ROMA ( di Paolo Borgia) – E venne il tempo per il nonno di portare in campagna il nipote. Il primo, quello del nome. Da molto tempo, il bimbo gli chiedeva questa gita, ma la saggezza attendeva la fine del freddo inverno e che il sole salisse più alto nel cielo. Ora,dunque, poteva iniziare ad esplorare il mondo al di là del protetto piccolo vicinato.
Una tiepida brezza saliva dal Piano di Santa Caterina verso il Monte Saravulli accarezzando il mulo gravato dal peso del nonno sul basto e del bimbo di dietro a cavalcioni sulla groppa, mentre raggiungevano la contrada sottratta alla boscaglia e spietrata: Llazi. Lungo la costa del monte, ricoperto di querce e castagni, apparivano al bimbo rocce appoggiate in bilico sul vuoto, che gli sembravano antichi inquietanti fantasmi, protagonisti di acrobatiche lotte solitarie.
Entrarono nella vigna attraverso un angusto varco tra i rovi, le acacie e i fichi d’India cresciuti da molto tempo tra le pietre tolte dal campo e messe tutt’intorno a confine. Appena dentro, ecco nell’angolo kalivja, il consueto capanno di pietre a secco poste in tondo e sormontate da una alta copertura conica di canne. Nello spiazzo antistante una grossa pietra cubica e in un angolo un fornello di muratura per scaldare al fuoco il misero cibo, sostegno per la dura fatica.
Non c’era un filo d’erba nel campo, tenuto pulito come una chiesa. Le viti erano messe ad alberello solitario e sorrette ad una ad una da un tutore di canna, distanziate giusto a farci passare un mulo. Un legaccio nella parte alta manteneva i lunghi tralci a formare una pupa di pampini. Qua e là alberi di pere, fichi, ciliege, amarene e un maestoso noce. C’era anche lo spazio sul bordo per seminare ceci o lenticchie. Due piccole sorgive d’acqua sgorgavano dal terreno ed erano raccolte da due cubici tabernacoli appoggiati al suolo, aperti su un lato da cui si attingeva per bere da pale di fichi d’India rinsecchite a forma di coppa.
Raccolsero insieme un po’ d’amarene, fili d’erba da masticare un po’ rossicci di un sapore aspro ma gradevole e qualche ramo di ceci. I bacelli erano ripieni del seme già ingranato e risuonavano allegri come giocattoli. Il nonno si mise, poi, al lavoro e il bimbo andava scoprendo il ricco nuovo mondo dalle infinite possibilità di gioco. Il tempo trascorse veloce. Poi il nonno a conferma dei sintomi della fame guardò l’orologio a catena del gilé, lasciò la sua occupazione, mise sull’altare di pietra il pane, il vino ed un tocco di formaggio. E accese il fuoco nel fornello per scaldare la zuppa di zucchine e patate dentro la gamella portata pronta da casa. Un raro fresco vento del Golfo portò il suono delle campane di mezzogiorno.
Ci volle un po’ perché la zuppa si scaldasse. L’aria si era andata riempendo della sua fragranza e il bimbo faceva impaziente festa…
Tutt’a un tratto apparvero dal varco due uomini a piedi: uno, vecchio con le mani legate con una catena, l’altro con un fondina di pistola alla cinta che trascinava il primo, il vecchio.
Il bimbo, intimidito, corse verso il nonno appoggiandosi alle sue gambe. Il nonno come ispirato riuscì a dire d’un fiato: «A manciari! (favorite!)». Rituale formula di invito a condividere la mensa. Il bandito, strattonando il vecchio, si accostò alla mensa senza proferir verbo e in men che non si dica si sbafò il cibo e si scolò il vino del bariletto.
Poi, subito, così come erano apparsi, scomparvero entrambi nel verde della vegetazione, proseguendo nell’infame traduzione del sequestrato: lontano appena pochi metri dalle strade carrozzabili continuamente percorse dalle Guzzi e dalle Campagnole in dotazione alle forze dell’ordine. I soldati del 24° Reggimento Artiglieria da Campagna erano accampati lì di fianco, sotto gli ulivi della Sclizza.
Il bimbo…..