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ARBËREŞË E ALBANESI: LA SOLIDA RADICE E IL FATUO RAMO DI UNA CIVILTÀ ANTICA

Posted on 27 giugno 2024 by admin

Drago

NAPOLI (Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Sono in continuo affanno le istituzioni a est e ad ovest del fiume Adriatico e, ormai ogni esternazione pubblica di quanti dovrebbero aver capito cosa sono i due fronti, lasciando perplessi e basiti quanti conoscono e hanno consapevolezza della gogna allestita dal XIV secolo.

La regione Storica Diffusa Sostenuta dagli Arbëreşë, è un bacino culturale esempio di caparbia conservazione di fatti, cose e uomini, in tutto, radice linguistica, consuetudinaria, culturale, religiosa della moderna Albania che ancora non sa e non prende misura.

Quest’ultima, invece di avvicinarsi e collaborare con intellighenzia e affiancandosi alla Regione Storica, si prodiga a portare a termine il progetto, che sei secoli orsono, l’invasore non ha avuto modo di completare, estendendolo a tutto il bacino balcano.

Infatti sfuggiti gli Arbëreşë, come la storia ricorda menziona e sottolinea, secondo trama diffusa incerta degli storici moderni, confusi e imprecisi, i prodi che trovarono agio nelle terre parallele del meridione italiano, senza conoscere anche da dove siano giunti e, senza tregua tutelato, sfuggendo all’invasore e, nonostante continuino a tessere valori di terra madre, sono definiti, traditori senza rispetto o figli degeneri, da quanti furono forgiati con forme di cupole e minareti dell’arte islamica.

Tuttavia e come se nulla fosse accaduto in era moderna, per quanto attiene le forme prodotte degli Albanese verso i tutori Arbëreşë, questi ultimi, sono affiancati ad oggi con interesse mirati ed energicamente apporre memorie del nostro eroe Giorgio Castriota, solo perché fu “Scanderbeg con effigi ed elmo non certo di memoria cristiana”.

La tendenza per questo, non è certo a favore o seve a sottolineati gli emblemi per e con i quali ottenne la guida del mutuo soccorso, come è impresso nella porta bronzea Angioina Partenopea, a memoria dei suoi seguaci Arbëreşë, ma con quelli dell’esaltazione di cupole anomale sormontata da effigi improprie e, prive di ogni referenza o valore Cristiano.

Si raccontano migrazioni, senza addurre particolari storici in atto di quello specifico intervallo, si contano, otto, nove, dieci e forse di più approdi, senza considerare la reale necessità balcanica dell’epoca o cose diverse da quelle proposte per la salvaguardi del patrimonio storico, come quello perfettamente conservato, tutelato e difeso sino ad oggi dagli Arbëreşë.

Si esaltano cavalieri battaglie e sterminio di pari dignitari, per valorizzare un valore che non certo la storia ricorda con fatti uomini e cose prodotte per il bene diffuso delle genti in attrito.

Si millanta la provenienza di esaltazione grecanica dell’sud dell’Albania e poi si appellano toponimi o identificativi comuni, riferimento del centro nord, lasciando intendere che furono genti di formazione paritaria alla magna greca storica.

Si numerano migrazioni, ben diverse da quelle innescate per necessità a seguito della battaglia della Piana dei Merli, nota anche come battaglia del Cossovo, combattuta nell’omonima località il 15 giugno 1389.

È da questo atto che nasce la necessità di difesa Cristiana contro l’Invadenza e la prepotenza delle corti con cupole e minareti di esaltazione, che in quell’epoca erano veri e proprie fucine di perversione e arrembaggio di esaltazione.

Tutto questo, nasceva in modo perverso, per ricattare i principi delle terre Balcane una volta circondati e costretti a consegnare la discendenza maschile, per allevarla e piegare al loro volere, morale o fisico dirsi voglia.

Come capito a molte famiglie, delle quali, valgano di esempio quanto incuneato al Castriota Giovanni e al principe Vlad II Tepes, e molti altri ancora come loro.

