Posted on 24 gennaio 2024 by admin
Commenti disabilitati su Protetto: WELCOME, BIENVENIDO, BIENVENU, HUĀNYÍNG IN TERRE DI SOFIA (Mirëse na erdëtith nëdë deretë Arbëreşë)
Posted on 19 novembre 2023 by admin
NAPOLI (Atanasio Pizzi Arch. Basile) – Era da poco iniziato quel luglio e passando davanti alla sala consiliare udivo esternazioni con titolo, Gjitonia a dir poco inesatte se non demenziali, e quanti le esternavano millantavano di essere la massima espressione colturale, religiosa, linguistica, amministrativa e di ricerca arbëreshë.
Tornato nella capitale di adozione , che mi alleva e mi sostiene culturalmente dal 17 gennaio del 1977, mi sono recato in diversi innalzati culturali, chiedendo conto di quelle affermazioni della mia identità e, se da una parte ricevetti lumi irripetibili di cui vado fiero
Ci fu anche chi affermo: architetto questo è quanto abbiamo avuto in eredità dagli studiosi della storia di noi arbëreshë, e gli altri non centrano perché solo quanti hanno scritto in albanese conta, esclusi gli altri che non sono neanche storia.
Spontanea fu la risposta: e Baffi, Scura, i Bugliari vescovi, Torelli, Gramsci, Crispi e Giura, quest’ultimo che diede vita a Leopardi? Mi fu risposto che non avevano scritto in albanese; la risata che mi venne dal cuore e dalla mente fu strepitosa e scenografica, dopo la quale sottolineai, ma voi siete istituzione antica, come potete fare queste affermazioni, se siete i preposti per la tutela della nostra storia, a servizio e per la tutela delle nuove generazioni.
E, mentre ciò accadeva decisi che una nuova metrica, o stato di fatto doveva nascere e così fu.
Tornato a casa iniziai a rileggere atti e nozioni, bibliografiche e archivistiche, già in mio possesso e, nel breve di meno di cinque anni mi ritrovai nei presidi della protezione civile, in difesa della frazione di Cavallerizzo, un paese storico della minoranza in fase demolizione.
Questa era ed è una frazione che per questioni di carattere idrogeologico, doveva essere delocalizzata, per problemi di faglia, secondo il teorema che fare un paese arbëreshë con le Gjitonia era di semplice di attuazione, infatti, bastava andare al catasto e rimettere le persone o meglio le case di proprietà un vicino all’altra.
Tutto questo, tralasciando sei secoli di storia e patimenti, senza neanche rendersi conto che le colline della mula calabrese, non sono piane desertiche algerine.
La mia china di ricercatore da allora non ha avuto tregua, neanche quando mi è stato chiesto come avessero brillato alcune figure che scrivevano e raccontavano, perché quando riferii delle correzioni, con la matita “BLU” che questi allievi senza titolo accademico e, se anche lo avevano perseguito era stato per anzianità, a lori affidato, per questo non erano proprio di limi nobili o titolati, per essere innalzati, giacche campanili senza campane.
La mia china è diventata più ripida, ma nulla mi spaventa, infatti una delle soddisfazioni che ho ricevuto con la difesa di Cavallerizzo, è stata di essere interpellato o meglio di aver lasciato un segno che ha portato le News Town a non essere più una priorità Italiana, perché la storia dei luoghi che si cela nel cuore e nella mente delle persone non va mai in ramengo.
Nonostante ciò, hanno preso il sopravvento manifestazioni gitane, che siccome organizzate da accademici, pensano che trasferirsi dai loro tuguri bui e senza prospettiva, in luoghi dove la cultura si semina ed è giardino florido si diventa sani.
I mugnai non possono pensare che annusare gli aromi della pizza margherita al forno a legna del golfo di Napoli, si possano illuminare e aprire le menti, niente di più sbagliato e nulla di più dannoso, se non si conosce la provenienza degli elementi che la rendono apparentemente genuina.
Tanti saggi si sono alternati per prendersi cura della minoranza Arbëreshë, al punto tale che ad oggi non esiste una legge che li tuteli, visto e considerato che la tanta esaltata legge del 1999, nume 489 non li contempla, infatti nell’art. 2 di questa specificamente tutela: popolazioni Albanesi, Catalane, Germaniche, Greche, Slovene e Croate e di quelle parlanti il Francese, il Franco-provenzale, il Friulano, il Ladino, l’Occitano e il Sardo.
A ben vedere questa legge non menziona gli Arbëreshë in nessun grado o valore, allo scopo, oggi sarebbe il caso di integrare la minoranza e tuteli anche quanti vivono la regione storica diffusa degli Arbëreshë.
A scopo raggiunto, magari integrando alla suddetta legge, le normative, emanate dall’articolo “Nove della Costituzione Italiana”, visto e considerata, la violenza perpetrata negli ambiti dei centri antichi, ormai presi a secchiate senza misura, non per protesta, ma incoerenza dei trascorsi storici.
Qui si possono osservare, restando a dir poco basiti, cosa si fa contro le cose storiche e nello specifico porte, finestre, intonaci profferli e tetti, come se l’ambiente e le prospettive dei centri antichi, siano luoghi dove indirizzare coloriture di modernità o apporre lapidei componimenti, in tutto, far rivoltare nelle tombe gli uomini illustri; quelli veri e, fermare la digestione di tutti gli altri .
Commenti disabilitati su LUGLIO 2003 OTTOBRE 2023 LA STAGIONE DI UN FALLIMENTO EPOCALE
Posted on 24 settembre 2023 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi Arch. Basile) – I componimenti editi e diffusi, secondo promozioni culturali che lasciano il tempo che trovano, ad opera di figure locali senza confronto critico, diversamente colmi in elogi di non merito, si compilano non con lo scopo trarre conferme la nostra storia.
Prassi ormai consolidata, diffusa e nota con il metodo di riversare concetti precedenti, mai certificati, per questo, privi di ogni sorta di valenza di memoria, mantenendo il valore editoriale non oltre del mero compenso diffuso dai precedenti.
Un fenomeno che ha come scopo l’apparire nominalmente nella produzione editoriale o pubblici convegni, che definire “riverso di fatuo” è poco, consuetudine tramandata dal 1799 senza pausa, esaltando cosi improbabili studiosi o esponenti locali, i quali senza vergogna alcuna, millantano cose sottratte.
Una produzione di trascrizioni, vissute all’ombra del Vesuvio mai illuminato dagli studiosi, nei fatti mere fotocopie o trama illeggibile, dalla produzione editoriale che conta.
A tal proposito si vuole sottolineare una consuetudine antica, facente parte del trittico mediterraneo, dopo la pigiatura dell’uva, ed esattamente un mese dopo, era consuetudine travasare il vino, per eliminare il deposito “melmoso” formatosi sul fondo della botte, nel corso della chiarificazione del nettare.
Allo stesso modo gli editi, in modo equipollente, sperando di trovare consensi in regione storica, per la poca dedizione allo studio che qui si adopera, presentano cose per sentito dire per editi raffinati.
La deriva si è tanto espanda, dando vita a una nuova e pericolosa forma culturale per la diffusione degli impuri e scarni editi riportati, se a questa oggi sommiamo irragionevoli, incontri ben accolti nei centri oltre adriatico, dove ignari cultori scompigliati, si danno aria di sapienza accatastando refusi di multi pigiatura, ignorando editi, di Baffi, Giura Torelli e Bugliari.
A ben vedere, ogni componimento composto e pubblicato dopo il 1799, sino alla fine del secolo dell’anno dopo iniziato, lasciano a dir poco basti, visto il gran numero di false eccellenze che adoperava gli scritti in fotocopia per non far riconoscere chi realmente li avesse scritti.
A tal proposito se escludiamo i citati personaggi, il resto ha visto la produzione di fotocopie o residui melmosi del nettare travasato per fare cose senza senso.
Era il 1963 quando a Roma in una conferenza esponeva il teorema l’Archimandrita E. F. Fortino, riferendo del riversare le bottiglie di aceto con la speranza che diventasse buon vino.
Potremmo iniziare a trattare della Regione storica degli Arbëreshë fatta sulla base di migrazioni che variano a seconda del matematico di turno da sei a nove, con e senza costanti, come se si trattasse di una questione di aggiungere o sottrarre valore alla questione, legando fatti guerreschi a soprusi di forgiatura con necessità, di vivere del proprio lavoro, senza che alcun che negasse futuri.
Quindi migrazioni storiche, quelle legate alla politica alla religione e al principio di vivere liberi di produrre e difendere le proprie necessità identitarie o la propria credenza, fu un fatto determinante che si legge ancora oggi analizzando cartografie storiche e le dinastie che gestirono quelle terre, anche se a numerosi cultori dell’epica fuggiva in particolare il rivendicare i feudi Latini, Greci e Arbanon.
Il processo di ripopolare la penisola italiana si può affermare che si basa su tre date: La caduta di Costantinopoli (1453), la morte di Giorgio Castriota (1468) e la caduta di Corone (1532), confermata è un documento del 1647 del re d’Aragona e di Sicilia Giovanni II.
Il resto sono solo episodi di confronto in armi, per i quali e con i quali i gran ducati in necessità di eserciti, utilizzavano questi formidabili guerrieri, per terminare ribellioni e ogni genere di non sottomissione ducale o regia.
Motivo per il quale, una cosa sono i soldati mercenari e altra cosa sono i migranti, per necessità derivanti dagli attriti, delle terre ad est dell’adriatico l’accoglienza organizzata dal vaticano, i regnati partenopei e i dogi veneti.
Quello che appaiono evidenti sono le vicende storiche che hanno luogo nel meridione italiano, con protagonisti in specie, i facente parte l’ordine del drago o la crociata moderna, mai posta in essere da Giorgio Castriota, per la strana scomparsa del papa reggente.
La storia poi racconta di tutti questi attori primi, dei quali alcuni hanno mantenuto e altri con il passare del tempo rivisto le promesse o i patti stipulati dal 1453 al 1532.
Un dato resta inconfutabile e, nessuno comunemente può mettere parola, ovvero, tutte le terre su cui si stabilirono definitivamente gli esuli Arbanon, sono fuori dalle notoriamente segnate come Grecaniche, infatti dal Limitone, alle direttrici che definiscono il gran ducato di Calabria, non furono mai superate, e questo è un dato che fornisce due elementi fondamentali, secondo i quali si dovrebbe porre più attenzione e non limitarsi a definirli, mera comodità di approdo.
A questo punto si ritiene idoneo precisare il ventaglio che aprono le intelligenze artificiali e, constatare quanti sono i riferiti di fotocopia, specie nei convegni, che non hanno più solo il luogo circoscritto della piazza, il teatro, l’aula magna dei dipartimenti o i luoghi ameni, dove si è convinti di avere platea ingenua, perché il riverbero non termina li nel catino prescelto, in quanto, è molto più largo e indefinito.
A tal proposito è il caso di avere piena consapevolezza che l’usare espressioni altrui, specie di materie inedite, le stesse non contemplate nei protocolli dell’antichità come Urbanistica, Architettura, Casa, Chiesa, Costume l’utilizzi con espressioni vernacolari, ad oggi mai ritenute, a torto, patrimonio identitario, per questo ignote agli oratori comuni e di turno.
Motivo per il quale l’essere scoperti di non essere gli editori primi, diventa alquanto facile e non basta relegare fuori dal proprio assurdo orticello, di incultura gli illustri degli originali editi, in quanto una laurea per possederla devi averla sudata sul campo, non certo seduto a tramare in istituto contro i tuoi compagni di banco, perché solo con la costante dedizione di luogo studiato e, non basta scimmiottare i refusi dei colti, perché la proprietà culturale resta sempre fedele, a chi ha fatto sacrifici per illuminarla.
Comuni cultori, Guide, Amministratori e ogni forma umana o meccanica per la diffusione della stori degli Arbër, sappiate e tenete in conto che, c’è sempre uno che vi scopre e dice: questo concetto non è del Baffi Napoletano?
Commenti disabilitati su LA PROPRIETA’ CULTURALE RESTA SEMPRE FEDELE ALLO STORICO CHE L’HA CERCATA E RIFERITA (Tata thoj mosë thùà, ghjë ndëse nëgh ignegh)
Posted on 08 luglio 2023 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Quando si leggono le variegate disertazioni che compongono la legge 482/99, la mente torna nelle vicende di memoria enunciate come “Questione Albanese”, le stesse che dalla fine de XIX agli inizi del XX secolo non trovano solidità.
Tuttavia a ben vedere, quelle anomalie sociali sono contemplate nel 1999 come esigenza da tutelare Albanese, disertando così volutamente, l’emergenza della Regione storica diffusa degli Arbër/n, i quali perché Italiani, sono stati lasciati scientemente fuori dalla tutela dei legislatori del 99 che non riportavano in alcun modo l’appellativo della Minoranza.
L’indistruttibile modello sociale, denominato Arbër/n, il codice fatto di cose materiali ed immateriali, unitariamente legate con un ben identificato lugo naturale, è stata preferita una mera Questione linguistica Albanese moderna.
Per conferma pregnante e definitiva non servono luminari o addetti specificamente preparati, in quanto tutto appare chiaro appena si darà seguito all’inerpicarsi della Salita della Sapienza, per recuperare e valorizzare, finalmente, l’irripetibile scrigno di cose uniche e preziose che non sono certo depositate in Albania.
Non è da Corone o da Morea che essi provenivano, come di solito si ode cantare. Perché, non sono altro che i natii delle colline dove passa la via“Egnatia”, semplici e durevoli generazioni che affidano la forza nei valori all’accoglienza e il conforto nei riguardi di quanti lì transitassero per recarsi nel palcoscenico delle Ragioni di Credenza.
La minoranza storica degli Arbër/n non è “Arberia” sinonimo di stato, per questo, l’appellativo che si addice esclusivamente a quanti oggi vivono la Nazione moderna dell’Albania, quella eretta e istituita dopo l’aver affrontato l’annosa Questione Albanese tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo e che solo da qualche tempo si è deciso di valorizzare a scapito degli Arbër/n.
Sono gli attori della “Regione storica diffusa Arbër/n”, la penisola più accogliente del mediterraneo perché italiani e, quindi liberi pensatori, che avrebbero dovuto essere tutelati e citati nella legge detta, perché sono essi gli unici a conservare valori antichi rispettosi delle terre e le genti della discendenza.
L’ Arbër/n non è un Albanese italianizzato, essi sono i portatori sani di un modello antico; sono in pochi ad avere la fortuna di ereditare, comprendere, proteggere, per poi riverberarlo i cinque sensi alle nuove generazioni con la stessa radice pura di sei secoli orsono senza che nessuno li piegasse ad altrui mire.
Si è iniziato con il numerare le migrazioni con bauli libri e costumi come se nelle emergenze più estreme le cose di valore non è la propria vita, ma, vestizioni femminili al cospetto degli altri,
Personalmente ritengo che chi fugge perché in pericolo, non porta altro, che il proprio corpo, il cuore vivo, la mente pieno di amore e ricordi; null’altro.
