ancestrali che mescolano elementi di religioni pre-islamiche, come quelle pagane, con influenze delle tradizioni monoteistiche successive.

Infatti sono numerose le etnie che usano sigillare, il giuramento davanti al sole e alla luna, divenendo così atto simbolico che richiamava la sacralità di questi corpi celesti.

L’idea di giurare “al cospetto” di elementi naturali così potenti come il sole e la luna assume un significato profondo, poiché questi erano visti come testimoni divini o forze naturali incontestabili, in grado di garantire la veridicità del giuramento.

Questa pratica affonda le radici in antiche credenze politeistiche, in cui il sole e la luna erano divinità o entità di grande importanza. Anche in alcune tradizioni islamiche popolari nei Balcani, l’idea di giurare davanti a simboli come il sole e la luna potrebbe essere stata mantenuta come parte del folklore, pur non avendo una base teologica ufficiale nell’Islam. È un caso in cui la religione e le tradizioni locali si mescolano, e le pratiche pre-esistenti vengono adattate a nuove credenze religiose.

Questi patti giurati al sole e alla luna potrebbero essere interpretati come simboli di un impegno forte e irreversibile, in cui la forza universale di questi corpi celesti diventa una sorta di garante del patto stesso.

Quindi, anche se non fanno parte delle tradizioni formali dell’Islam o del cristianesimo, sono un esempio di come credenze popolari e simboli naturali vengano utilizzati per conferire valore e sacralità agli impegni e alle promesse.

È una pratica che si inserisce in una lunga tradizione di “giuramenti naturali”, nei quali elementi come la terra, il cielo, l’acqua, il fuoco e altri aspetti della natura venivano invocati come testimoni di impegni solenni.

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ALL’IŞKI, ALL’IŞKI, ALL’IŞKI (ezëni e mbëjidani thë Isketë)

ALL’IŞKI, ALL’IŞKI, ALL’IŞKI (ezëni e mbëjidani thë Isketë)

Posted on 02 febbraio 2025 by admin

Leopardi

NAPOLI (Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Questo era il grido di minoranza rivolto a quanti gestivano maggioranza in “Terre di Sofia” e, spesso sentivo inneggiarlo a gran voce, la mattina quando andavo a scuola, nei Bar di pomeriggio, la sera nelle Cantine e quando andavo a tagliare i capelli dal Barbiere, ai tempi in cui, vivevo studiavo e ascoltavo il parlato arbëreşë in rispettoso e costruttivo progredire.

Questo era un grido che voleva sottolineare, l’appartenenza indigena di una parte del sistema Katundë, la stessa che non prediligeva l’integrazione, perché provenienti da terre limitrofe e ben distinte dall’agro genuino, che aveva nonostante tutto contribuito non da poco e reso praticabile un terreno umido impraticabile e desolante, colmo di reflui fluviali da bonificare.

E per ottenere riconoscenza di gli abitanti di Terra, dovettero rivolgersi a cassa sacra, per averne merito di proprietà, diversamente da quanti li vivevano e, non si erano mai dati da fare per essere parte attiva del sociale del centro abitato a loro limitrofo nel temine lungo lo scorrere del torrente denominato “votetë”.

Quindi ultimi senza alcun sentimento pronto a fare fratellanza e integrazione con gli Arbëreşë, che li avevano sempre aiutati a migliorare sé stessi e le pertinenze dell’ISKI, storicamente malsana, oggi come allora.

Tuttavia quello che più prevale sono le falsità di quanti affermano pubblicamente che l’essere riuscito ad emergere dalla massa, solo per tagli e titoli di, “bocconcini”, ottenuti non si sa come e , questo risveglia, memorie e sentimenti di quell’epoca incancellabile per la formazione di non poche generazioni.

Specie se questa frase viene elevata dai piccoli discendenti, oggi diventata adulti, ma rimasta sempre avvolti in quella nebbia antica che caratterizzava quel pianoro dove palesare presenza, usavano battere i piedi o far sentire il riecheggiare sull’incudine dei djganë da stagnare, unica risorsa di genio del fabbro o artigiano mancato.

Gli stessi discendenti che oggi boicottano ogni iniziativa, che potrebbe fornire strumenti o teoremi fondamentali per la crescita in ogni fronte del vituperato Katundë, che per loro e grazie a loro vive in pena irrecuperabile.

Tuttavia se a queste affermazioni, elevati dove i quadrupedi venivano terminati, sono emozione di ignari, che si esaltano per aver conosciuto “l’antropologo menzognero”, che non sapeva né parlare e né ascoltare in Arbëreşë, è una pena che denota lo stato in cui si vorrebbe valorizzare la regione storica diffusa e sostenuta da chi parla e sa ascoltare questo idioma.

Certo che salire sulla madia dove si terminano i maiali tra gennaio e febbraio affermando che la riuscita di un progetto locale è avvenuto per esclusiva solidarietà e delle capacità paterna, lì in quel luogo nata per dare pena a suini bovini e ovini è un controsenso, specie dove i neri erano scartati per la qualità della carne, considerata infetta, lurida e di aroma insano.

Tutto quanto il dire, diventa un’offesa verso quanti si adoperano con metodo e confronto per la valorizzazione delle cose Arbëreşë, dato lo stato e la capacità di istituti, istituzioni e libere figure che si alternano nei palcoscenici di insani mattatoi culturali, in tutto un insieme di attori incoscienti; i diretti discendenti che vollero quel “genere sparso prematuramente insanguinato”, la giornata del termine storico: ovvero il 28 febbraio del 1985.

Ciò che si vuole sottolineare in questo breve contributo di memoria locale, è la miscellanea di conoscenza che nello stesso individuo possono attivarsi nei processi involutivi, tipici dell’età giovanile e, coesistere la mutazione, dello sviluppo.

In altre parole, la plasticità negativa a ogni età, senza mai raggiungere la più idonea o passibile maturazione celebrale in verso, agio o direzione costruttiva.

Oggi, nel momento in cui si è compreso, con stati di fatto, che il cervello potrebbe offrire potenziali opportunità di cambiamento a qualsiasi età, assume significativo valore l’immaginare progetti per interventi mirati a favore cognitivo dei su citati generi, che allo stato vagano le foreste della cultura come pirati pronti all’arrembaggio.

Allo scopo serve uno strutturato per produrre Modificabilità Cognitiva Strutturale, specie nell’età di sviluppo e, per queste figure servirebbe avvicinarle come si fa con il gregge e, sottoporli senza rimando alcuno alle prove di ’”Arricchimento Strumentale specie chi non ha la fortuna di nasce strutturato di ascolto e parlato Arbëreşë “.

Allo stato delle cose tutto si potrebbe configurare come percorso di recupero per ogni frammento cognitivo, specie quando si diventa adulto e si vuole dimostrare di esserlo.

Questa estensione del Programma di Arricchimento Strumentale (PAS) è strutturato come un training specifico è finalizzato al recupero delle funzioni cognitive e, di tutto quello che circonda un individuo nel corso del suo sviluppo dall’età infantile sino a quella adulta.

Dimostrando che la plasticità cerebrale è presente anche nelle figure meno inclini, che non si devono mai abbandonare al libero pascolo, in tutto, il ciclo di vita dei generi, specie, quelli meno dotati di tutto.

Questo comunque implica la responsabilità di progettare e realizzare interventi significativi ed efficaci, gli stessi che oggi restano o meglio sono, realtà documentata da una forte letteratura e capacità organizzativa.

A tal fine valgano i numerosi giardini botanici, presenti sino agli anni settanta del secolo scorso e ancora presenti in altra forma, ma disanimati di essenze, i quali andrebbero, rigenerati per poter aprire una nuova stagione curativa della nota medicina empirica Salernitana, rivolta a quanti avanzano evidente Modificabilità Strutturale e Cognitiva, la più diffusa nei circuiti della minoranza Arbëreşë.

Il giardino assume così una duplice funzione: ovvero essere un luogo dove iniziare a sviluppare sensibilità celebrale e in oltre radicare i semi di erbe curative antiche, le stesse che nel mondo greco radicato in quello persiano e quello egiziano e arabo iniziarono a fare Farmacia Naturale.

