Categorized | Eventi, In Evidenza

ALL’IŞKI, ALL’IŞKI, ALL’IŞKI (ezëni e mbëjidani thë Isketë)

Posted on 02 febbraio 2025 by admin

Leopardi

NAPOLI (Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Questo era il grido di minoranza rivolto a quanti gestivano maggioranza in “Terre di Sofia” e, spesso sentivo inneggiarlo a gran voce, la mattina quando andavo a scuola, nei Bar di pomeriggio, la sera nelle Cantine e quando andavo a tagliare i capelli dal Barbiere, ai tempi in cui, vivevo studiavo e ascoltavo il parlato arbëreşë in rispettoso e costruttivo progredire.

Questo era un grido che voleva sottolineare, l’appartenenza indigena di una parte del sistema Katundë, la stessa che non prediligeva l’integrazione, perché provenienti da terre limitrofe e ben distinte dall’agro genuino, che aveva nonostante tutto contribuito non da poco e reso praticabile un terreno umido impraticabile e desolante, colmo di reflui fluviali da bonificare.

E per ottenere riconoscenza di gli abitanti di Terra, dovettero rivolgersi a cassa sacra, per averne merito di proprietà, diversamente da quanti li vivevano e, non si erano mai dati da fare per essere parte attiva del sociale del centro abitato a loro limitrofo nel temine lungo lo scorrere del torrente denominato “votetë”.

Quindi ultimi senza alcun sentimento pronto a fare fratellanza e integrazione con gli Arbëreşë, che li avevano sempre aiutati a migliorare sé stessi e le pertinenze dell’ISKI, storicamente malsana, oggi come allora.

Tuttavia quello che più prevale sono le falsità di quanti affermano pubblicamente che l’essere riuscito ad emergere dalla massa, solo per tagli e titoli di, “bocconcini”, ottenuti non si sa come e , questo risveglia, memorie e sentimenti di quell’epoca incancellabile per la formazione di non poche generazioni.

Specie se questa frase viene elevata dai piccoli discendenti, oggi diventata adulti, ma rimasta sempre avvolti in quella nebbia antica che caratterizzava quel pianoro dove palesare presenza, usavano battere i piedi o far sentire il riecheggiare sull’incudine dei djganë da stagnare, unica risorsa di genio del fabbro o artigiano mancato.

Gli stessi discendenti che oggi boicottano ogni iniziativa, che potrebbe fornire strumenti o teoremi fondamentali per la crescita in ogni fronte del vituperato Katundë, che per loro e grazie a loro vive in pena irrecuperabile.

Tuttavia se a queste affermazioni, elevati dove i quadrupedi venivano terminati, sono emozione di ignari, che si esaltano per aver conosciuto “l’antropologo menzognero”, che non sapeva né parlare e né ascoltare in Arbëreşë, è una pena che denota lo stato in cui si vorrebbe valorizzare la regione storica diffusa e sostenuta da chi parla e sa ascoltare questo idioma.

Certo che salire sulla madia dove si terminano i maiali tra gennaio e febbraio affermando che la riuscita di un progetto locale è avvenuto per esclusiva solidarietà e delle capacità paterna, lì in quel luogo nata per dare pena a suini bovini e ovini è un controsenso, specie dove i neri erano scartati per la qualità della carne, considerata infetta, lurida e di aroma insano.

Tutto quanto il dire, diventa un’offesa verso quanti si adoperano con metodo e confronto per la valorizzazione delle cose Arbëreşë, dato lo stato e la capacità di istituti, istituzioni e libere figure che si alternano nei palcoscenici di insani mattatoi culturali, in tutto un insieme di attori incoscienti; i diretti discendenti che vollero quel “genere sparso prematuramente insanguinato”, la giornata del termine storico: ovvero il 28 febbraio del 1985.

Ciò che si vuole sottolineare in questo breve contributo di memoria locale, è la miscellanea di conoscenza che nello stesso individuo possono attivarsi nei processi involutivi, tipici dell’età giovanile e, coesistere la mutazione, dello sviluppo.

In altre parole, la plasticità negativa a ogni età, senza mai raggiungere la più idonea o passibile maturazione celebrale in verso, agio o direzione costruttiva.

Oggi, nel momento in cui si è compreso, con stati di fatto, che il cervello potrebbe offrire potenziali opportunità di cambiamento a qualsiasi età, assume significativo valore l’immaginare progetti per interventi mirati a favore cognitivo dei su citati generi, che allo stato vagano le foreste della cultura come pirati pronti all’arrembaggio.

Allo scopo serve uno strutturato per produrre Modificabilità Cognitiva Strutturale, specie nell’età di sviluppo e, per queste figure servirebbe avvicinarle come si fa con il gregge e, sottoporli senza rimando alcuno alle prove di ’”Arricchimento Strumentale specie chi non ha la fortuna di nasce strutturato di ascolto e parlato Arbëreşë “.

Allo stato delle cose tutto si potrebbe configurare come percorso di recupero per ogni frammento cognitivo, specie quando si diventa adulto e si vuole dimostrare di esserlo.

Questa estensione del Programma di Arricchimento Strumentale (PAS) è strutturato come un training specifico è finalizzato al recupero delle funzioni cognitive e, di tutto quello che circonda un individuo nel corso del suo sviluppo dall’età infantile sino a quella adulta.