Chi fugge dalla disperazione non va per mari e per monti per disperdersi o nascondere la sua ragione, ma segue strade, sia per mare che per terra, solo qui poteva diffondere e segnare il tempo con la propria ragionevole esperienza, affinché non si ripetesse e coinvolgesse altri.
Gli Arbër/n, sono stati, per la loro posizione storica e geografica un popolo, sempre sottomesso e diretti da altri, infatti: Romani con l’Impero d’Oriente, Normanni, Serbi, Veneziani e Turchi senza respiro sono stati l’eterna fucina senza incudine e martello.
L’epopea di Giorgio Castriota fu uno sprazzo di vivida luce, che interruppe solo per breve tempo il ciclo uniforme della tradizionale sottomissione, tuttavia, grazie al solco da lui tracciato, gli Arbër/n ebbero modo di conservare le dritte cose.
Infatti il dominio straniero non ebbe efficacia di assimilazione o attecchito cose agli antichi abitanti delle terre oltre adriatico poste ad est, segnando la parte più esteriore dell’anima e del corpo, che senza soluzione di continuò allora come oggi, proteggere i sensi il cuore e della mente, denotando negli albanesi un valore figurativo esterno che denota la piega di fucina.
Diversante dalla completa fierezza esterna e interna, materiale e immateriale che contraddistingue degli irriducibili Arbër/n del modello Kanuniano, che costringevano i conquistatori a limitarsi alla semplice custodia, delle vie di transito e non certo diffusamente all’interno.
Storicamente, la supremazia straniera non si estese dunque all’intera Albania, che rimase, in massima parte, come una regione isolata nell’ordine politico e nell’ordine sociale.
In particolare, poi, il dominio ottomano ebbe molti riguardi per queste caparbie dinastie diversamente dalle altre genti balcaniche con atti di oppressione e repressione.
Entro l’Impero della mezzaluna Arbër/n non erano né grandi né ricchi, tuttavia il popolo, relativamente uniforme rimaneva permanentemente suddiviso da discordie interne, difendendosi con ogni avverso con l’uso dei codici identitari mai svelati.
Carattere, costumi, linguaggio, credenze, culto fiero dell’indipendenza, si presentavano come prerogative albanese, immutate e prolungate attraverso secoli.
Nondimeno, il consolidarsi di nazionalità spiccate e fortemente assimilatrici non poteva rimanere immune rispetto allo sviluppo politico e sociale soggetta al Turco più per dominio formale che effettivo.
Così, a nord l’orbita serba attirava misure montanare dei Gheghi, in parte stanziati anche nel Montenegro, Mirditi e Dibrani; a sud dal fiume Skumbi o Skumbini l’orbita ellenica, poté assicurarsi la supremazia dei Toschi alimentando divergenza di interessi tra i due poli e l’Albania centrale.
Una sorta di regione neutra tra due stirpi e, nel contempo debolezza diffusa per l’intero paese, protetta marginalmente da una cintura di ostacoli natura verso l’esterno.
Il Castriota fondò la sua opera politica grazie alla posizioni di Kruja , di Elbasan e di Berat, dalle quali tenne a soggezione l’alta Albania, Musakia, Acroceraunia, Tepeleni ed Argirocastro e grazie a questa posizione poté realizzare quel solco politico che oggi sfugge alle attenzioni delle istituzioni, nonostante il presidente Mattarello lo metteva in evidenza nel suo discorso a San Demetrio, appellando la regione storica diffusa degli Arbër/n il modello più longevo di accoglienza e integrazione mediterraneo.
Posted on 27 giugno 2023 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi Arch. Basile)
Progetto per la Regione Campania
La Campania come altre regioni ha accolto e dato seguito locale, alla legge nazionale in ambito di tutela delle minoranze storiche, nota come 482/99, secondo quanto disposto e, pubblicato nel Bollettino Ufficiale del 22 dicembre 2004 n. 63.
La specifica applicazione ha trovato seguito in istituti e presidi civili e religiosi, in concertazione con le provincie, i comuni e luoghi dove le cose degli Arbëreshë, hanno trovato ambito per insediarsi e integrarsi.
Le mire della Regione Campania, sono finalizzate a tutelare il patrimonio linguistico, storico e culturale del comune di Greci in provincia di Avellino, d’intesa con i presidi regionali preposti a divulgare, promuove e sostenere, l’inserimento della lingua, oltre a ricercare unitamente, gli effetti resi alla società in senso storico e culturale dell’operato arbëreshë.
Valorizzare la memoria delle figure e le attività in seno al territorio regionale, hanno evidenziato questa eccellenza che dal punto di vista sociale e integrativo, risulta essere la più longeva del mediterraneo.
La Regione, la Provincia e le Università della Campania concorrono tutte, con la comunità di Greci, all’istituzione, promozione, finanziando: biblioteche, attività multimediali, archivi documentali, i midia, i dati, con raccolta di materiali storici, folcloristici, artistici, linguistici e del Genius Loci Arbëreshë.
Storiche eccellenze in diverse attività e momenti della storia della regione in senso generale, contribuendo alla valorizzazione, in senso generale della regione dal XVI secolo ad oggi.
Lo scopo della legge regionale, punta a realizzare, premi letterari, artistici, iniziative e manifestazioni con finalità utile alla divulgazione di fatti di rilevanza con luogo Napoli e la Campania.
La Legge regionale della Campania n. 63 del 22 dicembre 2004, ha trovato diversi momenti di applicazione in comune accordo con presidi universitari quali: l’Università Orientale, Federico Secondo, Suor Orsola Benincasa e l’Università di Salerno, aprendo nei diversi momenti di applicazione, le prospettive sempre più ampie di rilevare, l’utilità di studio comparato ben oltre il tema o esclusiva dell’idioma.
Oggi a distanza di anni, e viste le nuove ricerche rivolte alla minoranza Arbëreshë, si vuole ulteriormente innalzare il Comune di Greci in quanto depositario dei momenti di eccellenza che hanno visto la Campania con protagonista il genio espresso in numerose discipline questo popolo di emigranti.
A tal fine si propone n progetto che dia una misura o meglio una prospettiva più ampia l’insieme caratteristico e caratterizzante la minoranza, di quello che un tempo fu Regno di Napoli o delle due Sicilie, e oggi regione dell’Italia Unita.
Vero è che a seguito dell’applicazione della legge, e trascorsi quasi due decenni, si vuole rilevare un dato inconfutabile mai posto compiutamente in essere, ovvero, i momenti di accoglienza, integrazione e cooperazione, in tutte le provincie della Campania degli arbëreshë, oggi ritenuto modello di accoglienza e integrazione, tra i più solidi del mediterraneo.
Svelando ciò si dà anche merito alle cose buone realizzate in numerosi campi, generalmente attribuite quale merito dei regnati, o al momento storico, sminuendo generalmente il genio, la figura o l’uomo, che le ha immaginate, studiate e proposte, per diventare primato.
Greci è un piccolo abitato in provincia di Avellino, allocato nei pressi di un antico tratturo che corre lungo la dorsale del fiume Cervaro, a ridosso delle paludi Sipontine, i Monti Dauni e l’Irpinia, menzionato dopo il 535, presumibilmente fondato, dal generale Belisario, per volere dell’imperatore di Costantinopoli, Giustiniano.
La sua posizione di cerniera tra le regioni di Abruzzo, Puglia e Campania gli consentì di assumere un ruolo commerciale di rilevo nel corso della storica.
Il 14 agosto del 1461, a seguito della gloriosa battaglia di Orsara, in località Terrastrutta, nelle vicinanze di Greci, il condottiero Giorgio Castriota, lasciò in quella zona diverse guarnigioni di albanesi a guardia dello strategico polo.
L’insediamento degli albanofoni a Greci, non avvenne in tempi brevi giacché una vera e propria popolazione del piccolo agglomerato di case, ebbe modo di coagularsi tra il 1468, a seguito dell’accoglienza della famiglia del condottiero albanese a Napoli e poi dal 1533, (flussi migratori più consistenti e secondo un progetto di strategia predisposto secondo l’Ordine del Drago), iniziarono, cosi le vicende di confronto e integrazione con le genti indigene, garantita dal eguale rispetto per il territorio.
Questi erano i tempi dell’Umanesimo, il fenomeno culturale germogliato appunto dal XIV secolo, secondo i canoni della riscoperta della cultura dell’antichità classica greco e romana, in tutto la capacità dell’uomo di agire nella vita civile e politica con la volontà di far rivivere, le virtù del mondo antico e, Greci, il Katundë degli Arbëreshë, su questi argomenti, aveva ben saldo nel suo costruito elementi per migliorarsi perché nata greca e ricostruita romana.
A seguito di ciò, definiti i rapparti di scontro e confronto tra le genti indigene e i rifugiati della diaspora albanese, a fine seicento ha inizio l’illuminismo, ovvero, l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità in quanto stato generico, dell’incapacità di valersi del proprio intelletto, senza la guida di un altro.
Questo naturalmente non per difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza decisionale in autonomia, altre parole il coraggio di far uso delle proprie forze intellettuali, senza essere guidati da altro, secondo il motto dell’Illuminismo che diventa:
“Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!”
Napoli per questo è stata meta principale di nuove leve pronte a definire e spargere il proprio genio senza però, dimenticare gli Studi nella città di Salerno, risalenti al secolo VIII d.C. ovvero, la “Scuola di Salerno “.
Questa unica del suo genere si fondava sull’unione tra la tradizione Greco-latina e le nozioni acquisite grazie alle culture Araba ed Ebraica e, rappresenta un momento fondamentale nella storia della medicina, infatti introduce nel metodo l’impostazione della profilassi.
L’approccio era basato fondamentalmente sulla pratica e sull’esperienza che ne derivava, aprendo così la strada alla cultura della prevenzione e della medicina empirica, la scuola comunque, oltre all’insegnamento della Medicina, impartiva anche insegnamenti di Filosofia, Teologia e Diritto.
E è qui che si recò per conseguire il suo primo titolo accademico Pasquale Baffi, una volta espulso dal Collegio Corsine e, tra l’abazia di Cava dei Tirreni, l’Università di Salerno e nella sezione distaccata in Avelino dove insegnava, Greco e Latino, inizia la sua carriera senza eguali, come linguista e analista primo della lingua Arbanon, di cui la storia della minoranza proveniente dalle sponde dell’Adriatico, non ha ancora avuto occasione di acquisire consapevolezza, perché continuano da scoli a rimanere poco attenti.
Dopo la parentesi negli antichi presidi culturali Salernitani, viene richiesto il suo apporto a dirigere il corso di Greco e di Latino nella Scuola Militare Nunziatella, che a quei tempi allocava i corsi della Marina a Portici e quelli Militari in Napoli, nel Castello di Ruggiero II, oggi presidio del giudice di pace, perché non ancora pronta la sede storica oggi nota per la formazione di ufficiali.
Napoli dal periodo dell’illuminismo e senza soluzione di continuità ha allevato, un numero imprecisato di figure Arbëreshë e non solo, le quali per il loro lume e la dedizione che mettevano nelle cose in cui credevano, fecero brillare e affermarono il genio degli Arbanon, Arbërj o Kalabanon, in tutto il vecchio continente e oltre.
Figure che dal punto di vista sociale, culturale, politico, intellettuale o in campo della scienza esatta, giuridico, e dell’uso del suolo comune, hanno depositato perle di saggezza ineguagliabili e, in molti casi hanno visto le province campane, meta scientifica per leggere e capire cose buone, le stesse poste in essere, per la salvaguardia e l’equilibrio geologico del territorio e in favore dell’uomo.
Nasce qui l’esigenza di allestire un progetto supportato da un gruppo di lavoro con Associazioni (ACLI), Università, Istituzioni, tutte a garantire figure multidisciplinari, indispensabile unità di concertazione diretti da un referente capace di fornire nuova linfa interpretativa alla legge del 22 dicembre 2004 n. 63, raccogliendo catalogando, analizzando e studiando, dati fatti e cose, secondo una visione multi disciplinare moderna, che non si ferma al mero esperimento linguistico, ma che analizzi la radice delle cose, seguendo il tronco che unisce i vari rami, che germogliano e fanno quei fiori e frutti particolari: arbëreshë.
Tutto questo al fine di e per compilare una mostra itinerante, in grado di esprimere luoghi e uomini secondo lo scorrere del tempo e senza prevaricazioni di sorta, ad iniziare da dalla terra madre degli Arbanon, poi Napoli seguendo le radici lungo gli oltre cento paesi di origine arbëreshë e terminare a Greci in Provincia di Avellino, dove in pianta stabile sarà allestito un edifico o polo di attrazione della storia degli Arbëreshë.
I cui titoli seguiranno le vie dell’idioma, la consuetudine, gli ambiti attraversati per essere bonificati, i cunei agrari, il costruito i costumi, la casa e la credenza che uniscono i due termini adesso citati.
La commissione in oltre avrà il compito di promuovere misure atte alla costituzione e la definizione della “Carta per la Tutela e Salvaguardia delle Minoranze Storiche”
Tutto questo per evitare il susseguirsi di compilazioni a dir poco inesatte, di fatti, e cose materiali e immateriali dell’eccellenza impareggiabile, che dalla emanazione in avanti non dara più spazio a libere interpretazioni.
P.S. Il progetto è stato redatto dallo scrivente, per questo ogni utilizzo da parte di altri privati e/o associazioni senza consenso sottoscritto è sottoposto alle leggi del Copyrait, si adisce secondo le normative di legge.
Posted on 01 giugno 2023 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – In Italiano/Skip
-PROGETTO RICORSI MEDITERRANEI: LA REGIONE STORICA DIFFUSA DEGLI ARBËR-
-Piani d’indagine: cose, fatti, presidi, uomini e finalità-
1 Introduzione;
2 La via Egnazia e le stazioni di sosta;
3 Scanderbeg; la lungimirante strategica diaspora;
4 Capitoli e Onciari
5 Il fuoco la casa, il cortile e l’orto botanico;
6 I vocaboli che uniscono Arbër e Albanesi;
7 Il centro Antico della Napoli purpignera di Valori Arber a confronto con il centro storico di Tirana;
8 L’Orientale di Napoli prima Università di lingua Arbër d’Europa: nata “Collegio dei Cinesi”;
9 Conclusioni e attività per il buon esito del progetto;
1 -Introduzione –
L’Adriatico assieme all’alto Jonio e il Tirreno sono mari le cui caratteristiche geografiche si configurano come un golfo allungato dove si insinuano le terre peninsulare e, nello specifico le più estreme dell’Italia meridionale.
È qui che la storia focalizza gli sviluppi culturali più espressivi per i quali l’insieme assume il ruolo di sintesi, del più esteso, Mediterraneo.
La naturale configurazione, rende il “golfo Adriatico-Jonë”, una risorsa mediterranea, di cui hanno beneficiato i regnanti che gestivano le terre prospicienti; veste complementare rispetto alle grandi rotte, distinguendosi come protagonista nella navigazione costiera unilateralmente, per le configurazioni delle sponde.
L’invaso, prevalentemente di forma allungata, assumere più la caratteristica fluviale, che unisce due sponde, diversamente di come notoriamente è dei mari che separano lunghe distanze.