Il giardino ricostruiva l’immagine dell’Universo, motivo per il quale questi spazi erano anche definiti «Giardini paradiso».

Essi infatti dall’agro e sino al centro antico, fornivano alla mente un immaginario di folti boschi, popolati da una fauna diversificata, come se sorgessero nel deserto, ma irrigati da acqua portata li dai noti lavinai naturali, appositamente addomesticati o indirizzati.

Il giardino o hortus diversificavano le coltivate arare con spazio decorativo e, accogliere quanti avevano urgenza di Modificabilità Strutturale e Cognitiva, indicati al plurale col termine di Orti proprio per la quantità di addetti da sostenere.

In essi la fauna era creata per mezzo dell’elemento decorativo, con l’ausilio di piante tagliate ad arte e dalle forme degli animali, sino a disegnare scene di caccia e, risvegliare antichi istinti a quel genere che cerebralmente e fisicamente oziava.

Le principali caratteristiche dell’assetto architettonico del giardino botanico non contemplava alcuna murazione se non Gardj, (Recinto in elementi naturali intrecciati) che non impedivano in alcun modo, il variare o delimitare la prospettiva di bosco libero ed esenziale.

Internamente, lo spazio era riempito da arbusti posizionati a distanza dagli alberi da frutta, mentre la risorsa di acqua era disposta fuori da recinto.

L’arte figurativa assumeva così un valore pedagogico dei sottoposti a cura ambientale un tramite anche per l’arte negli spazi a ridosso di edifici, che non dovevano impedire in alcun modo la prospettiva profonda anzi contribuendo a sostenerla.

Gli spazi verdi erano e, rivestivano un tempo il valore simbolico: e iniziarono ad essere modellati per risvegliare le capacità cognitive degli infermi, grazie alla similitudine che si riuscivano a estrapolare dalle più svariate figure zoologiche.

La scelta di trasformare uno spazio aperto in un’area verde deve sempre ricadere sulla posizione panoramica di cui era investito lo stesso giardino.

Suddiviso in un’area razionale, tramite terrazze era arricchito con l’inserimento dei pergolati e orti stagionali i cui concimi derivavano dai cibi delle tavole quando si terminava di pranzare.

Le piante utilizzate per l’abbellimento dei giardini, miravano a rappresentare ambienti con verdure e piante botaniche e non, diviso in aree omogenee introducendo nello spazio circoscritto i valori sociali, arborei e medicali.

La presenza degli elementi naturalistici diverrà forma allegorica, nelle decorazioni dei prodotti delle arti minori, ma questa è un’altra storia, quello che qui si vuole sottolineare è lo stato in cui si sostiene la Iunctura familiare odierna, fatta di esaltazione, protagonismo e filiere a dir poco inopportune.

Specie per quanto attinenti ai valori di sostenibilità storica, di idioma consuetudinari e i legami che reggevano la credenza e la via breve e stretta tra casa e chiesa.

Questi elementi primari erano poi la conseguenza della credenza che reggeva il percorso di crescita, sociale; la stessa che univa indissolubilmente, il Camino della casa, ovvero, dove iniziava ogni favola; Gjitonia dove avevano sviluppo e luogo i cinque sensi governati dalle donne e l’agro produttivo condotto e diretto dal senato degli uomini, che chiudevano e solidarizzavano il giardino delle meraviglie Arbëreşë.

Tuttavia vale il principio secondo cui: partecipare non è tutto, ma essere esclusi a priori in ogni manifestazione non è certo un gesto di nubilato culturale; anche se proviene dalla categoria degli “iskitati”.

In questi giorni, si festeggia “Candelora” un evento di rinnovamento dell’estate, che avanza per sovrastare il buio dell’inverno, questo è anche un invito per quanti si ostinano a promuovere eventi culturali immaneggiabili.

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NON È STATA APPOSTA PIETRA ANGOLARE PERCHE’ IGNORAVANO COSA FOSSE E A COSA SERVE (jatròj pa motë, ragù diellësitë llitirë)

NON È STATA APPOSTA PIETRA ANGOLARE PERCHE’ IGNORAVANO COSA FOSSE E A COSA SERVE (jatròj pa motë, ragù diellësitë llitirë)

Posted on 25 dicembre 2024 by admin

Pietra angolare

Napoli (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Katundë non sono un argomento o trattazione di pietre, mattoni, tegole, polveri e materiali lignei di spogliatura, in quanto è la rappresentazione sociale dell’uomo, ovvero, insieme di genio per unire generi in solidale fratellanza nel corso dei secoli.

Cercare di conoscere cosa accade o sta per accadere in un Katundë può aiutarci a capire come cambia il modo di intervenire e fare cose.

No si riferirà in questa diplomatica, solo il colorare o dare modo alle murature di esprimere pareri, perché questi in statico apparire, ma bisogna interpretare, a quanti ne hanno competenza, il districarsi del costruito ad opera e per il bisogno più duraturo dell’uomo.

Come vivranno domani gli arbëreşë che abitano nei centri antichi e come sia possibile per noi contribuire a migliorare risolutamente il lo futuro, esplorandone i caratteri contemporanei del centro abitato e, dei cunei produttivi, diventa un’esercizi affascinante, formativo, rigenerante e geniale quando da una rispettosa e coerente soluzione.

La qualità dell’essenza, ottenuta, restituisce una formula di vita, in continuo rigenerare, senza modificare, cambiare, o sfociare in enormi differenze tra le diverse generazioni, le stesse che mirano ad alimentare il senso del Katundë organizzando e innovando il senso dei plateiai e stenopoi.

Il tutto affrontando i problemi, le crisi, evitandone i disastri e, orientando le soluzioni, per meglio gestire le opportunità, di un luogo dove vivere, sulla base delle antiche consuetudini, specie se tramandate in forma orale e in lingua Arbëreşë.

Ci sono Katundë che vincono e si tramandano, e Katundë che perdono valore identitario in ogni manifestazione, sotto la guida di gruppi che migliorano o peggiorano le loro condizioni, affondano letteralmente ogni cosa nell’oblio.

Nessun progresso, nessun arretramento sarà eterno­ nel corso della storia tuttavia, solo i Katundë meritano di essere sostenuti, seppure accompagnate a più riprese da crisi, anche devastanti, dove restano sempre pronte per essere attivati i noti governi delle donne: Gjitonia.

Ogni scelta allestita in ciascuna comunità è specifica, e dinamica, ma in nessun modo deve rivelarsi una fotocopia, di competizione, altrimenti diventa inevitabile e, per molti versi utile, anzi indispensabile studiare la storia sia del successo e sia quanto ha generato fallimento o perdita di senso storico. 

Tutte le vicende affrontate in queste pagine si sviluppano nelle esperienze e sulla pelle dei cittadini, tra chi può godere di una vita dignitosa, in contesti stimolanti, e chi patisce caos, violenze, discriminazione e povertà sociale, economica e culturale, in luoghi equipollenti.

Katundë è l’insieme composto da Natura, Uomo e Costruito, che assume il ruolo di culla di una specifica cultura, conserva e alleva generi, seguendo la rotta del diritto e la dignità della vita, in continuo rispetto della radice originaria.

La pri­ma condizione che qui si impone ai generi che vivono e proliferano sereni, è racchiusa nell’essere nato in un Katundë, seguendo regole e consuetudini di vita sotto la vigile attenzione del governo delle donne.

La fama e la reputazione di una Katundë, si fonda nei valori consuetudinari, che non offendono o valicano le attivata dei senatori sociali.

Sono decisive la visione e le capacita di go­verno locale che incidono e dipendono sulla partecipazione attiva dei suoi elettori e, anche un Katundë in declino può sempre rinascere per il ricambio consentito degli eletti debitamente allevati.

Anche un Katundë che culturalmente e socialmente perfetto, può eclissarsi quando dovesse imitare ­esempi, altrui che non hanno idonea guida o, capacità di stimolare e orientare a modo coerente, le eventuali innovazioni che se non corrette, si possono trasformare in pena diffusa dei suoi Katundarë.