Dimostrando che la plasticità cerebrale è presente anche nelle figure meno inclini, che non si devono mai abbandonare al libero pascolo, in tutto, il ciclo di vita dei generi, specie, quelli meno dotati di tutto.

Questo comunque implica la responsabilità di progettare e realizzare interventi significativi ed efficaci, gli stessi che oggi restano o meglio sono, realtà documentata da una forte letteratura e capacità organizzativa.

A tal fine valgano i numerosi giardini botanici, presenti sino agli anni settanta del secolo scorso e ancora presenti in altra forma, ma disanimati di essenze, i quali andrebbero, rigenerati per poter aprire una nuova stagione curativa della nota medicina empirica Salernitana, rivolta a quanti avanzano evidente Modificabilità Strutturale e Cognitiva, la più diffusa nei circuiti della minoranza Arbëreşë.

Il giardino assume così una duplice funzione: ovvero essere un luogo dove iniziare a sviluppare sensibilità celebrale e in oltre radicare i semi di erbe curative antiche, le stesse che nel mondo greco radicato in quello persiano e quello egiziano e arabo iniziarono a fare Farmacia Naturale.

Il giardino ricostruiva l’immagine dell’Universo, motivo per il quale questi spazi erano anche definiti «Giardini paradiso».

Essi infatti dall’agro e sino al centro antico, fornivano alla mente un immaginario di folti boschi, popolati da una fauna diversificata, come se sorgessero nel deserto, ma irrigati da acqua portata li dai noti lavinai naturali, appositamente addomesticati o indirizzati.

Il giardino o hortus diversificavano le coltivate arare con spazio decorativo e, accogliere quanti avevano urgenza di Modificabilità Strutturale e Cognitiva, indicati al plurale col termine di Orti proprio per la quantità di addetti da sostenere.

In essi la fauna era creata per mezzo dell’elemento decorativo, con l’ausilio di piante tagliate ad arte e dalle forme degli animali, sino a disegnare scene di caccia e, risvegliare antichi istinti a quel genere che cerebralmente e fisicamente oziava.

Le principali caratteristiche dell’assetto architettonico del giardino botanico non contemplava alcuna murazione se non Gardj, (Recinto in elementi naturali intrecciati) che non impedivano in alcun modo, il variare o delimitare la prospettiva di bosco libero ed esenziale.

Internamente, lo spazio era riempito da arbusti posizionati a distanza dagli alberi da frutta, mentre la risorsa di acqua era disposta fuori da recinto.

L’arte figurativa assumeva così un valore pedagogico dei sottoposti a cura ambientale un tramite anche per l’arte negli spazi a ridosso di edifici, che non dovevano impedire in alcun modo la prospettiva profonda anzi contribuendo a sostenerla.

Gli spazi verdi erano e, rivestivano un tempo il valore simbolico: e iniziarono ad essere modellati per risvegliare le capacità cognitive degli infermi, grazie alla similitudine che si riuscivano a estrapolare dalle più svariate figure zoologiche.

La scelta di trasformare uno spazio aperto in un’area verde deve sempre ricadere sulla posizione panoramica di cui era investito lo stesso giardino.

Suddiviso in un’area razionale, tramite terrazze era arricchito con l’inserimento dei pergolati e orti stagionali i cui concimi derivavano dai cibi delle tavole quando si terminava di pranzare.

Le piante utilizzate per l’abbellimento dei giardini, miravano a rappresentare ambienti con verdure e piante botaniche e non, diviso in aree omogenee introducendo nello spazio circoscritto i valori sociali, arborei e medicali.

La presenza degli elementi naturalistici diverrà forma allegorica, nelle decorazioni dei prodotti delle arti minori, ma questa è un’altra storia, quello che qui si vuole sottolineare è lo stato in cui si sostiene la Iunctura familiare odierna, fatta di esaltazione, protagonismo e filiere a dir poco inopportune.

Specie per quanto attinenti ai valori di sostenibilità storica, di idioma consuetudinari e i legami che reggevano la credenza e la via breve e stretta tra casa e chiesa.

Questi elementi primari erano poi la conseguenza della credenza che reggeva il percorso di crescita, sociale; la stessa che univa indissolubilmente, il Camino della casa, ovvero, dove iniziava ogni favola; Gjitonia dove avevano sviluppo e luogo i cinque sensi governati dalle donne e l’agro produttivo condotto e diretto dal senato degli uomini, che chiudevano e solidarizzavano il giardino delle meraviglie Arbëreşë.

Tuttavia vale il principio secondo cui: partecipare non è tutto, ma essere esclusi a priori in ogni manifestazione non è certo un gesto di nubilato culturale; anche se proviene dalla categoria degli “iskitati”.

In questi giorni, si festeggia “Candelora” un evento di rinnovamento dell’estate, che avanza per sovrastare il buio dell’inverno, questo è anche un invito per quanti si ostinano a promuovere eventi culturali immaneggiabili.

Comments are closed.

Advertise Here
Advertise Here

NOI ARBËRESHË




ARBËRESHË E FACEBOOK




ARBËRESHË




error: Content is protected !!