Il bacino, dalla punta ionica della puglia, sino alla laguna veneta, diventa protagonista nelle vicende che segnarono la storia di relazioni fra i popoli che in esso affacciano, tra queste, il regno di Napoli, con la capitale medesima e le terre dei governariati d’Albania con Tirana Capitale.
All’interno di questo golfo allungato nasce la navigazione, senza rischi e per questo ha da sempre assunto il ruolo di ponte per il dialogo civile e confronto tra i popoli che vivono le sue sponde.
Il suo utilizzo in forma di navigazione, per questo si può definire, allo steso modo di un cammino lento, i cui tempi sono paragonabili alla risalita di chine collinari.
Questo lento camminamento marittimo, si pone alla stessa stregua di quanti si trovarono con lentezza a superare valli, canaloni e colline, per giungere nei parallelismi territoriali su cui insediarsi grazie a intese politiche, culturali e religiosi tipici delle popolazioni prospicienti vivere in comune condivisione.
Le condizioni geografiche sono dunque l’elemento fondamentale per spiegare le vicende storico/culturali del mondo adriatico/jonico, che svolse essenzialmente una funzione di tramite.
L’Adriatico, anche rispetto al cruciale problema storico della suddivisione tra Impero d’Oriente e Impero d’Occidente e la relativa opposizione tra «latinità» «grecità» e «alessandrino», che interessò tutti gli ambiti, da quello politico a quello linguistico, religioso e culturale, ebbe una posizione particolare.
La divisione interessò, sostanzialmente solo il basso Adriatico, mentre, la parte compresa tra le due sponde fino al confine meridionale della Dalmazia rimase sotto l’influenza occidentale.
Le ragioni che hanno permesso il reciproco scambio tra meridione e la Dalmazia sono tanto di ordine geografico quanto economico.
La prima forniva ai territori dalmati prodotti agricoli, soprattutto grano e sale; la seconda ricambiava con legname, pellame e altre materie prime.
Secondo Aristotele Grekoj, la radice dell’appellativo “Greci”, erano un’antica tribù dell’Epiro Vecchia e nel periodo dell’Impero romano, il termine fu adottato per indicare popolazioni della stessa area culturale, linguistica o religiosa.
Più volte s’è discusso e parlato dell’insediamento degli albanesi in Italia, nel meridione in particolare, e della integrazione nel tessuto sociale ed economico accettato ed arricchito con impegno convinto e costruttivo in tutti i settori determinanti del vivere civile.
La massa di profughi sbarca in buona parte nei porti sicuri del meridione, dopo la morte dell’eroe Nazionale, Giorgio Castriota, allocandosi verso le colline, e disponendosi nei pressi di quei governariati principesche che poi sono i residui degli antagonisti Aragonesi fondano i paesi, a tutti noi noti e da noi abitati.
Gruppi consistenti si insediarono diffusamente nelle colline insulari e peninsulari del Regno di Napoli, Abruzzo, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania i luoghi già abitati dagli Arbanon, vennero rimarcati in maniera più consistente in quei principati in cui la fiducia era riposta più verso Gli angioini che gli Aragonesi creando delle vere e proprie enclave Arbanon, con il duplice compito di controllare il territorio a favore degli Aragonesi e sollevarne le sorti economiche, visto lo stato di abbandono in cui versavano questi territori, affermando le macroaree più importanti di questi gruppi etnico-albanofoni.
Emerge comunque il lungo legame storico tra le due terre, con l’Italia meridionale in modo più forte e, per certe considerazioni successive, anche vantaggiose per le due comunità.
Lo sviluppo e la crescita di queste popolazioni, nel corso del tempo, hanno ben tenuto saldo il legame con le loro terre d’origine, da qualcuno verranno definiti “italiani di origine albanese”
2 -La via Egnazia e le stazioni di sosta-
La rete stradale romana cominciò a svilupparsi già nel II secolo a.C. All’inizio fu usata soprattutto con scopi di
espansione militare, per poi divenire un sistema ben organizzato Nell’ambito del sistema viario romano, la via Egnazia
era una delle più importanti e antiche, costruita tra il 146 e il 120 avanti Cristo e poi estesa nel III-IV secolo).
La Via collegava colonie romane che si estendevano dal Mar Adriatico al Bosforo, del Mar Adriatico, un collegamento diretto di Roma con le colonie dei Balcani meridionali.
La via ha accolto per secoli Ambasciatori, Pellegrini, Cavalieri e Crociati, provenienti da ogni anfratto o capitale dell’Europa, qui transitavano per recarsi nei luoghi di confronto di credenza e nel transitare ricevevano conforto dalle genti Kalabanon, Arbanon e Arbër e, sono proprio queste genti ad iniziare confronti con varie dinastie e negli atti di accoglienza, si estendeva il confronto della parlata di queste terre, le stesse espressioni dialettali o parlate intercettate dal letterato Baffi nel 1775 e nessun delegato o presidio linguistico, che avesse come mira o tema le parlate di tramando idiomatico degli Arbër, unici in tutto il territorio dell’est o di ogni anfratto europeo, ha mai approfondito, o capitolo il valore dei rudimentali accenni del Libero pensatore Sofiota.
3 -Scanderbeg; la lungimirante strategica diaspora –
Gli Ottomani, all’indomani dell’espansione dell’impero romano d’oriente verso l’occidente, si attivarono per imporre religione, dopo le armi seguivano i temi dell’inculturazione.
Senza correre e perdere il senso di questo discorso, è opportuno iniziare dalla battaglia della Piana dei Merli.
Le regole cui si attenevano i Turchi in questi frangenti di conquista, consistevano nella consegna dei figli maschi, i discendenti legittimi.
Anche Giovanni Castriota, consegnati i suoi fili seguirono, pur avendo ottenuto ampie garanzie sulla libertà di religione, giunti a corte furono battezzati e circoncisi secondo i riti mussulmani, cambiandone anche il nome.
Nel 1443, si diffuse la notizia che il padre, di Giorgio Castriota Giovanni, era passato a miglior vita, e com’era consuetudine, l’antico patto andava messo in atto e, fu inviato il generale Sabelia, a impossessarsi delle terre di Krujë.
E nel marzo del 1444, ad Alessio, Giorgio Castriota, il minore dei figli di Giovanni, fu proclamato all’unanimità guida cristiana
Giorgio Castriota dal 1444 si distinse in numerose battaglie, intervenne a favore degli Aragonesi contro le armate Angioine, nella battaglia di Troia in località Terra Strutta presso Greci.
Dopo il 1468, anno della morte, restano le gesta irripetibili, la fama e l’impegno di mutuo soccorso dell’Ordine del Drago, accogliendo a Napoli Andronica Arianiti Comneno, vedova di Giorgio.
Al tempo la scelta preferita della vedova di Giorgio, lasciò perplessi il Papato e i Dogi veneziani e altre
Grazie a quest’atto di fiducia e stima reciproca, in seguito anche altri esuli trovarono la strada spianata in accoglienza nelle “Arché dell’infinito arbëreshë”.
A tal proposito è bene, rilevare, gli eventi politico religiose in atto:
Arche abitative per la difesa, Katundë ripopolati da profughi arbëreshë, cui fu affidata la missione di evitare futuri confronti con i nuovi popoli che con gli indigeni condividevano quelle terre.
Giorgio Castriota per gli arbëreshë rappresenta la svolta storica di quanti abitarono le terre una volta dell’Epiro Nuova E dell’Epiro Vecchia, lungo la via Egnazia per tutelare l’originaria essenza Linguistica, Metrica, Consuetudinaria e Religiosa, oggi ancora vivi in quelle macro aree che identificano la Regione Storica Diffusa Arbëreshë.
I parlanti questa lingua antica, senza ne segni, né tomi, rappresentano i prosecutori di un modello senza eguali, ancora oggi, capace di mantenere vivi i valori di integrazione tra le più antiche.
Gli Arbëreshë assumono il ruolo di conservatori fedeli della radice identitaria originaria, quella che si compone di gruppi familiari allargati.
I risultati di questa intuizione li apprezziamo ancora oggi con gli Albanesi (il tangibile) e gli Arbër, i tutori dell’antica radice identitaria (l’intangibile).
4 -Capitoli e Onciari-
Capitoli:
Spesso si odono regole sui diritti religiosi e civili, riferite sulla base di tradizioni, o documenti gelosamente conservati nell’archivio, che nessuno sa leggere e applicare.
Diffusamente si insiste nel ritenere che alcune Colonie Albanofone siano di radice militare e presentano anche argomenti a sostegno tale stranissima e curiose tesi, emergendo le somiglianze delle loro strutture urbanistiche e dei Capitoli in casali preesistenti e disabitati, a differenza di quanto avveniva per i paesi di nuova fondazione.
Certamente i Capitoli sono la prima documentazione scritta di buona parte delle usanze seguite dalla società Albanofona, trapiantatasi nel meridione con tutta la sua struttura sociale e la sua organizzazione.
Sono queste che dopo la caduta di Scutari nel 1479, vede le famiglie dell’antica Albania, che si assunsero l’onere di preservare il modello sociale e identitario definito dal Kanun.
Questi gruppi e a tutti gli altri che si sovrappongono o si aggiungono, si applicava la norma di reggersi secondo i loro dettami, in tutte le parti dove essi decidessero d’impiantarsi.
Un elemento che lega tutti i profughi che trovarono ristoro nelle colline del meridione è sintomatica ed esemplare la diffusione del culto della Madonna Odigitria.
Essi lo esercitavano nei vari paesi dove si andavano trapiantando e dove si radicava presso le locali popolazioni e sopravviveva anche quando i pochi si assimilavano con gli abitanti del luogo o si trasferivano altrove.
Questo principio continuò a diffondersi e ad affermarsi in modo sorprendente in vari organismi religiosi del meridione e sin anche nella capitale partenopea e siciliana, da cui tendeva anche a trasferirsi negli organismi sociali.
I Capitoli costituivano la parte più antica e certamente la più importante del Kanun detto di Dukagjini, questa osservazione ci permette di fare un ragionevole collegamento col resto delle consuetudini che non sono registrate in quei Capitoli, ma che sono consuetudini radicate nella regione storica ed hanno una notevole corrispondenza con le concezioni Kanunali.
Se poi volessimo allargare la ricerca anche ai movimenti culturali e socio-politici determinati sulla base dello spirito di quei Capitoli, allora il campo di ricerca diventerebbe troppo ampio.
Onciario:
Il Catasto Onciario è una fra le più importanti fonti per lo studio della storia economica e sociale dell’Italia Meridionale.
Iniziato a compilare dalla fine del seicento e dopo decenni di accumulo di dati del 4 ottobre 1740 re Carlo III di Borbone dispose per il Regno intero la compilazione dell’onciario per la quantificazione d’imposta.
Dal 1741 al 1742, la Regia Camera della Sommaria, autorità fiscale, organo amministrativo e consultivo dell’antico regime aragonese operante nel Regno di Napoli, emanò istruzioni per la compilazione dei Catasti e il 28 Settembre 1742 stabilì i termini di consegna del censimento catastale entro quattro mesi.
Dieci anni più tardi molte Università non avevano ancora completato il lavoro, ed il Re, nel maggio 1753, decise di inviare suoi Commissari per supportare quei Comuni che non erano stati in grado o non avevano ancora completato la redazione. Il risultato fu una sorta di censimento dell’intera popolazione dell’Italia meridionale completo di età, professioni e proprietà, non escluso il bestiame. A ciascuna Università (Comune) era dato il compito di redigerne due copie, una da conservare presso l’Università per eventuali aggiornamenti e l’altra da inviare a Napoli alla Regia Camera della Sommaria. Da allora molte delle copie conservate localmente sono andate distrutte o consegnate agli archivi provinciali. Le copie inviate a Napoli sono ora conservate in una speciale sezione dell’Archivio di Stato.
La finalità era quella di uniformare e mettere ordine nel campo tributario, rilevando con precisione l’ammontare della popolazione e garantendo la ripartizione del carico fiscale in base alle effettive possibilità e i beni posseduti. In realtà le informazioni demografiche sono da ritenersi lacunose poiché non risultano iscritte nel Catasto le famiglie prive di beni e quelle esentate dai pagamenti.
Le categorie iscritte erano i cittadini abitanti e non, vedove e vergini, ecclesiastici secolari cittadini e forestieri, forestieri abitanti e non abitanti laici, chiese, monasteri e luoghi pii.
5 – Il Fuoco, la Casa, il Cortile e l’Orto botanico-
Gli agglomerati diffusi arbëreshë nascono secondo regie disposizioni e grazie al modello di famiglia allargata, i rioni rappresentano il percorso evolutivo dell’abitato per restituirci l’attuale assetto planimetrico, il processo di trasformazione dell’ambiente naturale in quello costruito è avvenuto secondo i parametri morfologici, orografici e climatici; fondamentali per gli esuli, giacché simili a quelli della terra d’origine.
È in queste macro aree che le costanti dei sistemi urbani: il fuoco, la casa, il recinto, e il giardino, hanno trovato l’ambiente ideale per restituire gli ambiti odierni; il recinto delimita il territorio, ove la famiglia allargata aveva il controllo assoluto; il fuoco acceso appena raggiunto il luogo parallelo di residenza, venne acceso, mai più spento e, attorno ad esso che si riunirono i componenti della famigli allargata a prospettare strategie in Arbër, alimentato e gestito dalla regina del fuoco è stato il centro della luce e delle prospettive di uguaglianza, sociale e civile ;la casa, era costituita da un unico ambiente in cui conservare le poche suppellettili e alimenti; il giardino è luogo della prima spogliatura, dimora dell’orto stagionale, la farmacia dei casa, l’indispensabile “orto botanico”.
Nel periodo che va dal XV al XX secolo, gli esuli lentamente hanno riposto il modello familiare allargato per quello urbano e poi, in tempi più recenti vive quello della multimedialità.
Lo sviluppo degli agglomerati tendenzialmente accoglie le direttive dell’urbanistica greca che allocava gli accessi degli abituri sulle strette vie secondarie, rruhat.
La Gjitonia, (dove vedo e dove sento), sin dal XVI secolo ha resistito alla modernità diventando il luogo della ricerca dell’antico legame indispensabile per la consuetudine Arbër, essa ha origine dal tepore del focolare, si espande con cerchi concentrici, nella piazzetta sheshi e si estende lungo le rruhat, sino a giungere negli angoli più reconditi dei territori e non solo.