Quante narrazioni accompagnano i modi di leggere e conoscere la storia di un Katundë e, questa esperien­za fornisce suggestioni, che hanno segnato in modo violento le persone coinvolte, le stesse che attendono da due decenni, riconoscimento e scuse.

Perché qui, ogni cosa è stata intesa non come storia da leggere, capire e interpretare, ma semplice spettacolo folcloristico che si trasforma e prende forma con nuove infrastrutture, che a ragion veduta non hanno nulla da sostenere se non se stesse e neanche o in grado di reggere i patti di promessa fatta sulla ribalta allestita, per illudere gli ignari sfortunati sfilanti in pena.

Dal Katundë che mobilita le attività sociali, storiche e produttive, si è passati a essere operatori che muovono le rotative delle industrie, senza che queste qui appaiono o abbiano mai avuto vita, se non la rievocazione di una vicinanza numerica depositata mel catasto, Citeriore.

In tutto si è passati da una capitale della coltura arbëreşë a un prodotto di residenze senza un futuro, lavoro e operosità dirsi voglia, il tutto poi divenuto evento da mostrare nella classifica storica dei grandi eventi dove l’uomo ha fallito e si è coperto di vergogna.

Una Olimpiadi o campionato sportivo, che avrebbe voluto puntare alla medaglia d’oro e, durante l’atto della competizione cade appena iniziato il gioco. 

Mentre l’originario Katundë intatto, che potrebbe acco­glie imprese, ricercatori, studenti, formatori capaci di dare ancora vita al Governo delle donne Arbëreşë, deve attendere in pena l’anno 2039, in tutto il termine di carcerazione dei ben pensati.

Sono gli stessi valori urbanistico che caratterizzano dal un punto di vista storico un Katundë, generalmente tessuto su tre assi, verosimilmente in direzione ovest/est, posti in solidale intreccio di rruhat, orientate in direzione nord-sud, a rendendo così possibile l’interazione tra abitanti di sociale paritario, qui sempre uniti e coesi.

Le fasce avevano e conservano ancora continuità di confronto e agio comune, attraverso questa rete viaria di misura e composta: da vie principali i plateiai, in direzione ovest/est componimento di, chiese e strade pubbliche all’interno di questo nucleo centrale; dall’altro le strade minori, gli stenopoi, gli ambiti viari per abitazioni di condizioni ristrette, come temperature, umidità o altre caratteristiche particolari di iunctura invalicabile, fatte di: Vichi, Case Archi, Strade chiuse e Orti Botanici..

Gli “stenopoi” divengono nel tempo riferimento di un’ecologia strettamente legata a un habitat preciso, cioè “specialisti” di un determinato ambiente più intimo, ristretto e fortemente coeso e mai in competizione dove trovava residenza, il noto governo delle donne.

Vero resta il principio secondo cui: “chi parte conserva e ricorda, chi rimane distrugge con la velleità di rinnovare” teorema che pone a confronto inscindibile, passato e presente, ovvero, la memoria di un luogo gelosamente conservata nel cuore e nella mente dagli incamminatisi e i restanti, colmi del desiderio, gestire senza ragione la propria terra d’origine, con intenti e iniziative di rinnovamento senza formazione che poi termina in cambiamenti anomali e inopportuni.

Vero è che in questo mondo che cambia diventano protagonisti midia e motori di ricerca, che mirano ad attirare flussi crescenti di liberi pensatori all’interno di numerosi Katundë dove si fatica a tenere in equilibrio nuove generazioni, a partire dai più giovani.

Secondo cui non esiste più un “Katundë ideale” ma solo, tessiture urbane che devono essere sporcate e stese al sole per essere innovative, attrattive e, colme di macchie anomale, quelli che dovrebbero essere recepiti come gli effetti benefici di garanzia.

Infatti, posto come eccellente il valore di quanti lasciano il loco del passato “coloro che partono” mantenendo vivo il ricordo e preservandolo, diversamente da “coloro che restano”, confermando nelle varie ere la diversità quotidiana, che consente o permette ad anomali strutturati locali di immettersi nel percorso evolutivo, decimando tutela e resilienza, a scapito del futuro che diviene sempre più libero arbitrio interpretativo del passato.

A contrapporsi a queta anomala deriva è il dato che esistono figure di eccellenza, le quali, pur se migrati dai paesi natii per acquisire o allargare il fronte culturale, mantengono i ritmi del cuore e della mente secondo il pensiero giovanile del proprio luogo natio e, pur se lontani per seguire la via della formazione, compilano e vivono le cose secondo i battiti primi di quei luoghi, che per il valore in essi custodito non saranno mai violati da alcun che.

Tra queste eccellenti figure spicca il letterato primo del mondo Arbëreşë, Pasquale Baffi, che da Terre di Sofia attraverso, l’Ullanese boscaglia, prese la via di Salerno, appoggiandosi ad Avellino, poi richiesto a Portici e, preteso dalla regina Maria Carolina d’Austria a Napoli, lui il letterato, fu protagonista inarrivabile di tutta la cultura Arbëreşë, scritta, raccontata, cantata, comunque solidamente sostenuta e, chi volesse essere avvolto da notizie, deve solo attendere che cambiano i ritmi e i tempi di esternare cose blasfeme lungo le vie della credenza Arbëreşë.

Dopo il Baffi vennero altri, ma oggi è pregnante l’ascesa dell’“Immortale”, che seguendo le stesse orme, rimane e resta, l’unica figura in grado di formulare concetti e cose radicate e appartenenti a questa popolazione, in tutto come intuì P. Baffi a Napoli dal 1771 al 1799.

Diversamente da chi restata o che torna nei Katundë velato di lodi, senza prospettiva alcuna e non diventeranno o potranno essere equiparati al “Baffi, il primo e solo letterato Arbëreşë” o “l’Immortale architetto Arbëreşë”.

In altre parole, chi si distacca e conserva la memoria, diversamente da chi resta o torna subito, per essere imbrigliato dalle necessità del comune dire o fare, conosce come affrontare agni sfida, secondo il processo di resilienza che mira al “valore dell’identità e la storia locale”.

Questo concetto potrebbe applicarsi a società, ambiti culturali, vita sociale, consuetudini, perché tutte seguono allo stesso modo il progresso, privandosi in loco di ogni qualsivoglia formazione e culturale, adeguata alla radice originaria. E troppo spesso, porta a perdere la parti significative di ciò che sono stati luogo, natura, credenza e uomini, di un ben identificato ambito costruito, che termina per essere vissuto progredendo in dissociata continuità storica.

Chi volesse aprire lumi o intraprendere percorsi storici, culturali linguistici, consuetudinari e il vernacolare del bisogno di tutti i Katundë arbëreşë, deve avere prioritariamente, conoscenza e coscienza del parlato, l’ascolto e il pensiero primo in lingua antica, escludendo a priori o “Albanisti Viandanti Moderni”, evitando di imitare, copiare o affermare gesta o dicta del tipo: da noi si dice o facciamo così!

Un vecchio saggio diceva ho tante cose da dire, ma non trovo nessuno pronto ad ascoltarmi; ebbene, i giovani in specie quanti non conoscono ancora da dove iniziare, si devono sedevo accanto a lui e ascoltarlo e quando lui sarà stanco, chiedere di riposare ascoltandovi a, pronunziare bene i racconti di fantasia in Arbëreşë, perché e il caso che sappiate che se non parlate bene, qualche viandante scambiandomi per dispersi, vi porterà, Shën Miterë dentro una delle cesta che portano gli asini, immaginando che quello e il vostro paese natio.

A tal proposito va ribadito che cogliere gli aspetti territoriali, inerenti; il centro antico, il centro storico, e tutti gli insiemi di iunctura familiare, comprese Gjitonie e la famiglia urbana moderna, tutti questi, non possono essere un tema di linguisti, e antropologi non parlanti di quanti non sono pronti all’ascolto in Arbëreşë.

