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BUARTIMË ILINË SHËGNËTH I HUDESË

Posted on 13 novembre 2020 by admin

Cattura.JPG839NAPOLI (di Atanasio Basile Pizzi) -Come di sovente, nei giorni scorsi mi sono state segnalate numerose attività all’interno della regione storica arbëreshë, in senso di consuetudini, attività di confronto con la terra madre e progetti secondo i quali dovrebbero essere  rispettati i termini di tutela e valorizzazione storica tra passato, presente e futuro.

Di esse, essendo le altre  di carattere intangibile e per questo lasciano il tempo che fa,  l’osservare da tecnici un “Master Planning”, vantato dai committenti, come eccellenza, preoccupa e per questo si ritiene di precisare quanto segue.

La presentazione del modello in forma tangibile, lascia palesemente trasparire la totale inconsapevolezza di quali fossero le strategie d’indirizzo e programmazione per l’ottenimento di risultati,  questi attraverso il disegno sono prova espressiva di un procedimento che non dimostra quale fase voglia esternare in forma: preliminare, definitiva, esecutiva o cantierabile.

Astenersi nell’entrare nei meriti del grafico, in termini di scelte e di esigenze, per le quali sono stati richiesti e si è ritenuto produrre cose è un’analisi doverosa, visto che appiattisce i meriti del senso locale in forma tangibile.

In conformità di studi, condotti da oltre quattro decenni, sarebbe un errore non cercare di fornire elementi fondamentali, o meglio far almeno ruotare la direzione di quel grafico, perché l’inadeguatezza di affrancamento  si sviluppa incuneandosi in forma anonima nei valori religiosi e consuetudinari di riposo eterno.

Lavorare in ambiti minoritari dove la valorizzazione del consuetudinario della metrica e la credenza popolare, sono gli elementi fondamentali depositati in forma tangibile, alterarli, gratuitamente produce danno incalcolabile, specie se terminano la discendenza tra, passato, presente e futuro, le di cui generazioni, devono avere in eredità, adeguati aspetti tangibili da riverberare.

A tal proposito è bene ricordare che “Harj Shëgnët” il 12 giugno 1804, grazie alle direttive di Napoleone inizia a disciplinare, diventando per questo i luoghi per il ricordo degli uomini di un tempo.

Prima di allora era costume seppellire, nei sotterranei delle chiese e quando gli spazi divenivano insufficienti si sistemava in area urbana adiacente, creando per la bisogna spazi opportunamente recintati.

Dopo la Restaurazione, Legge 11 Marzo 1817 di Ferdinando I, regola nel meridione, costruzione dei luoghi dell’eterno riposo “Harj Shëgnët” e in ogni comune di qua del Faro, fece seguito il Regolamento Ministeriale  del 21 Marzo 1817.

Solo dopo una serie migliorativa, con l’atto del 14 Luglio 1841, veniva disposto ogni elemento indispensabile per accogliere secondo credenza e arte chi avrebbe riposato eternamente.

Nel 1839 nel nostro caso era presentato un progetto per“Harj Shëgnët”, rispondeva egregiamente a tutte le linee guida, sanitarie e clericali, in senso di credenza, orientamento e distanziamento, vie pedonali, spazi privati e murazioni atte a coprire l’intimità del luogo di riposo.

Dopo poco meno di duecento anni l’opera è stata continuamente menomata di ogni sua parte fondamentale avendo in eredità il senso manomesso e confuso di quel luogo di riposo, stravolto nel citato elaborato di premessa; coprendo di bare e di segni, sin anche la strada percorsa secoli or sono dai padri fondatori per scappare dagli antagonisti che li avevano condannati a morte certa.

Oggi vedere interrotta quella via proprio da un luogo di riposo di specie è palesemente un atto ironico, probabilmente, ma sotto l’aspetto dell’identità è un pezzo di storia pubblicamente e continuativamente violentata.

Non so se questa piccola nota sarà accolta con il dovuto rispetto, perché, si tratta non di prese di posizioni, politiche o di controversia gratuita, né si tratta di adempimenti espressi da alchimisti senza titolo ed esperienza.

Qui parliamo del rispetto per quanti non vivono più, espresso secondo i voleri antichi; sono i germogli che fioriscono per il ricordo; non ascoltarli e renderli propri, significano fare il prossimo “fosso”, in direzione verticale, l’unica anomalia ancora non contemplata in quel sacro perimetro, che così facendo diventa di accumulo.

Terminando questo breve, si può affermare che dall’innesto del torrente Galatrella al fiume Crati, dopo un percorso tortuoso ed impervio, giunti sul pianoro, termina la strada che alimentava la luce del Casale terra dentro “Harj Shëgnët” se oggi comunemente la si vuole sopprimere, non si fa altro che confondere la luce abbagliate, quando si nasce, con la fiammella di chi spira.

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