Gli agglomerati Albanofoni rappresentano il cardine che lega lingue, religioni e storie in grado di produrre il modello d’integrazione più riuscito del mediterraneo. Il piccolo abituro, shëpia, in origine realizzato con espedienti estrattivi, in seguito, è stato ottimizzato attraverso l’utilizzo di materiali autoctoni più idonei secondo metriche additive. Dopo il terremoto del 1783, gli stessi ambiti urbani minoritari ebbero un nuovo sviluppo architettonico e gli agglomerati iniziarono a svilupparsi verticalmente allocando i magazzini e le stalle al piano terra mentre le abitazioni erano al primo livello. I successivi frazionamenti, richiesero l’uso delle scale esterne, profferlo, modificò radicalmente le prospettive all’interno dei centri antichi. Il ciclo di crescita si arricchisce ulteriormente dopo il decennio francese, con la costruzione dei nuovi palazzotti nobiliari, solo per le classi più elevate perché quelle meno abbienti continuano a occupare i vecchi abituri e quella media esterna la nuova posizione sociale, imitando frammenti dei palazzi
6 -Il vocabolario che unisce l’Albanese e l’Arbër-
La ricerca di favole e racconti locali, riferiti in Arbër, è il percorso da imitare come venne fatto dai fratelli Grimm.
Tuttavia i fratelli G., per tracciare la lingua unitaria, usando le favole diffondevano unitariamente gli elementi che compongono il corpo umano e, gli elementi naturali comuni, in altre parole tutto ciò che consentiva la vivibilità sul territorio, vita condivisa tra uomo e natura.
Questo è un dato rilevantissimo che sfugge in questa disciplina, presumibilmente, si può ipotizzare che, nella foga di voler primeggiare non si sia terminato di leggere la frase, che descriveva, l’operato dei fratelli germanici.
Esiste un principio secondo il quale le radici danno linfa, solidità del tronco di un albero e i rami con le foglie forniscono il giusto equilibrio energetico per tutelare il sistema vitale.
Se si comprende questo principio, si è in grado di dedicarsi a progetti di una tutela condivisa, per sostenere nel tempo, la solidità di un idioma privo di segni e tomi condivisi.
Quanti sino a oggi si sono adoperato per produrre elementi utili in campo linguistico, letterario, storico, sociale, antropologico, urbanistico e architettonico, all’interno della regione storica Arbër, senza seguire i protocolli storici, non hanno fatto altro che produrre inutili focolai di contaminazione.
Una lingua per essere analizzata compresa ed eventualmente tutelata, la si deve sanzionare iniziando da presupposti storico identitari, per poi muoversi secondo le tematiche di progetto; avendo come prioritari la figura umana e l’ambiente; “la descrizione e al modo di appellare il corpo umano; Apparati, Organi e Sistemi, ben legati alle opportunità che offre l’ambiente naturale per la sopravvivenza”.
Una teoria nasce secondo i canoni del progetto a favore dei fruitori, la radice è il cuore e i sensi, evitano di confondere cosa vuol dire essere un Arbër o gli odierni Albanesi, ovvero l’antico e il nuovo del glorioso popolo.
7 -Il centro Antico della Napoli purpignera di Valori Arber a confronto con il centro storico di Tirana-
Dopo l’esodo latente degli Arbanon nelle regioni del meridione, ebbe avvio un consistente esodo, a seguito della morte dell’eroe Giorgio Castriota, agevolato dalla scelta della consorte, Donica Arianiti Comneno, nel preferì Napoli quale porto sicuro, di lei, la sua discendenza e il popolo ad essa rimasto fedele.
Ebbe così luogo un esodo epocale di Arbër, negli approdi del regno; cui seguì il pellegrinare lungo le coste adriatiche, joniche, e del Tirreno, verso le colline dove furono intercettati i luoghi paralleli, innescando così il breve periodo scontro e il medio confronto, le basi di conoscenza del protocollo dell’integrazione.
Nascono in sette regioni dell’odierno meridione Italiano, le ventuno macroaree in consistenza di oltre cento agglomerati, facente parte la Regione Storica Diffusa degli Arbër, presidi paralleli caratterizzati tutti dai quattro tipici rioni e tutti desiderosi di innestare le radici della terra da cui furono costretti a fuggire.
Devono trascorrere circa due secoli per veder nascere le prime scintille del fuoco culturale dove numerosi Arbër, prima in forma religiosa e poi sempre più diffusamente laica, nella Napoli capitale primeggiano in tutti i titoli culturali d’Europa.
Un numero di eccellenze che segano la stessa storia del regno positivamente, in ogni provincia partono formati da quelle che all’epoca erano considerate scuole dell’obbligo minimo, e tracciano un nuovo sapere moderno, relativamente al sociale culturale, la scienza esatta, la politica, la sociologia e purtroppo, sin anche nelle vicende di profitto economico che lasciarono qualche perplessità ancor oggi non chiara, che diventano certezza pei pochi che sanno interpretare la storia.
La parentesi culturale prende il suo avvio, grazie ai presidi monastici attraverso cui diffondere credenze, lingue antiche, arte e storia, questa indirizzata a un ristrettissimo gruppo o fortunati addetti, devono attendere l’insediamento sul trono di Napoli di re Carlo III, per avere la svolta epocale senza più termine la platea estesa, che la stessa Europa si affacciava spesso a osservare, apprendere per poi articolare politiche di non principi a dirsi nobili.
Dall’insediamento del re, si avvia una vera e propria rivoluzione culturale, istituendo presidi e luoghi per conoscere e mostrare le cose del passato.
Ginnasi, università, musei accademie luoghi di studio e restauro di reperti, arti ceramiche, giardini botanici, in tutto una vera e proprio rilancio colturale senza precedenti.
Generalmente, genericamente e comunemente, si preferisce illuminare e valorizzare quanti si sono particolarmente affannati o meglio ostinati ad allestire alfabetari e racconti secondo regole grammaticali a dir poco inutili, tuttavia e, nonostante questa preferenza locale o campanili afonici, sono gli altri uomini della regione storica a brillare per giungere riveriti in tutti i salotti d’Europa, senza allargare troppo la platea.
Se dal punto di vista linguistico Pasquale Baffi seminava le fondamenta di indagine indirizzate alla provenienza idiomatica, mai continuata, figure altre, intuendone le potenzialità, giungevano da tutta Europa per dilettarsi e apprendere, il nuovo pensiero politico, culturale, sociale e storico Albanofono.
8 -L’Orientale di Napoli prima Università di lingua Albanofona in Europa: nota come “Collegio dei Cinesi”-
L’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” trae le sue origini dal Collegio dei Cinesi, fondato da Matteo Ripa, sacerdote secolare e missionario, che dal 1711 al 1723 aveva lavorato, in qualità di pittore/incisore su rame, alla corte dell’imperatore mancese Kangxi.
Sarà Clemente XII, con breve del 7 aprile 1732, ad offrire un riconoscimento ufficiale al Collegio dei Cinesi, che aveva come scopo la formazione religiosa e l’ordinazione sacerdotale di giovani cinesi destinati a propagare il cattolicesimo nel loro paese.
Dal 1747, furono ammessi al Collegio giovani provenienti dall’Impero Ottomano (albanesi, bosniaci, montenegrini, serbi, bulgari, greci, libanesi, egiziani) allo scopo di ricevere formazione religiosa e ordinazione sacerdotale perché poi potessero svolgere attività missionaria nei paesi di origine.
Dopo l’Unità d’Italia il Collegio dei Cinesi fu trasformato nel 1868 in Real Collegio Asiatico, articolato in due sezioni: quella, antica, missionaria e una nuova, aperta a giovani laici interessati allo studio delle lingue parlate nell’Asia Orientale.
Dopo la riforma De Sanctis furono inaugurati gli insegnamenti dell’hindi e dell’urdù, nonché del persiano e del greco moderno. Nel dicembre del 1888 una legge dello Stato trasformò il Real Collegio Asiatico in Istituto Orientale.
Attualmente “L’Orientale” è specializzata negli insegnamenti linguistico-letterari e storico-artistici inerenti l’Oriente e l’Africa, senza trascurare le culture espresse dai paesi mediterranei, dall’Europa e dalle Americhe.
Nel 1900, presso l’allora Istituto Universitario Orientale di Napoli, città alla quale fu riconosciuto il suo ruolo di centralità avuta in tutto l’Ottocento per la “questione albanese, è stata istituita la prima cattedra universitaria di lingua e la letteratura albanese in Europa.
Giuseppe Schirò, illustre studioso e attento raccoglitore delle tradizioni poetiche Arbër, fu il primo professore universitario, presso l’Istituto Orientale di Napoli, di cui fu anche direttore.
Egli fu tra gli iniziatori di una letteratura che dall’Arbër andò sempre pi allargandosi accogliendo prospettive autorevoli, ispiratore degli intellettuali del suo tempo ed ebbe un ruolo importante nel movimento della Rinascita Albanese e nell’indipendenza dell’Albania, partecipando attivamente insieme alle élite intellettuali albanesi.
Dopo aver frequentato il Seminario Italo-Albanese di Palermo, si laureò in legge e affrontò in prima persona la questione albanese vissuta tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX frequentando gli ambiti albanesi e per questo meritorio di Salire nella prima cattedra dell’istituto.
Non meno significative furono le indagini condotte nel campo delle tradizioni letterarie popolari Arbër, egli attinse da tutte le parlate, nella prospettiva di unificarle, di particolare importanza sono gli studi nel campo della filologia letteraria e della dialettologia e del tutto eccezionali rimangono gli anni trascorsi a Napoli, dove incaricato quale primo docente di Lingua e Letteratura Albanese presso l’Istituto Regio Orientale, insegnò dal 1900 sino alla morte.
In questa veste rilanciò presso gli ambienti culturali e politici italiani l’idea nazionale albanese e si fece promotore di iniziative editoriali e pubblicistiche, come Arbër i rii.
9 – Conclusioni e attività per il buon esito del progetto –
Alla luce di quanto emerso o meglio lamentato e posto in evidenza è palese la necessità di tutelare i centri Antichi e i protocolli per le cose che poste nelle disposizioni di istituti e istituzioni che non hanno forza, o meglio capacità interpretativa per realizzare progetti di continuità storica di questi luoghi, cose e genti.
La rara consuetudine minoritaria, inghisata in questi ambiti, attende l’idoneo restauro che la collochi con rispetto nello scenario sociale, culturale e scientifico di tutto il Mediterraneo cosi come integrato prima delle libere interpretazioni succedutesi dalla fine del secolo scorso.
La Regione Storica Diffusa Degli Arbër nasce perché è il risultato dell’azione di una civiltà indissolubile, non frutto dell’azione costruttiva di un singolo o di singoli senza formazione che fanno gruppo; essa è una cerniera di culture e perciò va salvaguardato. Dopo gli avvenimenti succedutisi negli ultimi decenni e precisamente dagli anni settanta del secolo scorso, o meglio dopo il devastante sessantotto, alla luce degli eventi, si dovrebbe giungere a un ragionevole esame e seguire il fine di depositare in sicurezza gli ambiti degli oltre cento paesi Arbër. I centri antichi in modo particolare, attraverso opportuni interventi indispensabili a far rivivere il patrimonio storico costruito in 550 anni di vita Arbër. Il recupero dell’agglomerati assieme alle cose materiali ed immateriali, l’ambiente naturale, i cromatismi pittorici devono avere come fine, la ricollocazione della minoranza storica che va condivisa non solo con le associazioni, eventi e appuntamenti a dir poco inadeguati da tutta la regione arbëreshë. Serve, urge o è indispensabile avviare progetti che hanno come indicatore la storia albanofona, qui in itali e dalla terra di origine Albanese, i luoghi dove sono ancora intrise le ostinate murature, le quali continuano a riverberare una lingua antichissima con radice nuova e antichissima.
Se a Queste innestiamo le attività i costumi e il genio locale in consuetudini agro, silvicole e pastorali, in solida convivenza con il territori Della regione Storica e della odierna Albania, possiamo rendere solida, resiliente e indistruttibile il nostro protocollo.
Esiste una regione storica ad ovest dell’Adriatico con 109 paesi di origine Arber con Capitale Napoli; esite una Nazione Albanese Capitale Tirana ad est dell’Adriatico; la storia insegna che cavalieri e re si uniscono o meglio convergono nelle rive di un fiume, per iniziare nuove stagioni di progetti comuni e valorizzare le cose e gli uomini.
La geografia spiega che cosa sia un mare e cosa sia un fiume; storicamente l’Adriatico ha più l’aspetto di un fiume anche se lo si appella mare, per questo a ben vedere, costituire un momento di fraterna cooperazione sociale e culture, nel momento storico che viviamo è un bel esempio per tutta la popolazione del vecchio continente.
Abbiamo tutti gli elementi a disposizione, ovvero, Scuole, Università, Istituzioni, Associazioni, Acli (Associazioni, Cristiane Lavoratori Italiani), oltre a numerose Figure Culturali forti, per innescare attività di cooperazione, i cui temi di proposta iniziali sono i seguenti:
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NAPOLI (i Shanasi Pici Basilitë) ndë Skip
PROJEKT APELI MESDHETAR: KRAHINA HISTORIKE I SHPËRFARË I ARBËR
– Planet e hetimit: gjërat, faktet, parimet, njerëzit dhe qëllimet –
1) Hyrje;
2) Nëpër Egntia dhe stacionet e pushimit;
3) Skënderbeu; diaspora strategjike largpamëse;
4) Kapitujt dhe Katastra
5) Zjarri, shtëpia, oborrin dhe kopshtin botanik;
6) Fjalët që bashkojnë Arbër dhe shqiptarë;
7) Qendra Antike e Napolit “të Purpurt” e Vlerat arbërore duke e krahasuar me qendrën historike të Tiranës;
8) Universiteti i Napolit Orientale e Napolit, i pari universitet arbërfolës në Evropë: themeluar si “Colegj Kinez”;
9) Konkluzionet dhe aktivitetet për suksesin e projektit;
1) -Hyrje –
Adriatiku së bashku me Jonin e sipërm dhe Tirrenin janë dete, me karakteristikat gjeografike të konfiguruar si një gji i zgjatur, në të cilat futen tokat gadishullore dhe veçanërisht ato më ekstremet të Italisë jugore. Historia e zhvillimit kulturor përqendrohet pikërisht në këtë pikë e tëra merr rolin e sintezës, të e zgjeruar, mesdhetare.
Konfigurimi natyror e bën “gjirin Adriatik-Jonë”, një burim mesdhetar, nga i cili përfituan pushtetarët që menaxhonin tokat përballë, duke u dalluar si protagonist në lundrimin bregdetar të njëanshme, për shkak të konfigurimeve, të brigjeve.
Forma e saj kryesisht e zgjatur, merr më shumë karakteristikën lumore, që bashkon dy brigje, ndryshe nga sa njihet për detet që ndajnë distanca të gjata.
Pellgu, nga maja joniane e Pulias, deri në lagunën veneciane, bëhet protagonist në ngjarjet që shënuan historinë e marrëdhënieve midis popujve që e anashkalojnë, mes tyre mbretëria e Napolit, dhe trojet e Shqipërisë me kryeqytet Tiranën.
Lundrimi ka lindur brenda këtij gjiri të zgjatur, pa rrezik dhe për këtë arsye ka marrë gjithmonë rolin e
urë për dialog civil dhe ballafaqim mes popujve që jetojnë në brigjet e saj.
Përdorimi i tij në formën e lundrimit, për këtë arsye, mund të përkufizohet njësoj si një shteg i ngadaltë, kohët e së cilës janë të krahasueshme me ngjitjet në shpatet kodrinore.