Ma non solo, infatti, l’analisi di ogni cosa deve essere comparata e ricercata da persone formate e giuste, le stesse che germogliano solamente nell’attimo in cui nascono, pensano e poi parlano in Arbëreşë

Altrimenti è inutile comporre editi con atti notarili, ripetere capitoli, citare poesia, privi dei minimali aggettivi che rendono leggibile la complessità sostenibile dei catasti onciari o, realizzare vocabolari estesi e riversi della” Lingua Parlata in Arbëreşë che è strettamente essenziale”.

Si sentono dialogare draghi, abbaiare cani, ululare lupi e topi che rosicano formaggio, Mercanti che vendono polvere di spogliatura o, nevicare quando spunta il sole, ma nessuno di questi addetti è mai riuscito a compilare cose relative ai trascorsi storici e, in specie, inquadrare le dinamiche sociali che hanno reso possibile il costruito di questo Katundë.

Lo stesso dove è stato realizzato o, posto in essere, il miracolo sociale più solido e duraturo tra popoli all’interno del mediterraneo.

Si mirano avventurieri mediterranei e liberi pensatori locali, tutti figli, spose e madri della dalla politica o della filiera di prostrazione sociale, adoperatasi a fare “teoreti” esternando, oltremodo, concetti che nel migliore dei casi sono copiati senza alcun valore storico e, oltremodo riportati come cose fatti e uomini, secondo il concetto Materano: “La Gjitonia come il vicinato” articolata pure o, estrazione di numerazione sequenziale catastale, la stessa ripetuta nel moderno centro abitato, di loco “meno pericoloso”, almeno così dicevano le istituzioni sul palco e oggi le stesse che sono tutte scomparse.

Elogiare, al giorno d’oggi, esclusivamente disciplinati che studia l’essere umano sotto aspetti di pena culturale, secondo i quali il vagare i cerchi delle “libere fratrie llitirë”, è incutere ancora pene e, solo quei pochi che hanno lucida consapevolezza della deriva posta in essere, sanno di persone, fatti e cose che innescano, il riverbero della più penosa vergogna urbanistica Arbëreşë.

Esporre concetti paralleli alla “Storia delocativa del Katundë Arbëreşë” e non paragonarla alle vicende legate a Martirano e Martirano Lombardo, denota la volontà di velare penosi esiti, che attendono il sorgere del sole e della luna come un tempo era e, solo dopo il 2039 sarà.

Va comunque ribadito che tutto scaturisce, nell’aver ignorato costantemente per un ventennio e anche di più, eventi geologici innescati dalla sciattezza degli uomini, gli stessi che poi hanno determinano l’allerta abitativa e il progetto innovativo senza relazione storica, di conseguenza senza radice.

Oggi, il non riconoscere in prima istanza, le dinamiche che hanno restituito lo smottamento, ha potuto dare largo agio di approdo alla nuova dislocazione, priva di una reduce radice, quella che avrebbe consolidato lo smottamento o meglio il terremoto sociale di scivolamento della Mula.

Qui fu immaginato, eseguito e consolidato un gravissimo errore sociale, nel non aver scisso attività di genio e cose sociali, separando attività di operosità locale, come Bottari, Fabbri, Falegnami, Calzolai, Cantinieri e ogni sorta di attività, all’interno dell’insieme abitativo, quello indispensabile a sostenere rapporti economici e sociali connessi agli indispensabili cunei agrari e della produzione locale.

Annullando così o azzerando, sin anche il governo delle donne, inteso come mero vicinato di una improbabile tribù della Calabria Citeriore, paragonata, viste le prospettive innalzate, a carovane in continuo pellegrinare nelle distese sahariane, che non usano coppi per ventilare coperture, ma carene rovesciate o tetti piani per raccogliere acqua.

La stessa protagonista che per ironia, per essere lasciata o abbondonata al suo fare, ha prodotto il danno, tradotto e imputato a un improbabile drago.

Dal 2011 al 2014 è stata chiesta l’operato dell’”Immortale” per la difesa di questa pena sociale, imposto alla comunità arbëreşë e non solo, ed è stato sempre lui e solo a, diffendere con ragioni storiche il cattivo operato degli addetti politi e non solo, in quanto fratrie e ogni sorta di gruppo che qui trovava interessi si è visto tremare, a loro sì, anche il terreno sotto le poltrone labilmente occupate.

Sin anche l’artefice politico primo dell’epoca, informato di quella conferenza di servizio del 2014 terminò di fare, dire e proporre nuovi centri abitati, come soluzione ideale a eventi sismici.

La morale di queste piccole ma sostanziali e veritiere note, vogliono ribadire, promuovere e sancire che se un paese va tutelato sia esso Katundë, Borgo; Civitas, Hora, Casale, Contrada, Frazione o comunque gruppo di case autonomo, che creano un continuo sociale secolare.

Non può essere sostituito estromettendo il tempo trascorso, con opere nuove senza alcuna attinenza o condannati a emigrare, perché i ricorsi storici non possono essere ricostruiti dalla tecnologia moderne e neanche con gli strumenti che può fornire la globalizzazione, perché per quanto attuale, non ha forza per sostenere il valore di un luogo specifico, specie se fatto dagli Arbëreşë.

Sembra ieri che una collega, voleva condurre l’Immortale nella piana inesistente, e spiegare il senso di Gjitonia, naturalmente l’immortale, fu solidamente deciso ad evitare quel viaggio di pena, dato che chiesto se conoscesse il parlare e l’ascoltare in Arbëreşë, la sua perplessità palesata appena la domanda, rispondeva con il principio che le genti sono tutte uguali: si è vero, ma davanti a Dio, non per la Storia, rispondeva l’Immortale.

La stessa che nelle numerose conferenze di servizio allestite per la Valutazione di Impatto Ambientale, le stesse istituzioni non la ritenevano in grado o idonea di sedere al tavolo, dove l’immortale sedevo e metteva in difficoltà tutte le istituzioni che di difendevano con dati, pervenuti dai satelliti ignari della storia.

In oltre va rilevato che il prodotto finito non risponde a radici storiche del modello vernacolare o architettura del bisogno sviluppato dal XV secolo, rispettivamente secondo Katundë, Moticèlleth, Sheshi, Brègù e Nxertath, quest’ultima mai osservata per il nome di allerta, a titolo di merito storico.

Tuttavia il nuovo Paese con le Gjitonie, che “non è Katundë”, segue le linee generali o esigenze del periodo post industriale, quando “l’architettura razionale”, costruiva complessi residenziali, al solo fine di offrire un dormitorio a quanti dovevano mantenere viva, solidale e funzionale l’industria in crescita e, la forza lavoro doveva risiedere nelle immediate vicinanze, per non rallentare, sostare o dismettere il ciclo produttivo.

Il progetto di rinnovamento della” Piana Scomparsa”, è stata cattivamente interpretata, non essendoci a priori prodotta alcun documento storico per guida del progetto in tutte le sue fasi di protocollo, un foglio, un rigo una sillaba, finalizzata alla ricerca storica, che menzionasse il senso della pietra angolare non esiste e non è stata mai immaginata.

Considerando il sito, a modo o ragione estetica, secondo le teorie del “Lombroso”, per questo si è terminato con il protocollo delocativo, ripetendo anche qui le vicende che nel meridione hanno fatto storia.

Tutta la processione del nuovo sito ha seguito “la diagnosi dei protagonisti istituzionali”, meno l’immortale, che conosceva ogni cosa per citare gli avvenimenti equipollenti di Martirano del 1905 quando la popolazione dopo numerose promesse e vicissitudini del sito nominato “Martirano Lombardo”, tornò a risiedere nel centro antico originario di Martirano antica.

Se la “piana scomparsa”, doveva essere nel breve termine seguita dalla montagna,” come i vertici della geologia di stato anticipavano”; perché costruire allora, se ciò era o fosse stato vero, un nuovo paese nel posto “meno pericoloso” come da relazione geologica di stato e, quindi sempre e comunque esposto alle ire della natura, disponendo la popolazione e il loro industriale genio, tutto lungo quel pericoloso lavinaio che termina e porta ogni cosa nel corso del fiume Crati?