A tal proposito va ricordato cosa accadde nel marzo del 1444, ad Alessio, quando Giorgio Castriota, il minore dei figli di Giovanni, fu proclamato all’unanimità, guida cristiana, e siccome tutti erano consapevoli, tutti uniti secondo il sancito del mutuo soccorso dell’Ordine del Drago, per affrontare dignitosamente e alcune volte un po’ meno alle ingerenze e soprusi Mussulmani.

Allo scopo è opportuno “rilevare, sottolineato e illustrare che la migrazione Arbëreşë, storicamente valida, è una sola”, ha inizio nel settembre del 1469 e termina nel marzo del 1533, ogni cosa che ha portato migranti prima e dopo questa data, in terra meridionale dell’o stivale mediterraneo, non è da ritenersi migrazione di esuli figli della diaspora Balcanica, perché appartengono ad altra filiera sociale politica e di bisogno culturale, delle due rive del fiume Adriatico.

Va in oltre sottolineato che un flusso latente, tra le due rive è sempre esistito senza mai terminare, per le inquietudini storiche dei Balcani, che hanno sempre innescato frotte di, mercenari contadini, nobili, faccendieri, artigiani e ogni sorta di figura in cerca di agio e tranquillità, nel vedere le rive ad ovest colme di abbracci buoni di accoglienza.

Cosa diversa sono gli Arbëreşë, che istituirono con garbo rispetto e opera di genio locale, la regione storica, secondo principi e prospettive di assenso specifiche e, se poi a questi nel corso dei secoli si sono sovrapposte altre genti proveniente dagli stessi ambiti, oggi continuano a sottolineare la diversità culturale di radice debole per i dissimili protocolli di promessa data.

Sono Arbëreşë tutte le genti che giunsero a seguito della permanenza partenopea di Donica Arianiti Commento, dopo la scomparsa del consorte Giorgio Kastriota, colui che i mussulmani appellavano impropriamente Scanderbeg.

Questa fu una pianificazione che Giorgio, realizzo con dovizia di particolari con i regnanti Aragonesi, assicurando loro che gruppi o macroaree abitate, potevano fornire oltre che valore al territorio, una più eccellente vigilanza di queste popolazioni di suoi sudditanti, garantendo la rinascita dei territori il controllo degli Arbëreşë fedeli oltre ogni misura umana in favore dei regnati, che per questo diedero agio sino al 1563.

Oggi queste attività di comune accordo sfuggono dalle diplomatiche dei comuni studiosi, i quali, perdono tempo nel realizzare elenchi di approdi, privi di senso e capacità insediativa, come se le attività di confronto, dialogo e cooperazione che hanno consentito la finalizzazione del modello irripetibile, di integrazione mediterranea, sia un caso fortuito caduto nelle braccia levate al cielo perché incompresi.

Restano alla memoria dell’era moderna gli atteggiamenti che dall’Albania hanno avuto come mira gli Arbëreşë, storicamente individuati come figli degeneri o fratelli traditori, ad iniziare dalla doppia decima del secolo scorso, con gli ecidi di quanti si esposero per rialzare la deriva che il paese delle aquile viveva quando erano terminate le guerre mondiali.

A memoria non vanno sottovalutate le azioni o atteggiamenti a seguito di questa doppia decade, che non sono mai stati benevoli o tipici di una fraternità riverberata nell’aria, ma nei fatti espressa con misura di provincia pronta ad essere occupata per poterla piegare come non si riuscì fare sei secoli orsono.

Oggi vediamo un andare dietro e avanti, di ogni sorta di figure, che appaiono come falchi millantano di essere Aquile Bicipite e, nel corso dei diversificati eventi, denotano solo due facce della falsa medaglia che vuole elevare minareti e non certo campanili di fratellanza.

È inutile elevare miti, effigi, scalfiti marmorei o scritto grafici moderni, privi dei minimali apporti storico linguistici di radice e, non approfondiamo nulla del protocollo di pronunzia linguistica, riferito al corpo umano e delle sue pertinenze.

Questo ultimo accenno avrà a breve una più ampia diplomatica, al fine di terminare questa deriva, nata con la legge che doveva essere di tutela degli Albanesi e che invece ha fatto più danno che l’invasore mussulmano agli Arbëreşë.

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