Ky vendkalim i ngadaltë detar vendoset në të njëjtën mënyrë si ata që e gjetën veten duke kapërcyer ngadalë luginat, gryka dhe kodra, për të arritur paralelet territoriale mbi të cilat do të vendosesh falë marrëveshjeve politike, kulturore dhe fetare, tipike për popullatat që jetojnë në ndarje të përbashkët.
Prandaj kushtet gjeografike janë elementi themelor për shpjegimin e ngjarjeve historike/kulturore të botës së brigjeve Adriatik/Jon, i cili në thelb kryente një funksion ndërmjetësi.
Adriatiku, ngelet një nyje me problemin vendimtar historik të ndarjes midis Perandorisë Lindore dhe Perëndimore, dhe kundërshtimit relativ midis “latinishtes” “grekes” dhe “aleksandrian”, i cili preku të gjitha fushat, nga ajo politike në ai gjuhësor, fetar dhe kulturor, dhe pati një pozicion të veçantë.
Ndarja përfshiu në thelb vetëm Adriatikun e poshtëm, ndërsa pjesën ndërmjet dy brigjeve deri në kufiri jugor i Dalmacisë mbeti nën ndikimin perëndimor.
Arsyet që kanë lejuar shkëmbimin e ndërsjellë mes jugut dhe Dalmacisë janë gjeografike dhe ekonomike.
I pari furnizonte territoret dalmate me produkte bujqësore, mbi të gjitha drithëra dhe kripë; e dyta reciproke me lëndë druri, lëkurë dhe lëndë të tjera të para.
Sipas Aristotelit Grekoj, rrënja e emërtimit “grek”, ishin një fis i lashtë i Epirit të Vjetër dhe në periudhën
të Perandorisë Romake, termi u miratua për të treguar popullsinë e së njëjtës zonë kulturore, gjuhësore apo fetare.
Shpesh është folur dhe diskutuar për ngulmimet e shqiptarëve në Itali, veçanërisht në jug, dhe të
integrimit të tyre në strukturën sociale dhe ekonomike të pranuar dhe pasuruar me përkushtim të bindur dhe konstruktiv në të gjithë fushat kryesore të jetës civile.
Masa e refugjatëve zbarkoi në pjesën më të madhe në portet e sigurta të jugut, pas vdekjes së heroit kombëtar, Gjergj Kastrioti, duke u ndarë drejt kodrave dhe duke u rregulluar pranë atyre qeverive princërore që janë mbetjet e antagonistëve aragonistë, themeluan qytetet, të njohura për të gjithë ne dhe të banuara prej nesh.
Grupe të konsiderueshme të vendosura gjerësisht në kodrat ishullore dhe gadishullore të Mbretërisë së Napolit, Abruzzo-s, Siçilisë, Kalabrisë, Basilicata-s, Puglia-s dhe Campania-s, vende të banuara tashmë nga Arbër, u vërejtën në mënyrë më të qëndrueshme në ato principata në të cilat besohej më shumë. Anzhuinët dhe aragonezët krijuanenklavat e vërteta arbëror, me detyrë të dyfishtë për të kontrolluar territorin në favor të aragonezëve dhe për të lehtësuar pasuritë e tyre ekonomike, duke pasur parasysh gjendjen e braktisjes në të cilën ranë këto territore, duke afirmuar makro-zonat më të rëndësishme të këtyre grupeve, folës etnikë-shqiptarë.
Megjithatë, lidhja e gjatë historike midis dy tokave shfaqet, me Italinë jugore në një mënyrë më të fortë dhe, për disa konsiderata të mëvonshme, gjithashtu të dobishme për të dy komunitetet.
Zhvillimi dhe rritja e këtyre popullsive, me kalimin e kohës, e kanë mbajtur të fortë lidhjen me tokat e tyre të origjinës, disa do t’i përcaktojnë si “italianë me origjinë shqiptarë”;
2) –Rruga Egnatia dhe stacionet e pushimit–
Rrjeti rrugor romak filloi të zhvillohej qysh në shekullin II para Krishtit. Në fillim ajo u përdor kryesisht për qëllime të zgjerimit ushtarak dhe më pas u bë një sistem i organizuar mirë. Brenda sistemit rrugor romak, rruga Egnazia ishte një nga më të rëndësishmet dhe më të vjetrat, e ndërtuar midis viteve 146 dhe 120 para Krishtit dhe më pas u zgjerua në shekullin III. -shekulli IV).
Ruga lidhte kolonitë romake që shtriheshin nga deti Adriatik në Bosfor, të detit Adriatik një lidhje e drejtpërdrejtë e Romës me kolonitë e Ballkanit jugor.
Rruga prej shekujsh ka pritur ambasadorë, pelegrinët, kalorës dhe kryqtarë, të ardhur nga çdo luginë apo kryeqytet i Evropës, që kalonin këtu për të shkuar në vendet e ndryshme apo të besimeve, kalimthi merrnin ngushëllim nga Kalabanët, Arbanët dhe Arbërit përballeshin me dinasti te ndryshme dhe në aktet mikpritese u zgjerua ndeshja e të folurit të këtyre trojeve, të njëjtat shprehje dialektore apo të folura të përgjuara nga studiuesi Baffi në vitin 1775 dhe asnjë delegat apo garnizon gjuhësor, që kishte si synim apo temë dorëshkrimin idiomatik të arbërit, unik në të gjithë territorin lindor apo në çdo luginë europiane, nuk e ka thelluar apo kapitulluar vlerën e elementit rudimentar, sugjerime të mendimtarit të lirë Sofiot.
3) -Skënderbeu; diaspora strategjike largpamëse –
Osmanët, si pasojë e zgjerimit të Perandorisë Romake Lindore drejt Perëndimit, ndërmorën veprime për të imponuar fenë, pasi armët ndoqën temat e inkulturimit.
Pa u nxituar dhe pa humbur kuptimin e këtij fjalimi, është me vend të fillojmë nga beteja e Piana dei Merli.
Rregullat që ndoqën turqit në këto momente pushtimi konsistonin në lindjen e fëmijëve meshkuj, d.m.th
pasardhës të ligjshëm. Edhe Gjon Kastrioti, pavarësisht se kishte marrë garanci të shumta për lirinë e fesë, pasi erdhën në oborr fëmijët e tyre u pagëzuan dhe u bënë synet sipas riteve myslimane, duke ndryshuar edhe emrin.
Në vitin 1443, u përhap lajmi se babai i Gjergj Kastrioti, Gjoni kishte vdekur, dhe siç ishte
zakoni, pakti i lashtë duhej zbatuar, kështu që gjeneral Sabelia u dërgua për të marrë në zotërim tokat e Krujës.Dhe në mars 1444, në Lezhë, Gjergj Kastrioti, më i riu nga djemtë e Giovanni-t, u shpall njëzëri udhërrëfyes i krishterë. Gjergj Kastrioti nga viti 1444 u dallua në beteja të shumta, ndërhyri në favor të aragonezëve kundër ushtrive Anzhuinëve, në betejën e Trojës në Terra Strutta afër Grecit.
Pas vitit 1468, viti i vdekjes së tij, mbeten veprat e papërsëritshme, fama dhe angazhimi për ndihmë reciproke të Urdhrit të Dragoit, duke mirëpritur në Napoli Donikën Arianiti Comneno, të venë e Gjergjit.
Zgjedhja e preferuar që bëri vejusha e Gjergj Kastriotit,hutoi Papatin, Dozhët venecianë si dhe të tjerët.
Falë këtij akti besimi dhe vlerësimi reciprok, gjetën rrugën e shtruar në mikpritje edhe mërgimtarët e tjerë “princip e arbëreshëve të pafund”.
Në këtë drejtim, është mirë të theksohen ngjarjet e vazhdueshme politiko-fetare:
– e para shënuan territorin në favor të mbretit për të kontrolluar princat e lidhur me kurorën franceze;
– e dyta krahas rritjes së numrit për nga fuqia punëtore, u bënë ngulimet e tyre, kjo erdhi menjëherë pas mbrritjes së Donikës Arianiti Comneno.
Katunde u ripopulluan nga refugjatë arbëreshë, të cilëve iu besua misioni për të shmangur përballjet e ardhshme me popujt e rinj, e me vendasit ndanë ato troje.
Gjergj Kastrioti për arbëreshët përfaqëson kthesën historike të atyre që dikur banonin në trojet e Epirit.
Lindja e Re e Epirit të Vjetër, përgjatë rrugës Egnatia, për të mbrojtur thelbin origjinal gjuhësor, metrik, zakonor dhe fetar, ende i gjallë sot në ato makro zona që identifikojnë Rajonin e Përhapur Historik arbëreshe.
Folësit e kësaj gjuhe të lashtë, pa shenja e toma, përfaqësojnë vazhduesit e një modeli të pabarabartë, ende sot, të aftë për të mbajtur gjallë vlerat e integrimit ndër më të vjetrit.
Arbëreshët marrin rolin e ruajtësve besnikë të rrënjës origjinale identitare, asaj që përbëhet nga grupet e gjera të familjes.
Rezultatet e kësaj intuite i vlerësojmë edhe sot me shqiptarët (e prekshme) dhe arbërit, rojet e rrënjës së lashtë identitare (të paprekshmes).
4) –Capitoli e Onciari-\ kapitulli i kadastrave të njësisë me Ons
Kapitulli\ Marrëveshja
Shpesh dëgjohen rregulla për të drejtat fetare dhe civile, të referuara në bazë të traditave apo dokumenteve,të ruajtura me xhelozi në arkiv, të cilat askush nuk di t’i lexojë dhe t’i zbatojë.
Besohet gjerësisht se disa koloni albanofone kanë rrënjë ushtarake të cilat paraqesin argumente në mbështetje të kësaj teze shumë të çuditshme dhe kurioze, duke zbuluar ngjashmëritë e strukturave të tyre urbane si dhe të marrveshjeve në fermat para-ekzistuese të pabanuara, ndryshe nga ajo që ndodhi për qytetet e reja të themeluara.
Sigurisht që Kapitujt(Marrveshjet), janë dokumentacioni i parë i shkruar i një pjese të madhe të zakoneve të ndjekura nga shoqëria albanofone, e cila u zhvendos në jug me gjithë strukturën dhe organizimin e saj shoqëror.Janë këta që pas rënies së Shkodrës më 1479, familjet e Shqipërisë së lashtë, morën përsipër barrën e ruajtjes së modelit social dhe identitar të përcaktuar nga Kanuni.
Këto grupe dhe të gjitha të tjerat që shtohen me njëra-tjetrën, qeveriseshin nga rregulli sipas diktatit të tyre, në të gjitha pjesët ku u ngulitën.
Një element që lidh të gjithë refugjatët që gjetën freskim në kodrat e jugut është përhapja simptomatike dhe shembullore e kultit të Madonna Odigitria. Refugjatët e ushtronin atë në vendet e ndryshme ku u ngulitën dhe ku ajo zuri rrënjë në popullsinë vendase dhe mbijetoi edhe kur të paktët u asimiluan me banorët vendas ose u shpërngulën gjetkë.
Ky parim vazhdoi të përhapet dhe të vendoset në mënyrë të habitshme në organe të ndryshme fetare të vendit në jug dhe madje edhe në kryeqytetin napolitan partenope dhe sicilian, nga i cili tentoi të kalonte edhe në organizmat shoqërore.
Kapitujt përbënin pjesën më të vjetër dhe sigurisht më të rëndësishme të Kanunit të thënë për Dukagjinin, ky vëzhgim na lejon të bëjmë një lidhje të arsyeshme me pjesën tjetër të zakoneve që nuk janë regjistruar në ata kapituj, por që janë zakone të rrënjosura në rajonin historik dhe kanë një korrespondencë të shquar me konceptimet kanunali. Nëse atëherë do të donim ta shtrinim kërkimin edhe në lëvizjet kulturore dhe socio-politike të përcaktuara në bazë të frymës së atyre kapitujve, atëherë fusha e kërkimit do të bëhej shumë e gjerë.
Onciario\ Ons :
Catasto Onciario është një nga burimet më të rëndësishme për studimin e historisë ekonomike dhe sociale të Italisë Jugore.
Filloi të përpilohej nga fundi i shekullit të shtatëmbëdhjetë dhe pas dekadash grumbullimi të të dhënave më 4 tetor 1740, mbreti Charles III i Bourbonit urdhëroi përpilimin e onciarios për përcaktimin e sasisë së taksave për të gjithë Mbretërinë.
Nga viti 1741 deri në 1742, Regia Camera della Sommaria, autoriteti fiskal, organi administrativ dhe këshillimor i regjimit të lashtë aragonez që vepronte në Mbretërinë e Napolit, nxori udhëzime për përpilimin e regjistrave të tokës dhe më 28 shtator 1742 përcaktoi kushtet e dorëzimit të regjistrimi kadastral brenda katër muajve.
Dhjetë vjet më vonë shumë Universitete nuk e kishin përfunduar ende punën, dhe Mbreti, në maj 1753, vendosi të dërgonte Komisionerët e tij për të mbështetur ato Bashki që nuk kishin mundur ose nuk kishin përfunduar ende hartimin. Rezultati ishte një lloj regjistrimi i të gjithë popullsisë së Italisë Jugore, i plotësuar me moshën, profesionin dhe pronën, duke mos përjashtuar bagëtinë.
Secilit universitet (bashki) iu dha detyra të hartonte dy kopje, njëra për t’u mbajtur në Universitet për çdo përditësim dhe tjetra për t’u dërguar në Napoli në “Regia Camera della Sommaria”.
Që atëherë, shumë nga kopjet e ruajtura në vend janë shkatërruar ose dërguar në arkivat provinciale.
Kopjet e dërguara në Napoli tani ruhen në një seksion të veçantë të Arkivit Shtetëror.
Synimi ishte standardizimi dhe vendosja e rregullit në fushën e taksave, duke zbuluar me saktësi shumën e taksës popullsia dhe garantimi i shpërndarjes së barrës tatimore mbi bazën e mundësive efektive dhe të pasurive në pronësi.
Në realitet, informacioni demografik duhet të konsiderohet i paplotë pasi familjet pa pasuri dhe ato të përjashtuara nga pagesa nuk janë të regjistruara në Regjistrin e Tokës.
Kategoritë e regjistruara ishin banorë dhe jobanorë, të veja dhe virgjëreshat, klerikët laikë, shtetasit dhe të huajt, laikët e huaj dhe jobanorët, kishat, manastiret dhe vendet e devotshme.
5) – Zjarri, Shtëpia, Oborri dhe Kopshti Botanik–
Aglomeracionet e shpërndara arbëreshe lindin sipas dispozitave mbretërore dhe falë modelit të familjes së gjerë, rrethet përfaqësojnë rrugën evolucionare të zonës së banuar për të na rikthyer strukturën planimetrike aktuale. Procesi i shndërrimit të mjedisit natyror në të ndërtuar është zhvilluar sipas parametrave morfologjikë, orografikë dhe klimatikë; themelore për të mërguarit, pasi janë të ngjashëm me ata të atdheut të tyre.