E se il fine era di non destabilizzare il precario equilibrio geologico di faglia antica, perché aggiungere al profilo della “Dea dormiente della Mula”, pale eoliche, i cui effetti non sono ad oggi, ritenuti al pari di venticinque case in frana oltretutto innescata dalla condotta dedicata al Frate Marco Abbaiato, debitamente ripristinata!

Non era meglio ricostruire o restaurare venticinque case invece che “Fare un Paese con Le Gjitonie” e, una zona industriale, in pari loco pure esso disposto lungo il versante “meno pericoloso”?

Questa a parere “dell’immortale”, è una storia nata male allestita peggio e ancora oggi vede i suoi abitanti in cerca di agio, condannati a pena perenne, lungo una deriva che non dovrà mai più ripetersi, né per nessun gruppo o etnia dirsi voglia e né per altre circostanze di agio politico lì in attesa di vicinato indigeno.

Questa esperienza, più è resa nota, meno si comprendono le ragioni veritiere e, con lo scorrere del tempo, sono, risultano essere le più velate, poco chiare, per il dato che, parlano i meno titolati o quanti hanno partecipato al guadagnano evento.

E per evitare che questa brutta deriva sia scambiato per un abbraccio sociale benevolo o caritatevole, è opportuno rendere noti tutti gli avvenimenti, niente e escluso, affinché la vicenda avuto germoglio e luogo diventi utile per quanti in questa era di globalizzazione moderna, immagina di rispondere a ogni emergenza, con i ferri che fanno l’intreccio anomalo del “dualismo politico o le ideologie di est e di ovest”, che non hanno mai fatto gli interessi della “Europa Antica”, che resta ed è il centro solido del mondo intero.

Oggi alla Regione Storica Diffusa e Sostenuta in Arbëreşë, non servono sortite di nuova carriera di lode accademica, ma figure di eccellenza come: Pasquale Baffi, il prelato e i Vescovi Bugliari, i Fratelli Giura, i Fratelli Torelli.

Crispi e l’Immortale; tutto il resto è solo una scia di noia, ripetuta riversa e riverberata, la stessa che non darà mai chiaro o limpido nettare in continuo fermento. 

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WELCOME, BIENVENIDO, BIENVENU, HUĀNYÍNG IN TERRE DI SOFIA (Mirëse na erdëtith nëdë deretë Arbëreşë)

Protetto: WELCOME, BIENVENIDO, BIENVENU, HUĀNYÍNG IN TERRE DI SOFIA (Mirëse na erdëtith nëdë deretë Arbëreşë)

Posted on 24 gennaio 2024 by admin

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LUGLIO 2003 OTTOBRE 2023 LA STAGIONE DI UN FALLIMENTO EPOCALE

LUGLIO 2003 OTTOBRE 2023 LA STAGIONE DI UN FALLIMENTO EPOCALE

Posted on 19 novembre 2023 by admin

36384154-albero-con-radici-isolateNAPOLI (Atanasio Pizzi Arch. Basile) – Era da poco iniziato quel luglio e passando davanti alla sala consiliare udivo esternazioni con titolo, Gjitonia a dir poco inesatte se non demenziali, e quanti le esternavano millantavano di essere la massima espressione colturale, religiosa, linguistica, amministrativa e di ricerca arbëreshë.

Tornato nella capitale di adozione , che mi alleva e mi sostiene culturalmente dal 17 gennaio del 1977, mi sono recato in diversi innalzati culturali, chiedendo conto di quelle  affermazioni della mia identità e, se da una parte ricevetti lumi irripetibili di cui vado fiero

Ci fu anche chi affermo: architetto questo è quanto abbiamo avuto in eredità dagli studiosi della storia di noi arbëreshë, e gli altri non centrano perché solo quanti hanno scritto in albanese conta,  esclusi gli altri che non sono neanche storia.

Spontanea fu la risposta: e Baffi, Scura, i Bugliari vescovi, Torelli, Gramsci, Crispi e Giura, quest’ultimo che diede vita a Leopardi? Mi fu risposto che non avevano scritto in albanese; la risata che mi venne dal cuore e dalla mente fu strepitosa e scenografica, dopo la quale sottolineai, ma voi siete istituzione antica, come potete fare queste affermazioni, se siete i preposti per la tutela della nostra storia, a servizio e per la tutela delle nuove generazioni.

E, mentre ciò accadeva decisi che una nuova metrica, o stato di fatto doveva nascere e così fu.

Tornato a casa iniziai a rileggere atti e nozioni, bibliografiche e archivistiche, già in mio possesso e, nel breve di meno di cinque anni mi ritrovai nei presidi della protezione civile, in difesa della frazione di Cavallerizzo, un paese storico della minoranza in fase demolizione.

Questa era ed è una frazione che per questioni di carattere idrogeologico, doveva essere delocalizzata, per problemi di faglia, secondo il teorema che fare un paese arbëreshë con le Gjitonia era di semplice di attuazione, infatti, bastava andare al catasto e rimettere le persone o meglio le case di proprietà un vicino all’altra.

Tutto questo, tralasciando sei secoli di storia e patimenti, senza neanche rendersi conto che le colline della mula calabrese, non sono piane desertiche algerine.

La mia china di ricercatore da allora non ha avuto tregua, neanche quando mi è stato chiesto come avessero brillato alcune figure che scrivevano e raccontavano, perché quando riferii delle correzioni, con la matita “BLU” che questi allievi senza titolo accademico e, se anche lo avevano perseguito era stato per anzianità, a lori affidato, per questo non erano proprio di limi nobili o titolati, per essere innalzati, giacche campanili senza campane.

La mia china è diventata più ripida, ma nulla mi spaventa, infatti una delle soddisfazioni che ho ricevuto con la difesa di Cavallerizzo, è stata di essere interpellato o meglio di aver lasciato un segno che ha portato le News Town a non essere più una priorità Italiana, perché la storia dei luoghi che si cela nel cuore e nella mente delle persone non va mai in ramengo.

Nonostante ciò, hanno preso il sopravvento manifestazioni gitane, che siccome organizzate da accademici, pensano che trasferirsi dai loro tuguri bui e senza prospettiva, in luoghi dove la cultura si semina ed è giardino florido si diventa sani.

I mugnai non possono pensare che annusare gli aromi della pizza margherita al forno a legna del golfo di Napoli, si possano illuminare e aprire le menti, niente di più sbagliato e nulla di più dannoso, se non si conosce la provenienza degli elementi che la rendono apparentemente genuina.

Tanti saggi si sono alternati per prendersi cura della minoranza Arbëreshë, al punto tale che ad oggi non esiste una legge che li tuteli, visto e considerato che la tanta esaltata legge del 1999, nume 489 non li contempla, infatti nell’art. 2 di questa specificamente tutela: popolazioni Albanesi, Catalane, Germaniche, Greche, Slovene e Croate e di quelle parlanti il Francese, il Franco-provenzale, il Friulano, il Ladino, l’Occitano e il Sardo.

A ben vedere questa legge non menziona gli Arbëreshë in nessun grado o valore, allo scopo, oggi sarebbe il caso di integrare la minoranza e tuteli anche quanti vivono la regione storica diffusa degli Arbëreshë.

A scopo raggiunto, magari integrando alla suddetta legge, le normative, emanate dall’articolo “Nove della Costituzione Italiana”, visto e considerata, la violenza perpetrata negli ambiti dei centri antichi, ormai presi a secchiate senza misura, non per protesta, ma incoerenza dei trascorsi storici.

Qui si possono osservare, restando a dir poco basiti, cosa si fa contro le cose storiche e nello specifico porte, finestre, intonaci profferli e tetti, come se l’ambiente e le prospettive dei centri antichi, siano luoghi dove indirizzare coloriture di modernità o apporre lapidei componimenti, in tutto, far rivoltare nelle tombe gli uomini illustri; quelli veri e, fermare la digestione di tutti gli altri .

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baffi

LA PROPRIETA’ CULTURALE RESTA SEMPRE FEDELE ALLO STORICO CHE L’HA CERCATA E RIFERITA (Tata thoj mosë thùà, ghjë ndëse nëgh ignegh)

Posted on 24 settembre 2023 by admin

baffi

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Arch. Basile) – I componimenti editi e diffusi, secondo promozioni culturali che lasciano il tempo che trovano, ad opera di figure locali senza confronto critico, diversamente colmi in elogi di non merito, si compilano non con lo scopo trarre conferme la nostra storia.

Prassi ormai consolidata, diffusa e nota con il metodo di riversare concetti precedenti, mai certificati, per questo, privi di ogni sorta di valenza di memoria, mantenendo il valore editoriale non oltre del mero compenso diffuso dai precedenti.

Un fenomeno che ha come scopo l’apparire nominalmente nella produzione editoriale o pubblici convegni, che definire “riverso di fatuo” è poco, consuetudine tramandata dal 1799 senza pausa, esaltando cosi improbabili studiosi o esponenti locali, i quali senza vergogna alcuna, millantano cose sottratte.

Una produzione di trascrizioni, vissute all’ombra del Vesuvio mai illuminato dagli studiosi, nei fatti mere fotocopie o trama illeggibile, dalla produzione editoriale che conta.

A tal proposito si vuole sottolineare una consuetudine antica, facente parte del trittico mediterraneo, dopo la pigiatura dell’uva, ed esattamente un mese dopo, era consuetudine travasare il vino, per eliminare il deposito “melmoso” formatosi sul fondo della botte, nel corso della chiarificazione del nettare.

Allo stesso modo gli editi, in modo equipollente, sperando di trovare consensi in regione storica, per la poca dedizione allo studio che qui si adopera, presentano cose per sentito dire per editi raffinati.

La deriva si è tanto espanda, dando vita a una nuova e pericolosa forma culturale per la diffusione degli impuri e scarni editi riportati, se a questa oggi sommiamo irragionevoli, incontri ben accolti nei centri oltre adriatico, dove ignari cultori scompigliati, si danno aria di sapienza accatastando refusi di multi pigiatura, ignorando editi, di Baffi, Giura Torelli e Bugliari.

A ben vedere, ogni componimento composto e pubblicato dopo il 1799, sino alla fine del secolo dell’anno dopo iniziato, lasciano a dir poco basti, visto il gran numero di false eccellenze che adoperava gli scritti in fotocopia per non far riconoscere chi realmente li avesse scritti.

A tal proposito se escludiamo i citati personaggi, il resto ha visto la produzione di fotocopie o residui melmosi del nettare travasato per fare cose senza senso.

Era il 1963 quando a Roma in una conferenza esponeva il teorema l’Archimandrita E. F. Fortino, riferendo del riversare le bottiglie di aceto con la speranza che diventasse buon vino.

Potremmo iniziare a trattare della Regione storica degli Arbëreshë fatta sulla base di migrazioni che variano a seconda del matematico di turno da sei a nove, con e senza costanti, come se si trattasse di una questione di aggiungere o sottrarre valore alla questione, legando fatti guerreschi a soprusi di forgiatura con necessità, di vivere del proprio lavoro, senza che alcun che negasse futuri.

Quindi migrazioni storiche, quelle legate alla politica alla religione e al principio di vivere liberi di produrre e difendere le proprie necessità identitarie o la propria credenza, fu un fatto determinante che si legge ancora oggi analizzando cartografie storiche e le dinastie che gestirono quelle terre, anche se a numerosi cultori dell’epica fuggiva in particolare il rivendicare i feudi Latini, Greci e Arbanon.

Il processo di ripopolare la penisola italiana si può affermare che si basa su tre date: La caduta di Costantinopoli (1453), la morte di Giorgio Castriota (1468) e la caduta di Corone (1532), confermata è un documento del 1647 del re d’Aragona e di Sicilia Giovanni II.

Il resto sono solo episodi di confronto in armi, per i quali e con i quali i gran ducati in necessità di eserciti, utilizzavano questi formidabili guerrieri, per terminare ribellioni e ogni genere di non sottomissione ducale o regia.

Motivo per il quale, una cosa sono i soldati mercenari e altra cosa sono i migranti, per necessità derivanti dagli attriti, delle terre ad est dell’adriatico l’accoglienza organizzata dal vaticano, i regnati partenopei e i dogi veneti.

Quello che appaiono evidenti sono le vicende storiche che hanno luogo nel meridione italiano, con protagonisti in specie, i facente parte l’ordine del drago o la crociata moderna, mai posta in essere da Giorgio Castriota, per la strana scomparsa del papa reggente.

La storia poi racconta di tutti questi attori primi, dei quali alcuni hanno mantenuto e altri con il passare del tempo rivisto le promesse o i patti stipulati dal 1453 al 1532.

Un dato resta inconfutabile e, nessuno comunemente può mettere parola, ovvero, tutte le terre su cui si stabilirono definitivamente gli esuli Arbanon, sono fuori dalle notoriamente segnate come Grecaniche, infatti dal Limitone, alle direttrici che definiscono il gran ducato di Calabria, non furono mai superate, e questo è un dato che fornisce due elementi fondamentali, secondo i quali si dovrebbe porre più attenzione e non limitarsi a definirli, mera comodità di approdo.

A questo punto si ritiene idoneo precisare il ventaglio che aprono le intelligenze artificiali e, constatare quanti sono i riferiti di fotocopia, specie nei convegni, che non hanno più solo il luogo circoscritto della piazza, il teatro, l’aula magna dei dipartimenti o i luoghi ameni, dove si è convinti di avere platea ingenua, perché il riverbero non termina li nel catino prescelto, in quanto, è molto più largo e indefinito.

A tal proposito è il caso di avere piena consapevolezza che l’usare espressioni altrui, specie di materie inedite, le stesse non contemplate nei protocolli dell’antichità come Urbanistica, Architettura, Casa, Chiesa, Costume l’utilizzi con espressioni vernacolari, ad oggi mai ritenute, a torto, patrimonio identitario, per questo ignote agli oratori comuni e di turno.

Motivo per il quale l’essere scoperti di non essere gli editori primi, diventa alquanto facile e non basta relegare fuori dal proprio assurdo orticello, di incultura gli illustri degli originali editi, in quanto una laurea per possederla devi averla sudata sul campo, non certo seduto a tramare in istituto contro i tuoi compagni di banco, perché solo con la costante dedizione di luogo studiato e, non basta scimmiottare i refusi dei colti, perché la proprietà culturale resta sempre fedele, a chi ha fatto sacrifici per illuminarla.

Comuni cultori, Guide, Amministratori e ogni forma umana o meccanica per la diffusione della stori degli Arbër, sappiate e tenete in conto che, c’è sempre uno che vi scopre e dice: questo concetto non è del Baffi Napoletano?

Commenti disabilitati su LA PROPRIETA’ CULTURALE RESTA SEMPRE FEDELE ALLO STORICO CHE L’HA CERCATA E RIFERITA (Tata thoj mosë thùà, ghjë ndëse nëgh ignegh)

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LA MACINA IN PIETRA DI CORONE E MOREA TRITURA IMPERTERRITA LE COSE ARBËR Burràthë cë nenghë nderognën me motinë

Posted on 08 luglio 2023 by admin

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NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Quando si leggono le variegate disertazioni che compongono la legge 482/99, la mente torna nelle vicende di memoria enunciate come “Questione Albanese”, le stesse che dalla fine de XIX agli inizi del XX secolo non trovano solidità.

Tuttavia a ben vedere, quelle anomalie sociali sono contemplate nel 1999 come esigenza da tutelare Albanese, disertando così volutamente, l’emergenza della Regione storica diffusa degli Arbër/n, i quali perché Italiani, sono stati lasciati scientemente fuori dalla tutela dei legislatori del 99 che non riportavano in alcun modo l’appellativo della Minoranza.

L’indistruttibile modello sociale, denominato Arbër/n, il codice fatto di cose materiali ed immateriali, unitariamente legate con un ben identificato lugo naturale, è stata preferita una mera Questione linguistica Albanese moderna.