Pikërisht në këto makro zona konstantet e sistemeve urbane: zjarri, shtëpia, gardhi dhe kopshti, kanë gjetur mjedisin ideal për të rikthyer mjediset e sotme; gardhi kufizon territorin, ku familja e gjerë kishte kontroll absolut; zjarri u ndez sapo mbërriti në vendbanimin paralel, u ndez, nuk u shua kurrë dhe, rreth saj që u mblodhën anëtarët e familjes së gjerë për të parashikuar strategji në Arbëri, ushqeheshin dhe e menaxhuar nga mbretëresha e zjarrit ishte qendra e dritës dhe perspektivat për barazi, sociale dhe civile;
shtëpia, ishte i përbërë nga një dhomë e vetme në të cilën mund të ruheshin pak orenditë dhe ushqimet; kopshti është shtëpia e perimeve sezonale, si edhe të barërave mjeksore, farmacia e shtëpisë, “kopshti botanik” ishte i domosdoshëm. Në periudhën nga shekulli i pesëmbëdhjetë deri në shekullin e njëzetë, të mërguarit zëvendësuan ngadalë modelin e familjes së gjerë për atë urbane dhe më pas, në kohët më të reja jeton atë të multimedias.
Zhvillimi i aglomerateve tenton të jetë në përputhje me direktivat e urbanistikës greke, të cilat i caktonin akseset në banesat në rrugët e ngushta dytësore, rruhat.
Gjitonia, (ku shoh e ku dëgjoj), i ka rezistuar modernizmit që në shekullin gjashtëmbëdhjetë, duke u bërë vendi i kërkimit të lidhjes së lashtë të domosdoshme për zakonin arbër, buron nga ngrohtësia e vatrës, zgjerohet me rrathë koncentrikë, në sheshin e vogël dhe shtrihet përgjatë rruhatit, derisa arrin në qoshet më të fshehura të territore dhe më gjerë.
Aglomeracionet albanofone përfaqësojnë gurin themelor që lidh gjuhët, fetë dhe historitë e aftë për të prodhuar modelin më të suksesshëm të integrimit në Mesdhe. Banesa e vogël, shëpia, e ndërtuar fillimisht me pajisje nxjerrëse, më vonë u optimizua përmes përdorimit të materialeve më të përshtatshme vendase sipas metrikës shtesë. Pas tërmetit të vitit 1783, të njëjtat zona urbane minoritare iu nënshtruan një zhvillimi të ri arkitekturor dhe aglomerateve filluan të zhvillohen vertikalisht duke ndarë magazinat dhe stallat në katin përdhes ndërkohë që shtëpitë ishin në nivelin e parë. Ndarjet e mëvonshme kërkuan përdorimin e shkallëve të jashtme, duke ofruar ndryshim rrënjësisht perspektivat brenda qendrave antike.
Cikli i rritjes pasurohet më tej pas dekadës franceze, me ndërtimin e pallateve të reja fisnike, vetëm për klasat më të larta, sepse më pak të pasurit vazhdonin të zinin banesat e vjetra formonin pozicionin e ri shoqëror, duke imituar fragmente pallatesh.
6) -Fjalori që bashkon shqipen dhe arbërishten–
Kërkimi i përrallave vendase, të përmendura në Arbëri, është rruga për tu imituar siç u bë nga vëllezërit Grimm.Megjithatë, vëllezërit Grimm për të gjurmuar gjuhën unitare, përdorën përralla dhe përhapën në mënyrë të unifikuar elementet që përbëjnë trupin e njeriut dhe elementet e përbashkëta natyrore, me pak fjalë, gjithçka që lejonte jetueshmërinë në territor, jetën e përbashkët midis njeriut dhe natyrës.
Ekziston një parim sipas të cilit rrënjët japin limfë, qëndrueshmëria e trungut të pemës dhe degët me gjethe ofrojnë ekuilibrin e duhur të energjisë për të mbrojtur sistemin jetësor.
Nëse ky parim kuptohet, njeriu është në gjendje t’i përkushtohet projekteve të mbrojtjes së përbashkët, për të mbajtur me kalimin e kohës qëndrueshmërinë e një gjuhe pa shenja dhe vëllime të përbashkëta.
Ata që kanë punuar deri tani për të prodhuar elementë të dobishëm në fushën gjuhësore, letrare, historike, sociale, antropologjike, urbanistike dhe arkitekturore, brenda rajonit historik të Arbërisë, pa ndjekur protokollet historike, nuk kanë bërë gjë tjetër veçse kanë prodhuar shpërthime të kota kontaminimi.
Në mënyrë që një gjuhë të analizohet, kuptohet dhe mundësisht të mbrohet, ajo duhet të sanksionohet duke u nisur nga supozimet e identitetit historik dhe më pas duke lëvizur sipas temave të projektit; duke pasur si prioritet figurën njerëzore dhe mjedisin; “përshkrimi dhe mënyra e thirrjes së trupit të njeriut; Aparatet, organet dhe sistemet, të lidhura mirë me mundësinë që ofron mjedisi natyror për mbijetesë”.
Një teori lind sipas kanuneve të projektit në favor të përdoruesve, rrënja është zemra dhe shqisat, duke shmangur ngatërrimin se çfarë do të thotë të jesh arbër apo shqiptarët e sotëm, ose më mirë çfarë është e lashta dhe e reja e popullit të lavdishëm.
7) -Qendra Antike e Napolit Purple, vlera e Arbërve, ne krahasim me qendren historike te Tiranës-
Pas eksodit latent të Arbanve në rajonet jugore, pas vdekjes së heroit të Gjergj Kastrioti, dhe zgjedhjes së gruas së tij, Donika Arianiti Komneno, e cila preferoi Napolin si portin e saj të sigurt, pasardhësit e tij dhe njerëzit që i qëndruan besnikë filloi një eksod i konsiderueshëm.
Kështu ndodhi një eksod epokal i Arbërit, në zbarkimet e mbretërisë; i cili pasoi pelegrinazhin përgjatë brigjeve të Adriatikut, Jonit dhe Tirrenit, drejt kodrave ku u kapën vendet paralele, duke shkaktuar kështu periudhën e shkurtër të përballjes dhe përballjen mesatare, si dhe bazat e njohurive të protokollit të integrimit. Në shtatë rajone të Italisë së sotme jugore, lindën njëzet e një makro-zonat që përbëheshin nga mbi njëqind grumbullime, duke qenë pjesë e Rajonit të Përhapur Historik të Arbërit, garnizone paralele të karakterizuara nga katër rrethet tipike dhe të gjithë të etur për të shartuar rrënjët e tokës nga e cila u detyruan të iknin.
Duhet të kalojnë rreth dy shekuj që të lindin shkëndijat e para të zjarrit kulturor ku arbërit e shumtë, fillimisht në formë fetare dhe më pas gjithnjë e më laike, në kryeqytetin e Napolit shquhen në të gjithë titujt kulturorë të Evropës.
Një numër ekselencash që panë pozitivisht të njëjtën histori të mbretërisë, në çdo krahinë fillojnë të formohen nga ato që në atë kohë konsideroheshin si shkolla minimale të detyrueshme dhe gjurmojnë një njohuri të re moderne, në raport me atë sociale dhe kulturore, shkencën ekzakte, politikën, sociologjinë dhe për fat të keq, edhe në ngjarjet e përfitimit ekonomik, të cilat ende sot lanë disa huti të paqarta, të cilat bëhet një siguri për ata pak që ata dinë të interpretojnë historinë.
Ndërhyrja kulturore merr fillimin e saj, falë princave monastike përmes të cilave përhapen besimet, gjuhët e lashta, arti dhe historia, kjo i drejtohet një grupi shumë të vogël ose të brendshëm fatlume, të cilët duhet të presin fronin e Napolit të Mbretit Charlesin e III, për të pasur pikën e kthesës epokale. Që nga inaugurimi i fronit të mbretit, filloi një revolucion i vërtetë kulturor. U ngritën gjimnazet, universitetet, muzetë, akademitë, vendet e studimit dhe restaurimit të artefakteve, artet qeramike, kopshtet botanike, në të gjitha një rinisje kulturore reale dhe e paprecedentë.
Në përgjithësi, në mënyrë të përgjithshme dhe të zakonshme, preferohet të ndriçohen dhe të vlerësohen ata që kanë punuar shumë ose më saktë me kokëfortësi vendosin libra alfabetësh dhe tregime sipas rregullave gramatikore, të cilat janë të padobishme për të thënë të paktën, dhe pavarësisht nga kjo preferencë, lokale ose afonike. Janë burrat e tjerë të rajonit historik që shkëlqejnë për të arritur të nderuar në të gjitha dhomat e ndenjjes së Evropës, pa e zgjeruar shumë audiencën.
Nëse nga pikëpamja gjuhësore Pasquale Baffi mbolli themelet e hetimit drejtuar origjinës idiomatike, duke ndjerë potencialin e tij, erdhën nga e gjithë Evropa për të marrë dhe mësuar mendimin e ri politik, kulturor, shoqëror dhe historik albanofon.
8) – Orientale e Napolit, Universiteti i parë Albanofon në Evropë: i njohur si “Kolegji i Kinezëve”-
Universiteti i Napolit “L’Orientale” e ka origjinën nga Collegio dei Cinesi, i themeluar nga Matteo Ripa, një prift laik dhe misionar, i cili nga viti 1711 deri në 1723 kishte punuar, si piktor/gdhendës bakri, në oborrin e Mançus,Perandori Kangxi.Do të jetë Klementi XII, me një përmbledhje të datës 7 prill 1732, i cili do t’i ofrojë njohje zyrtare Kolegjit të Kinezëve, i cili kishte si qëllim formimin fetar dhe shugurimin meshtarak të të rinjve kinezë të destinuar të përhapnin katolicizmin në vendin e tyre.
Nga viti 1747, qenë të rinjtë nga Perandoria Osmane (shqiptarë, boshnjakë, malazezë, serbët, bullgarët, grekët, libanezët, egjiptianët) me qëllim të marrjes së formimit fetar dhe shugurimit priftëror, sepse atëherë ata mund të kryenin veprimtari misionare në vendet e tyre të origjinës.
Pas bashkimit të Italisë, Kolegji Kinez u shndërrua në 1868 në Kolegjin Mbretëror Aziatik, i ndarë në dy seksionet: e vjetra, misionare dhe një e re, e hapur për të rinjtë laikë të interesuar për studimin e gjuhëve të foluranë Azinë Lindore.
Pas reformës De Sanctis, u inauguruan mësimet e hindishtes dhe urdusë, si dhe persishtes dhe greqishtes moderne. Në dhjetor 1888, një ligj shtetëror e transformoi Kolegjin Mbretëror Aziatik në një Institut Oriental.
Aktualisht “L’Orientale” është e specializuar në mësimet gjuhësore-letrare dhe historiko-artistike në lidhje me Orientin dhe Afrika, pa lënë pas dore kulturat e shprehura nga vendet e Mesdheut, Evropa dhe Amerika.
Në vitin 1900, në Institutin e atëhershëm Universitar Oriental të Napolit, qytet i cili u njoh për rolin e tij si qendror gjatë gjithë shekullit XIX për “çështjen shqiptare u krijua katedra e parë universitare e gjuhës dhe letërsia shqipe në Evropë.
Giuseppe Schirò, një studiues i shquar dhe mbledhës i vëmendshëm i traditave poetike arbër, ishte profesori i parë universitet, në Institutin Oriental të Napolit, drejtor i të cilit ishte edhe ai.
Ai ishte ndër nismëtarët e një letërsie që nga arbërit zgjerohej gjithnjë e më shumë, duke mirëpritur këndvështrime autoritar, frymëzues i intelektualëve të kohës së tij dhe luajti një rol të rëndësishëm në lëvizjen e Rilindjes shqiptare dhe në pavarësinë e Shqipërisë, duke marrë pjesë aktive së bashku me elitat intelektuale shqiptare.
Pasi ndoqi Seminarin Italo-Shqiptar në Palermo, ai u diplomua për drejtësi dhe u përball me
Çështja shqiptare ka jetuar nga fundi i shekullit të 19-të deri në fillim të shekullit të 20-të duke frekuentuar viset shqiptare dhe për këtë meriton për t’u ngjitur në karrigen e parë të institutit.
Jo më pak domethënëse ishin hetimet e bëra në fushën e traditave letrare popullore arbërore, nga të cilat ai tërhoqi të gjitha gjuhët, me synimin për njësimin e tyre. Një rëndësi të veçantë kanë studimet në fushën e filologjisë letërsia dhe dialektologjia dhe vitet e kaluara në Napoli mbeten të jashtëzakonshme
Ai qe mësuesi i parë i Gjuhës dhe Letërsisë Shqipe në Istituto Regio Orientale dha mësim nga viti 1900 deri në vdekjen e tij. Në këtë rol ai rifilloi idenë kombëtare shqiptare në qarqet kulturore dhe politike italiane dhe promovoi nismat editoriale dhe reklamuese, si Arbër i rii.
9) – Konkluzionet dhe aktivitetet për suksesin e projektit –
Në dritën e kësaj linje, vë në pahë ankesën dhe nevojën e qartë për të mbrojtur qendrat antike dhe protokollet për gjërat e vendosura në dispozitat e instituteve dhe institucioneve që nuk kanë forcën, ose më mirë aftësinë interpretuese për të realizuar projekte të vazhdimësisë historike të këtyre vendeve, sendeve dhe njerëzve, është evidente.
Zakoni i rrallë i pakicës, i ankoruar në këto zona, pret restaurimin e duhur që e vendos atë me respekt në skenarin social, kulturor dhe shkencor të të gjithë Mesdheut si dhe të integruar përpara interpretimeve të lira që pasuan njëri-tjetrin nga fundi i shekullit të kaluar.
Krahina e Përhapur Historike e Arbërit lindën sepse është rezultat i veprimit të një qytetërimi të pazgjidhshëm, jo fryt i veprimit konstruktiv të një individi apo individësh pa formim që formojnë një grup; është një varëse kulturash dhe për këtë arsye duhet të mbrohet. Pas ngjarjeve që kanë ndodhur në dekadat e fundit dhe pikërisht që nga vitet shtatëdhjetë të shekullin e kaluar, ose më mirë pas gjashtëdhjetë e tetë, në dritën e ngjarjeve, duhet të bëhet një shqyrtim i arsyeshëm dhe të ndiqet synimi i depozitimit të sigurt të zonave më shumë se njëqind vendeve arbërore. Në veçanti qendrat antike, përmes ndërhyrjeve të duhura thelbësore për të ringjallur trashëgiminë historike të ndërtuar në 550 vjet jetë arbërore. Rimëkëmbja e aglomerateve së bashku me gjërat materiale dhe jomateriale, mjedisin natyror, kromatikët piktoreske duhet të kenë si përfundim, zhvendosjen e pakicës historike që duhet të ndahet jo vetëm me shoqatat, ngjarje dhe takime që janë të pamjaftueshme për t’u thënë më së paku nga i gjithë rajoni arbëresh. Është e nevojshme, urgjente ose e domosdoshme të nisin projekte që kanë si tregues historinë shqipfolëse, këtu në Itali dhe nga toka me origjinë shqiptare, vendet ku janë ende të njomur muraturat e gurta, të cilat vazhdojnë të kumbojnë një gjuhë të lashtë me rrënjë të reja e shumë të lashta.