Per conferma pregnante e definitiva non servono luminari o addetti specificamente preparati, in quanto tutto appare chiaro appena si darà seguito all’inerpicarsi della Salita della Sapienza, per recuperare e valorizzare, finalmente, l’irripetibile scrigno di cose uniche e preziose che non sono certo depositate in Albania.

Non è da Corone o da Morea che essi provenivano, come di solito si ode cantare. Perché, non sono altro che i natii delle colline dove passa la via“Egnatia”, semplici e durevoli generazioni che affidano la forza nei valori all’accoglienza e il conforto nei riguardi di quanti lì transitassero per recarsi nel palcoscenico delle Ragioni di Credenza.

La minoranza storica degli Arbër/n non è “Arberia” sinonimo di stato, per questo, l’appellativo che si addice esclusivamente a quanti oggi vivono la Nazione moderna dell’Albania, quella eretta e istituita dopo l’aver affrontato l’annosa Questione Albanese tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo e che solo da qualche tempo si è deciso di valorizzare a scapito degli Arbër/n.

Sono gli attori della “Regione storica diffusa Arbër/n”, la penisola più accogliente del mediterraneo perché italiani e, quindi liberi pensatori, che avrebbero dovuto essere tutelati e citati nella legge detta, perché sono essi gli unici a conservare valori antichi rispettosi delle terre e le genti della discendenza.

L’ Arbër/n non è un Albanese italianizzato, essi sono i portatori sani di un modello antico; sono in pochi ad avere la fortuna di ereditare, comprendere, proteggere, per poi riverberarlo i cinque sensi alle nuove generazioni con la stessa radice pura di sei secoli orsono senza che nessuno li piegasse ad altrui mire.

Si è iniziato con il numerare le migrazioni con bauli libri e costumi come se nelle emergenze più estreme le cose di valore non è la propria vita, ma, vestizioni femminili al cospetto degli altri,

Personalmente ritengo che chi fugge perché in pericolo, non porta altro, che il proprio corpo, il cuore vivo, la mente pieno di amore e ricordi; null’altro.

Chi fugge dalla disperazione non va per mari e per monti per disperdersi o nascondere la sua ragione, ma segue strade, sia per mare che per terra, solo qui poteva diffondere e segnare il tempo con la propria ragionevole esperienza, affinché non si ripetesse e coinvolgesse altri.

Gli Arbër/n, sono stati, per la loro posizione storica e geografica un popolo, sempre sottomesso e diretti da altri, infatti: Romani con l’Impero d’Oriente, Normanni, Serbi, Veneziani e Turchi senza respiro sono stati l’eterna fucina senza incudine e martello.

L’epopea di Giorgio Castriota fu uno sprazzo di vivida luce, che interruppe solo per breve tempo il ciclo uniforme della tradizionale sottomissione, tuttavia, grazie al solco da lui tracciato, gli Arbër/n ebbero modo di conservare le dritte cose.

Infatti il dominio straniero non ebbe efficacia di assimilazione o attecchito cose agli antichi abitanti delle terre oltre adriatico poste ad est, segnando la parte più esteriore dell’anima e del corpo, che senza soluzione di continuò allora come oggi, proteggere i sensi il cuore e della mente, denotando negli albanesi un valore figurativo esterno che denota la piega di fucina.

Diversante dalla completa fierezza esterna e interna, materiale e immateriale che contraddistingue degli irriducibili Arbër/n del modello Kanuniano, che costringevano i conquistatori a limitarsi alla semplice custodia, delle vie di transito e non certo diffusamente all’interno.

Storicamente, la supremazia straniera non si estese dunque all’intera Albania, che rimase, in massima parte, come una regione isolata nell’ordine politico e nell’ordine sociale.

In particolare, poi, il dominio ottomano ebbe molti riguardi per queste caparbie dinastie diversamente dalle altre genti balcaniche con atti di oppressione e repressione.

Entro l’Impero della mezzaluna Arbër/n non erano né grandi né ricchi, tuttavia il popolo, relativamente uniforme rimaneva permanentemente suddiviso da discordie interne, difendendosi con ogni avverso con l’uso dei codici identitari mai svelati.

Carattere, costumi, linguaggio, credenze, culto fiero dell’indipendenza, si presentavano come prerogative albanese, immutate e prolungate attraverso secoli.

Nondimeno, il consolidarsi di nazionalità spiccate e fortemente assimilatrici non poteva rimanere immune rispetto allo sviluppo politico e sociale soggetta al Turco più per dominio formale che effettivo.

Così, a nord l’orbita serba attirava misure montanare dei Gheghi, in parte stanziati anche nel Montenegro, Mirditi e Dibrani; a sud dal fiume Skumbi o Skumbini l’orbita ellenica, poté assicurarsi la supremazia dei Toschi alimentando divergenza di interessi tra i due poli e l’Albania centrale.

Una sorta di regione neutra tra due stirpi e, nel contempo debolezza diffusa per l’intero paese, protetta marginalmente da una cintura di ostacoli natura verso l’esterno.

Il Castriota fondò la sua opera politica grazie alla posizioni di Kruja , di Elbasan e di Berat, dalle quali tenne a soggezione l’alta Albania, Musakia, Acroceraunia, Tepeleni ed Argirocastro e grazie a questa posizione poté realizzare quel solco politico che oggi sfugge alle attenzioni delle istituzioni, nonostante il presidente Mattarello lo metteva in evidenza nel suo discorso a San Demetrio, appellando la regione storica diffusa degli Arbër/n il modello più longevo di accoglienza e integrazione mediterraneo.

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CatturaNapoli Adriano

PROGETTO: NAPOLI E LE SUE PROVINCE FUCINA DEGLI ARBËR

Posted on 27 giugno 2023 by admin

CatturaNapoli AdrianoNAPOLI (di Atanasio Pizzi Arch. Basile)

Progetto per la Regione Campania

    • Premessa

    La Campania come altre regioni ha accolto e dato seguito locale, alla legge nazionale in ambito di tutela delle minoranze storiche, nota come 482/99, secondo quanto disposto e, pubblicato nel Bollettino Ufficiale del 22 dicembre 2004 n. 63.

    La specifica applicazione ha trovato seguito in istituti e presidi civili e religiosi, in concertazione con le provincie, i comuni e luoghi dove le cose degli Arbëreshë, hanno trovato ambito per insediarsi e integrarsi.

    Le mire della Regione Campania, sono finalizzate a tutelare il patrimonio linguistico, storico e culturale del comune di Greci in provincia di Avellino, d’intesa con i presidi regionali preposti a divulgare, promuove e sostenere, l’inserimento della lingua, oltre a ricercare unitamente, gli effetti resi alla società in senso storico e culturale dell’operato arbëreshë.

    Valorizzare la memoria delle figure e le attività in seno al territorio regionale, hanno evidenziato questa eccellenza che dal punto di vista sociale e integrativo, risulta essere la più longeva del mediterraneo.

    La Regione, la Provincia e le Università della Campania concorrono tutte, con la comunità di Greci, all’istituzione, promozione, finanziando: biblioteche, attività multimediali, archivi documentali, i midia, i dati, con raccolta di materiali storici, folcloristici, artistici, linguistici e del Genius Loci Arbëreshë.

    Storiche eccellenze in diverse attività e momenti della storia della regione in senso generale, contribuendo alla valorizzazione, in senso generale della regione dal XVI secolo ad oggi.

    Lo scopo della legge regionale, punta a realizzare, premi letterari, artistici, iniziative e manifestazioni con finalità utile alla divulgazione di fatti di rilevanza con luogo Napoli e la Campania.

    La Legge regionale della Campania n. 63 del 22 dicembre 2004, ha trovato diversi momenti di applicazione in comune accordo con presidi universitari quali: l’Università Orientale, Federico Secondo, Suor Orsola Benincasa e l’Università di Salerno, aprendo nei diversi momenti di applicazione, le prospettive sempre più ampie di rilevare, l’utilità di studio comparato ben oltre il tema o esclusiva dell’idioma.