Nëse në këto shartojmë veprimtaritë, zakonet dhe gjenialitetin vendas në zakone agro, pyjore dhe baritore, në mënyrë solide bashkëjetesa me trevat Historike dhe Shqipërisë së sotme, ne mund ta bëjmë protokollin tonë solid, elastik dhe të pathyeshëm.
Ka një rajon historik në perëndim të Adriatikut me 109 vende me origjinë arbërore me kryeqytet Napolin; ka një kryeqytet të kombit shqiptar Tirana në lindje të Adriatikut; historia mëson se kalorësit dhe mbretërit bashkohen ose më mirë konvergojnë në brigjet e një lumi, për të nisur sezonet e reja të projekteve të përbashkëta dhe për të përmirësuar gjërat dhe njerëzit.
Gjeografia shpjegon se çfarë është deti dhe çfarë është lumi; historikisht Adriatiku ka më shumë pamjen e një lumi edhe nëse quhet det, për këtë, me një vështrim më të afërt, të përbëjë një moment bashkëpunimi vëllazëror social dhe kulturor, në momentin historik që ne jetojmë, një shembull i mirë për të gjithë popullsinë e kontinentit të vjetër.
Ne i kemi në dispozicion të gjithë elementët, pra shkollat, universitetet, institucionet, shoqatat, ACLI (Shoqatat, Cristiane Lavoratori Italiani), si dhe figura të shumta të forta kulturore, për të nxitur aktivitete bashkëpunimi, të cilëve Temat e propozimit fillestar janë si më poshtë:
– Kurse Historike, Gjuhësore dhe Teologjike;
– Figura historike arbër dhe shqiptare; burim kulturor i kontinentit të vjetër
– Historia e Urbanistikës dhe Arkitekturës;
– Historia e zakoneve shoqërore;
– Historia e kostumeve;
– Fjalori që bashkon brigjet e Adriatikut
– Aspektet sociologjike mesdhetare;
– Aspekte dhe implikime filozofike;
– Aspekte historike dhe antropologjike;
– Marrëdhëniet ndërkombëtare midis Lindjes dhe Perëndimit të Adriatikut;
– Pompei, Butrint, Ercolane
– Rruga Apia,Traiana,Egnatia;
Posted on 06 marzo 2023 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Dal 1469 sino al 1502 le spiagge a sud del meridione Italiano, accolsero un numero elevato di profughi provenienti dai governariati allocati a nord e a sud della via Egnazia, via che da Durazzo mira ad Est.
Le genti, provenienti da queste regioni, migravano per non essere piegati a volontà e credenze altre, vedersi rapiti i figli, allevati secondo regole pagane, per questo famiglie intere, lasciavano ogni cosa materiale e prendevano la via del mare, con il cuore e la mente pieni di sentimenti di radice .
Non si contano le partenze in pena, del su citato intervallo storico, tuttavia, si narrano gli approdi con bambini, bambine, donne, uomini genitori e prelati, tutti in sofferenza e mal vestiti, per non dire ignudi.
Di queste frotte di genti dell’epoca, si annotava, il favellar una lingua ignota, senza cogliere la misura della pena, malinconica di dolore per le cose abbandonate nelle terre, ad est, oltre il fiume Adriatico sino dove diventa Jonio, che senza veli palesavano dolore.
Certo che cogliere solo braccia stese verso il cielo, forse in cerca di calore ideale, doveva attrarre di più l’attenzione degli osservatori viste le copiose lacrime che sgorgavano amare, per i domani incerti di sale, misura certa della tragedia in corso.
Si deduce che le cronache del tempo annotarono solo frammenti di cosa avveniva, senza che nessuno rilevasse, se li vi fossero barche o resti di generi, nessuno ricorda quanti corsero ad aiutarli, quale fu il tempo in balia delle onde o quanti non ebbe ristoro al sole, perché in mare ignoti per sempre.
Da quel tempo, per i discendenti di quella dinastia non fu mai domenica, l’uomo e le società di quegli abbracci naturali, forse hanno mutato il modo di vivere, fare accoglienza e dare notizia, tuttavia, quelle spiagge continuano ad essere teatro di identiche vicende, senza che nulla sia stato rinnovato, prima, durante e dopo lo sbarco e per i meno fortunati, rimasti per sempre in mare.
Vero è che l’esperienza segnò, con violenza la memoria di queste genti, le quali, tutte e senza eccezione alcuna, si diressero, senza prender fiato, lontano dal mare, con cui per secoli non ebbero più nulla da spartire, se non il sale, preferendo quello di cava che fa le colline.
Cento passi e anche di più, oggi valgono uno per ogni paese che gli scampati allestirono lontano dal mare, qui sicuri e lontani dalle onde, si adoperarono per il ricordo mediterraneo parallelo, in forme dolci e simili a quelle di terra di origine.
È il mare che segna, per sempre, una delle minoranze più caparbie del meridione oggi viva e vegeta, i quali, senza più guardare indietro, preferirono allocarsi distanti da quello che sembrava semplice via, per cercar buona fratellanza terrena.
Tutti partivano per sfuggire a un modo di vivere imposto, pronti a sopportare ogni peso che non calpestasse la propria credenza, disposto a confrontarsi prima con il mare, poi la china diversamente articolata, gli eventi naturali, che prima o poi termina e fa splendere il sole.
Disposti alle fatiche più avverse, come avveniva nel XIV secolo, disponendosi in vecchi casali abbandonati da innalzare, oltremodo colmi di pene da sanare, grotte da scavare, terre da bonificare e nel contempo rimanere fedeli alla promessa data ” BESA“, ovvero garantire continuità alla propria radice, nonostante fossero definirti, con sostantivi a dir poco inopportuni quali: portatori di malattie, violenti, senza leggi, orfani senza misura, attentatori e sin anche colpevoli dei ratti storici attribuiti loro dagli indigeni che sottraevano le elemosine di Francesco, quello di Paola.
Anomalia ancora in voga al giorno d’oggi, nonostante la cenere con cultura abbondi, non si è stati in grado di eliminare questi “immeritato marchi per classificare generi sconosciuti”.
Gli esempi in tale senso sono innumerevoli, ma quello che oggi identifica il meridione quale culla della dieta mediterranea, non è un errore, attribuirlo o aggiudicarlo a queste genti di minoranza approdati dal mare e venuti dalla Via Egnazia.
A tal fine va sottolineato che i migranti, sono stati identificati quale valore minore al sociale di queste terre e non indispensabili, in prima accoglienza, prevalendo il protocollo, secondo cui non era riconosciuto alcun diritto, in discendenza delle aree poste a coltura, costringendoli il più delle volte a migrare per terra alta, quando il referente passava a miglior vita.
Nonostante nell’antichità, le grotte furono trasformate in abituri, realizzati elevati aditivi, le terre selvagge piantumate e rese produttive; la diffidenza verso quanti erano giunti per mare della via Egnazia, restava identica, anzi, con lo scorrere dei decenni, diventava pena sociale, a cui indirizzare ogni genere di colpa, senza dubbi o processi a discolpa.
Condanne decise a priori, al punto tale da imporre, agli scampati del “mare nostrum”, il non cavalcare durante il giorno, o al ritorno a casa dopo il lavoro nei campi, come se fosse conferma di un mal tolto o latrocinio compiuto.
Se a questo associamo l’imposizione che nel corso della notte, prima dell’imbrunire e dopo all’alba, di dover restare entro recinti solidi da costruire in altre parole una sorta di arresti domiciliari, nei propri sheshi, ad esclusione dei “Prati di confine pastorale”, non erano certo questi atti di fiducia, verso quanti sostenevano l’economia dell’epoca con sudore e patimenti irripetibili.
A tal fine è bene precisare che i “contraenti senza appello”, avevano come pena certa, l’amputazione di un arto per ogni evasione o ritardo del rientro, tutto ciò sottolinea ancora una volta quanta fiducia era rivolata ai migranti, dalle istituzioni tutte.
A ben vedere, senza soluzione di epoca, visto e considerato le notizie di cronaca diffuse dai media, nel nostro tempo che corre a due velocità, oggi più della sottrazione fisica degli arti, amputano la morale.
Ma gli imperturbabili, operosi e onesti uomini della Egnazia, per ovviare al non poter cavalcare con la sella, inventarono “il Basto”, un oggetto da carico e di trasporto per cose non per la struttura dell’uomo.
Poi venne il “termine” dell’accanimento degli uomini e iniziarono le avversità della natura con terremoti, carestie, pandemie e ogni sorta di avversità.
Storicamente tutte queste attività che trovarono identica applicazione contro l’uomo, si scontrarono, con l’infinita caparbietà di queste famiglie Kanuniane, le quali, non hanno mutato nulla della propria radice di fare fratellanza onesta, distinguendosi così per la limpida esistenza, confortata ad iniziare dal 1734, con le attività sociali e clericali poste in essere dalla ascesa di re Carlo III.
Nascono così le figure del sapere della dinastia dei minoritari, eccellenze in campo delle cose di politica, cultura, scienza esatta e ogni genere di studio per valorizzare queste terre di approdo, condividendo con tutti i profughi di simile radice lontano dal mare.
Tuttavia le questioni economiche e produttive non persero il senso di prendere l’infinita china senza “termine”, perché illuminata la via della cultura, il trionfo di tutti, rimaneva sempre valida la buia questione economica dei pochi.
Sono gli stessi che nascono e si moltiplicano nel corso del terremoto del 1783, scacciati dai promontori sicuri e solidità di quelle terre, definite ” meno pericolosi” dagli esperti dell’epoca come quelli dei recenti teoremi secondo cui i paralleli mediterranei sono uguali, ripetendo ancora l’infinita anche nel corso del primo decennio del secolo appena iniziato e dover ancora migrar per terra.
Tornando alle epoche del passato, riprendiamo con gli avvenimenti del 1796 quando i soliti noti, cercarono di agevolare i più poveri, con la misura riportata testualmente dalla regola venerabile del Monte del Grano, secolo XVIII°, la di cui stesura lascia oltremodo basiti e senza parole, delineando un nuovo di un calvario interminabile di sudore senza guadagno; secondo cui :Il grano dato in prestito per la semina, va utilizzato esclusivamente nel bacino di prestito e qualora i contadini, nonostante gli interessi di restituzione, fossero diventati ricchi, per questo autonomi e non più interessati al prestito, le rendite di questi, sarebbero rimaste a disposizione del monte o di enti successori, che ne avrebbero disposto in piena autonomia.
Quanto qui citato è la “filiera insediativa” affrontata dalla minoranza oggi definita Arbër, i pionieri che non mirano ad invadere, sottomettere o distruggere le terre dei mille abbracci naturali, ma per vivere in pace con gli indigeni.
Se a questo aggiungiamo il dato che migravano secondo piani prestabiliti, tra quanti credevano alle direttive fondamentali dell’Ordine del Drago, le cose non ebbero come abbiamo accennato, svolgimento o attuazione secondo il protocollo ordinistico in forma perfettamente cavalleresca o almeno dignitosa.
Tuttavia la minoranza, assieme alla maggioranza rimasta nella terra di origine, ebbero il coraggio di assumersi l’onere di tutelare l’intero patrimonio per la discendenza, nel seguente modo:
Tuttavia nel breve e medio termine a prevalere, è stato il volano della diffidenza verso un nuovo modello identitario, che si affiancava a quello indigeno nel meridione Italiano, in grave sofferenza economica e sociale, ragion per la quale non sempre è stato lasciato libera espressione alle cose dei profughi Arbanon.
La novità fu che poi nei fatti chi rimase in terra madre a difendere confini segui le previsioni dell’epoca, diversamente dai migranti che si dovettero rimboccare le maniche e superare oltre la diffidenza non poche avversità.
La discriminazione è dovunque, non abbandona mai le generazioni dei profughi di mare, poi migranti di terra, avendo l’indice sempre puntato e pronto a descrive “inopportune e inadatte classificazioni di prevaricazione”.
Questo è l’infinito che non cambia, per quanti usano vagare alla ricerca di luoghi paralleli, comunemente appellata casa, tuttavia essere convinti di possedere cinque sensi e sentimenti leali di cose buone, è il valore aggiunto che hanno gli Arbër, definiti per questo, dalle “Istituzioni Italiane Alte”; modello di accoglienza e integrazione, tra i più vivi e longevi del mediterraneo e quello che più vale “non somma di assoluti”.
P. S. La cultura è poca, spetta ai saggi farne tesoro e non sprecarla per Strade e “Prati” dove pasce gli eletti dell’ignoranza in astinenza.
Posted on 21 gennaio 2023 by admin
NAPOLI (a cura dello Storico Atanasio Pizzi Basile) – La geografia suddivide i territori del globo terrestre in, Regioni Politiche, Storiche e Ambientali, esse rispettivamente definiscono:
– gli ambiti politici, economici e culturali simili, condivisi da una ben identificato popolo;
– i legami storici di popoli che migrano per la tutela i propri valori identitari, diffusamente disposti nei parallelismi ritrovati;
– i sistemi ambientali di uno specifico luogo, non replicabile o ripetibile altrove.
Parlare di regioni politiche circoscritte, o localmente ambienti naturali, non è l’argomento di cui si vuole in questa breve diplomatica trattare, ma il rispetto, volto nell’appellare, non “Regione Storica ” o identificato popolo, privato del suo territorio, ma “Allegoria”, senza regione, in tutte le divagazioni storiche e nelle analisi grammaticali “diffuse”, in terminazione di “ia”.
Certo che per ogni azione la mira dovrebbe puntare nell’atto di valorizzare le cose del popolo in esame di tutela, non affidarsi a un semplice e isolato sostantivo, verbo o aggettivo, con la terminazione in “ia”, perché così, non sarà mai sforzo sufficiente per valorizzare cultura, luoghi e uomini.
A tal fine si può affermare che non è così che si dà forza, a secoli di storia in sacrifici, per giungere a nobili e duraturi risultati.
Ogni qual volta, che è stato chiesto espressamente memoria, di tele terminazione alfabeta, le molteplici garanzie, dai saggi non sono convenute e una tessitura comune, chiara o comprensibile, se non romanze estratte da altre culture.
Ragion per la quale, prima che lo storico incontro tra i presidenti Italiano e Albanese, avvenisse nel Cortile Adrianeo, è stata inviata ampia missiva al Presidente, che poi nel mitico incontro si è espresso, come qui segue: “gli Arbër sono esempio di accoglienza e integrazione mediterranea e vanno tutelati”.
In ragione di questa elevata affermazione, e rileggendo le direttive legislativo del 26 marzo 2008, n. 63, per il quale l’indirizzo fondamentale di tutela, non deve esse inteso come “mero divieto alla non discriminazione dei minori”, bensì, “sollecito ad acquisire atteggiamenti e misure positive per il prodursi della più solida continuità culturale”.