    Oggi a distanza di anni, e viste le nuove ricerche rivolte alla minoranza Arbëreshë, si vuole ulteriormente innalzare il Comune di Greci in quanto depositario dei momenti di eccellenza che hanno visto la Campania con protagonista il genio espresso in numerose discipline questo popolo di emigranti.

    A tal fine si propone n progetto che dia una misura o meglio una prospettiva più ampia l’insieme caratteristico e caratterizzante la minoranza, di quello che un tempo fu Regno di Napoli o delle due Sicilie, e oggi regione dell’Italia Unita.

    Vero è che a seguito dell’applicazione della legge, e trascorsi quasi due decenni, si vuole rilevare un dato inconfutabile mai posto compiutamente in essere, ovvero, i momenti di accoglienza, integrazione e cooperazione, in tutte le provincie della Campania degli arbëreshë, oggi ritenuto modello di accoglienza e integrazione, tra i più solidi del mediterraneo.

    Svelando ciò si dà anche merito alle cose buone realizzate in numerosi campi, generalmente attribuite quale merito dei regnati, o al momento storico, sminuendo generalmente il genio, la figura o l’uomo, che le ha immaginate, studiate e proposte, per diventare primato.

    • Introduzione

    Greci è un piccolo abitato in provincia di Avellino, allocato nei pressi di un antico tratturo che corre lungo la dorsale del fiume Cervaro, a ridosso delle paludi Sipontine, i Monti Dauni e l’Irpinia, menzionato dopo il 535, presumibilmente fondato, dal generale Belisario, per volere dell’imperatore di Costantinopoli, Giustiniano.

    La sua posizione di cerniera tra le regioni di Abruzzo, Puglia e Campania gli consentì di assumere un ruolo commerciale di rilevo nel corso della storica.

    Il 14 agosto del 1461, a seguito della gloriosa battaglia di Orsara, in località Terrastrutta, nelle vicinanze di Greci, il condottiero Giorgio Castriota, lasciò in quella zona diverse guarnigioni di albanesi a guardia dello strategico polo.

    L’insediamento degli albanofoni a Greci, non avvenne in tempi brevi giacché una vera e propria popolazione del piccolo agglomerato di case, ebbe modo di coagularsi tra il 1468, a seguito dell’accoglienza della famiglia del condottiero albanese a Napoli e poi dal 1533, (flussi migratori più consistenti e secondo un progetto di strategia predisposto secondo l’Ordine del Drago), iniziarono, cosi le vicende di confronto e integrazione con le genti indigene, garantita dal eguale rispetto per il territorio.

    Questi erano i tempi dell’Umanesimo, il fenomeno culturale germogliato appunto dal XIV secolo, secondo i canoni della riscoperta della cultura dell’antichità classica greco e romana, in tutto la capacità dell’uomo di agire nella vita civile e politica con la volontà di far rivivere, le virtù del mondo antico e, Greci, il Katundë degli Arbëreshë, su questi argomenti, aveva ben saldo nel suo costruito elementi per migliorarsi perché nata greca e ricostruita romana.

    A seguito di ciò, definiti i rapparti di scontro e confronto tra le genti indigene e i rifugiati della diaspora albanese, a fine seicento ha inizio l’illuminismo, ovvero, l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità in quanto stato generico, dell’incapacità di valersi del proprio intelletto, senza la guida di un altro.

    Questo naturalmente non per difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza decisionale in autonomia, altre parole il coraggio di far uso delle proprie forze intellettuali, senza essere guidati da altro, secondo il motto dell’Illuminismo che diventa:

    “Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!”

    Napoli per questo è stata meta principale di nuove leve pronte a definire e spargere il proprio genio senza però, dimenticare gli Studi nella città di Salerno, risalenti al secolo VIII d.C. ovvero, la “Scuola di Salerno “.

    Questa unica del suo genere si fondava sull’unione tra la tradizione Greco-latina e le nozioni acquisite grazie alle culture Araba ed Ebraica e, rappresenta un momento fondamentale nella storia della medicina, infatti introduce nel metodo l’impostazione della profilassi.

    L’approccio era basato fondamentalmente sulla pratica e sull’esperienza che ne derivava, aprendo così la strada alla cultura della prevenzione e della medicina empirica, la scuola comunque, oltre all’insegnamento della Medicina, impartiva anche insegnamenti di Filosofia, Teologia e Diritto.

    E è qui che si recò per conseguire il suo primo titolo accademico Pasquale Baffi, una volta espulso dal Collegio Corsine e, tra l’abazia di Cava dei Tirreni, l’Università di Salerno e nella sezione distaccata in Avelino dove insegnava, Greco e Latino, inizia la sua carriera senza eguali, come linguista e analista primo della lingua Arbanon, di cui la storia della minoranza proveniente dalle sponde dell’Adriatico, non ha ancora avuto occasione di acquisire consapevolezza, perché continuano da scoli a rimanere poco attenti.

    Dopo la parentesi negli antichi presidi culturali Salernitani, viene richiesto il suo apporto a dirigere il corso di Greco e di Latino nella Scuola Militare Nunziatella, che a quei tempi allocava i corsi della Marina a Portici e quelli Militari in Napoli, nel Castello di Ruggiero II, oggi presidio del giudice di pace, perché non ancora pronta la sede storica oggi nota per la formazione di ufficiali.

    Napoli dal periodo dell’illuminismo e senza soluzione di continuità ha allevato, un numero imprecisato di figure Arbëreshë e non solo, le quali per il loro lume e la dedizione che mettevano nelle cose in cui credevano, fecero brillare e affermarono il genio degli Arbanon, Arbërj o Kalabanon, in tutto il vecchio continente e oltre.

    Figure che dal punto di vista sociale, culturale, politico, intellettuale o in campo della scienza esatta, giuridico, e dell’uso del suolo comune, hanno depositato perle di saggezza ineguagliabili e, in molti casi hanno visto le province campane, meta scientifica per leggere e capire cose buone, le stesse poste in essere, per la salvaguardia e l’equilibrio geologico del territorio e in favore dell’uomo.

    • Progetto e Conclusioni

    Nasce qui l’esigenza di allestire un progetto supportato da un gruppo di lavoro con Associazioni (ACLI), Università, Istituzioni, tutte a garantire figure multidisciplinari, indispensabile unità di concertazione diretti da un referente capace di fornire nuova linfa interpretativa alla legge del 22 dicembre 2004 n. 63, raccogliendo catalogando, analizzando e studiando, dati fatti e cose, secondo una visione multi disciplinare moderna, che non si ferma al mero esperimento linguistico, ma che analizzi la radice delle cose, seguendo il tronco che unisce i vari rami, che germogliano e fanno quei fiori e frutti particolari: arbëreshë.

    Tutto questo al fine di e per compilare una mostra itinerante, in grado di esprimere luoghi e uomini secondo lo scorrere del tempo e senza prevaricazioni di sorta, ad iniziare da dalla terra madre degli Arbanon, poi Napoli seguendo le radici lungo gli oltre cento paesi di origine arbëreshë e terminare a Greci in Provincia di Avellino, dove in pianta stabile sarà allestito un edifico o polo di attrazione della storia degli Arbëreshë.

    I cui titoli seguiranno le vie dell’idioma, la consuetudine, gli ambiti attraversati per essere bonificati, i cunei agrari, il costruito i costumi, la casa e la credenza che uniscono i due termini adesso citati.

    La commissione in oltre avrà il compito di promuovere misure atte alla costituzione e la definizione della “Carta per la Tutela e Salvaguardia delle Minoranze Storiche”

    Tutto questo per evitare il susseguirsi di compilazioni a dir poco inesatte, di fatti, e cose materiali e immateriali dell’eccellenza impareggiabile, che dalla emanazione in avanti non dara più spazio a libere interpretazioni.

 

 

P.S. Il progetto è stato redatto dallo scrivente, per questo ogni utilizzo da parte di altri privati e/o associazioni senza consenso sottoscritto è sottoposto alle leggi del Copyrait, si adisce  secondo le normative di legge.

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