In ragione del fatto che per principio, gli Arbër, sono sempre stati rispettosi della legittimità, che pretende che i confini etnici non siano violati dalla politica e, in particolare, che i confini etnici all’interno di un determinato Stato … non separino i detentori del potere di tutti i cittadini.
In ragione di ciò si conferma l’urgenza, di promuovere studi multidisciplinari, secondo cui, una identità culturale, non può terminare con l’essere identificati come lingua altra, ignorando i meriti delle attività, ad essi attribuite, in campo sociale, culturale, in consuetudine, credenza, il genio locale oltre al rispetto dell’ambiente naturale e le leggi di quel territorio nazionale, giacché, luogo diffuso di “esempio in modello identitario”.
La Regione storica diffusa degli Arbër, rappresenta un fenomeno mediterraneo che non ha eguali, essa si riverbera identicamente nel corso dei millenni, sempre in egual misura, facilitata dal suo codice antico e per questo conservato nei detti termini diffusi.
Un popolo capace di confrontarsi con le genti indigene di ogni luogo con la fratellanza, la conoscenza, per evidenziare in prima analisi, il voler vivere in pace operosa e il rispetto del luogo di accoglienza, buone intenzioni finalizzate al rispristino delle cose perdute o in pericolo, di quel luogo buono.
Greci, poi Romani nel tempo delle capitali di Oriente e Occidente, i Veneziani e tutti i popoli e le dinastie che hanno dominato il vecchio continente, hanno sempre riconosciuto a questo popolo, le caparbie intenzioni di tutela di uno specifico territorio, sulla base del leale confronto tra uomo e natura.
Cosi come avviene dopo il 1468, il tempo della unica e vera migrazione albanofona, durata sino al 1502, un corridoio di accoglienza per Arbër e Arbën, verso le province del Regno di Napoli.
Un patto progettato, definito e sugellato alla luce dei principi di mutuo soccorso, dei facente parte dell’Ordine del Drago, i quali, prima in favore degli Aragonesi, e poi verso i profughi provenienti dalle terre di oltre adriatico orfani del padre condottiero, allestirono capitoli e arche di preferenza, durati non meno di cinque decenni.
Oggi la minoranza di tema, detiene un potenziale in autotutela relativamente solido, la cui tendenza tende a sminuirlo con provvedimento molto discutibili, in altre parole, con farina di sacchi altrui, terminando di fare come il navigante inesperto con le vele spiegato al vento, senza comprendere come per dare forza alla navigazione e nel mentre il vento termina.
Sono numerosi gli accadimenti e gli avvenimenti che sviliscono la forza identitaria di questo popolo, a cui comunemente sono abbarbicati fatti cose e persone indigene o accadute in altri luoghi, non ultimo e il divulgare promuove e valorizzare l’accoglienza e i percorsi del turismo buono, senza menzionare l’ideatore di questa nuova disciplina della carta stampa del XIX secolo scorso.
Come l’attribuzione al luogo dei cinque sensi degli Arbër, esposta in gogna come mera piazzetta, abbellita da quattro, cinque, forse sei e anche sette porte, (buon peso come si fa al mercato) per terminare il preferire l’indigeno al parente (cosa mai vera ne disposta in nessun loco) poi venne, il mercato a cielo aperto del Criscito per fare pane, senza mai citare il luogo dei cinque sensi o ancor meglio il governo delle donne per fare discendenza e formazione alle nuove generazioni, in altre parole la scuola ancor prima che Greci e Romani ne avessero consapevolezza.
Senza dimenticare l’evento storico passato inosservato, da tutti i cultori e difensori della storia del consuetudinario di minoranza, restati impassibili davanti al genio che costruiva un Katundë nuovo, perché esperto delle terre desertiche prive di Acqua, affermando per questo, (quindi udito e noto a tutti i difensori di cose malevoli), di voler costruire un “nuovo centro antico” in quanto forte in all’allestire cantiere, in loco meno pericoloso, impastando, centrifugando alchimie in cemento e intrecciando ferri strutturali, “per fare Gjitonie a petalo”.
Il consuetudinario importato dagli Arbër e Arbën, forza indelebile della Regione storica diffusa degli Albanofoni, oggi vive lo stremo delle ultime forze, per questo, occorrono figure di estrazione curriculare, capaci di attingere dal cuore e dalla mente e i cinque sensi, tutto l’inchiostro indispensabile, per diffondere la storia vera, secondo il diktat quanti sono in sintonia con la storia vera.
Per terminare, un piccolo appunto va fatto sul costume tipico Arbër; quello che unisce le cose della casa e della chiesa e fare famiglia, ovvero, il manuale in forma di arte sartoriale, comunemente indossato, per scalciare, ballare e sollevare a mo’ improprio, così tanto da non creare i parametri di educazione minimali, per i quali fu realizzato.
Esso oggi appare come lamento stremo di stoffe ori e merletti, inoperosi delle antiche regine del fuoco, vibrazione di filamenti nelle attività di famiglia, che al giorno d’oggi si traducono, in atti non di valore, ma per soffocare gli stridi di dolore delle famiglie che terminano la missione.
A questo punto urge appellare in raccolta, le eccellenze tutte lasciate a macerare, per sterili campanilismi, il popolo delle cattedre vuote o spazi ameni in attesa di udire certezze; serve alimentare il futuro di verità e certezze, lo stesso intercettato ed espressa dal presidente della Repubblica Italiana, in quel cortile che ha sempre dato lumi solidi alla minoranza, gli stessi disperi del protocollo Arbër, troppe volte depositati in luoghi di buio permanente!
Posted on 18 luglio 2022 by admin
NAPOLI ( di Atanasio Pizzi Basile) – Napoli nella storia degli Arbër rappresenta la capitale della cultura, per questo, si potrebbe paragonare a un lago buono, alimentato dai torrenti di acque cristalline provenienti dagli oltre cento paesi collinari della regione storica diffusa Arbër, l’ultima forza culturale che alimenta il sapere nel meridione da secoli.
La capitale partenopea da ciò, è stata e resta il luogo dove riecheggia nell’intimità dei bassi e poi su verso i cortili e le scale delle case nobiliari, la favella più antica d’Europa ovvero: l’Arbanon, Arbër, Arbën, Kalabanon, Arbëreshe, da non confondere con l’Albanese, moderna variate dello scisma del 1468.
Numerosi sono stati gli eccelsi che in ogni tempo hanno dato valore al centro antico ordinato, facendolo brillare in cultura, società e scienza, per garbo, educazione e modi di porsi nei veri salotti culturali.
E’ sempre il popolo Arbër a trovare soluzione, strategiche, prima adoperandosi per dissodare e valorizzare terre incolte e risollevare l’economia, poi formandosi in attività di rilievo che dal 1799 riverberarono il modello dei libero pensiero in Europa, ancor oggi inviolato.
Chi vive e studia a Napoli da orfano Arbër, conosce bene luoghi, cose, e avvenimenti oltre i percorsi del processo evolutivo a cui hanno contribuito questa storica popolazione; e rimane a dir poco basito, nel vede giungere frotte di giullari reboanti, che scambiano i torrenti di limpida cultura per “butti”.
I valori culturali diffusamente divulgati da secoli, qui nella capitale, hanno perso la via dell’eccellenza, in quando sono mutate le generazioni di guida istituzionale, oltre la qualità del sapere diffuso, specie per quanti immaginano che abbarbicarsi ad un emblema, possa fornire lumi per se e le nuove generazioni che gli danno ascolto.
La mancanza di culturale non è solo un fatto di formazione o conoscenza, ma è anche il modo con cui ci si pone per raccoglierla; certamente cantando, ballando e rumoreggiando non è il modo migliore per avvicinarsi ai saggi per ricevere in dono lo scettro per la continuità.
Ragion per la quale quei rivoli di acqua limpida, che nutrono il sapere, a ben vedere, per le nuove generazioni non appariscono sufficienti e rendono merito alla cultura, in altre parole, sono intesi come inutili rivoli a cielo aperto, con lento movimento e null’altro; senza immaginare che il filtraggio di quelle acque prima di apparire in superficie è accarezzata da tutte le cose buone che la terra conserva nella sua memoria.
A seguito di questa premessa, la Napoli che racconta degli arbër, dal suo centro antico ordinato, i cardini, i decumani, le piazze, i musei, le chiese, le porte storiche e i quartieri fuori le mura, oltre gli itinerari della memoria, tutti assieme, non hanno bisogno di quanti sono sfuggiti dai recinti dei mandamenti onciari citeriori, per apparire negli anfratti del Plebiscito a raccontare favole e far canzoni secondo le teorie dei fratelli Grimm.
A Napoli è bene che si sappia, esiste già chi ha segnato muri, pietre, anfratti, case palazzi, i quali attendono solo di essere adeguatamente illuminati, per restituire i sostantivi per descrivere l’uomo, il tempo e i luoghi, unitariamente per tutta la regione storica, in altre parole la tanto agognata “Grammatica Arbër”.
In questa magica città, ogni strada, vicoli, anfratto piazza o elevato conosce la storia e tutto quello che qui accadde, grazie a figure di elevata cultura, che scolpirono ogni cosa; solo quanti si recano in rispettoso silenzio, riescono ad ascoltare il suono del vento che genera notizia, senza strimpellare musical, come si fa in altri meridiani, altrimenti si copre ogni cosa e non si ode nulla.
Napoli e la sua riserva di acqua limpida, sono una risorsa naturale per il giardino dove si producono certezze storiche; quanti immaginano di potervi sbarcare seminando fatuo, sbagliato luogo, allo scopo è bene precisare che chi sale in cattedra per germogliare cultura, o è certo della genuinità delle semi che ha in mano o va in altri fiumi più a est, dove tutti sono liberi di seminare la propria confusione condivisa.
Non si possono liberamente iniziare dibattiti, per valorizzare figure, per poi terminare con prestiti e i titoli altrui, il problema è sempre lo stesso; serve avvicinarsi silenziosamente all’argomento, senza rumore, in questo caso specifico, senza partire da casa inneggiando falsità, bastava ascoltare gli echi dei torrenti locali ancora grondanti di sangue, giustappunto, facendosi aiutati dalle generazioni di un tempo ancora formate, presenti e informate dei fatti; almeno avreste evitato d’intorpidire sin anche l’indiscreto fiume Sebeto.
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Posted on 27 giugno 2022 by admin
NAPOLI (- di Atanasio Pizzi Basile) – Quattro decenni di ricerca, comparazioni, lettura, riconoscimento sul campo di fatti della storia e diffusamente divulgati, in questi ultimi tempi dall’olimpo dell’Arbaria, sono ritenuti mero conflitto di competenze, in forza delle attività mercatali.
I valori deformati non collimano con la somma delle azioni, naturali, perché allevati nei presidi, rivolti verso azioni e consuetudini di un sole che nasce a nord e tramonta a sud.
Vero è che trovarsi innanzi a queste esternazioni a dir poco singolari o meglio mercato senza radice storica, perché estratti del wikizario popolare dell’ultima ora, lasciano a dir poco basiti per le figure che vogliono auto celebrarsi e fornire lume a quanti, della via che usa fare il sole, dal sorgere al tramonto, senza troppo impegni, mirano a fare mujna.
Chi è abituato a segnare ore di lavoro, confrontare ogni elemento con dovizia di particolari, non può tollerare quanti aprono discorso, nei luoghi istituzionali della ricerca, esprimendo oltremodo e gratuitamente per fare cultura senza intrecciare argomenti, in senso di luogo, di uomini e tempo.
Sono noti tutti i luoghi della capitale del regno partenopeo, Napoli e non servono figure istituzionali o emblemi di sorta, che senza alcuna rispetto verso la città, vi si recano per essere illuminati delle cose che altri hanno già provveduto a stendere al sole, con saggezza e dovizia di particolari; senza il bisogno di farsi aiutare da altri conferenzieri, a cui si danno calci sotto la cattedra, per impedire il giusto confronto.
Il centro antico di Napoli capitale, per la sua posizione baricentrica nel Mediteranno, facilitò l’approdo a Romani, Greci, Arabi, Bizantini, Normanni, Longobardi oltre a tante popolazioni e dinastie di rilievo.
Ognuna di esse depositò temi indissolubili, i cui lasciti sono diventati forza caratteristica culturale della città, tra questi, vanno ricordati anche gli antichi abitanti Arbër ed Arbën, gli abitanti dell’odierna Albania.
Le prospettive naturali della città partenopea, le strade, le piazze, gli edifici e gli elevati di culto; dal cuore ordinato e poi via, via, secondo un apparente disordine, nei quartieri fuori le mura, fissano l’identità dei residenti, di cui si nutrono i viandanti dalla breve esperienza in veste turistica.
La città metropolitana di oggi e quello antico di ieri, meritano una lettura approfondita, specie nei luoghi, dove furono seminati i germogli dell’integrazione Arbëri, racchiusi ancora oggi nel silenzio più intimo, tra i decumani del centro antico e in tempi più recenti nei quartieri nati per accogliere forza lavoro fuori le mura.
Dei due episodi storici di convivenza e cooperazione, il centro antico non corre alcun pericolo, per i processi di tutela cristallizzati dall’articolo nove della Costituzione, ed è proprio qui che hanno origine “I percorsi del genio Arbëreshe”, eccellenza, la cui tempra culturale fu affinata nei presidi della cultura da figure come: il Bugliaro, i Giura, il Baffi, lo Scura, i Bugliari, il Torelli, il Milani, il Leopardi e tante altre eccellenze che qui non è il casi di divulgare, le stesse che delinearono un vero e proprio itinerario per la diffusione culturale ad opera di Arbëreshë, qui, lungo i decumani e i cardini del centro antico della città e i rioni storici allestiti presso le porte storiche.
Tutto questo si rileva in luoghi specifici, dove avvennero i fatti, come testimoniano le innumerevoli pagine di storia, rilanciando e ricalcando, come si tentò di fare con poco successo, settant’anni addietro, innalzando un presidio culturale economico e produttivo dell’Albania, per la coloritura del potere a torto è dilapidato..
Attività che attende l’applicazione del progetto delineato sulla carta, non trova figure ligie culturalmente a comprendere il senso, la forma e la finalità di questo progetto pronto par partire.
Napoli non ha bisogni di un Messia, ne di Fatine a mezzanotte, tanto meno di Suonatori di Trombette, in quanto i figli adottati per cultura dalla Dea Partenopea li tiene sempre allenati culturalmente, nei giardini della Sapienza, nel cuore pulsante del centro antico e non lungo la via dei mulinari.
Sono questi figli arbëreshe, gli unici a ricambiare la Dea Partenopee, del gesto ricevuto, solo lei ne è orgogliosa, li mette in mostra tutte le volte che servono perche da secoli non l’hanno mai delusa in ogni genere di manifestazione di fedeltà culturale e storica.
Emulatori di ogni genere, la DEA, li “assecuta cu la scupa” perché distratta una volta, gli avidi innescarono processi in “dolore diffuso” spargendo sangue di cuore materno, lo stesso che scorre ancora, tra le acque dei torrenti Vote e il Galatrella senza più smettere di violare le limpide acque dove bevevano in gioventù i figli del sapere.
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