ROMA (di Paolo Borgia) La costituzione dello Stato unitario italiano compie 150 anni. Una costruzione – ancora incompleta – che diede allora una definizione istituzionale ad una penisola appenninica già caratterizza da una cultura molto ricca e multiforme ma dotata da un carattere unitario che era andato crescendo nel tempo secolare. La commemorazione del 150° anniversario è l’occasione per riscoprire le ragioni storiche della unità d’Italia, la sua identità e la sua “missione”. E’ un riscoprire le radici culturali e politiche che possono servire da base per il mantenimento dell’unità e della dignità politica dell’Italia: scopo stesso del processo politico fisiologico che si deve fare carico di traghettare l’unità di partenza all’unità di arrivo, confermata e consolidata, e che l’apparato politico oggi non realizza.
Il Risorgimento costituì l’epilogo di un notevole sviluppo identitario iniziato molto tempo prima, alla cui costruzione contribuì in modo fondamentale l’opera della Chiesa romana con le sue istituzioni educative ed assistenziali, con le sue rigide norme comportamentali, con le sue efficienti configurazioni istituzionali ma anche nei rapporti sociali, nell’arte ed altro. Ma in modo particolare la scaturigine del Risorgimento si deve alla diffusione del messaggio irradiato dalla rivoluzione francese e napoleonica, coagulando nei 50 anni, che precedettero il 1861, adesioni alle rivendicazioni di libertà e ai moti rivoluzionari.
Come dice Costantino Mortati «il principio unitario della volontà sovrana», la “nazione” non veniva espressa direttamente dal popolo ma da una classe illuminata, gli eletti, senza vincoli di mandato elettorale. Questa classe di appartenenza borghese si autodichiara “classe generale”, tendente a realizzare uno stato moderno centralistico liberale. Si tratta di una unità istituzionale, dove la “sovranità popolare” non è considerata prioritaria. Si tratta di una “volontà generale” di una minoranza, in cui la mancanza di una “sovranità popolare” porterà alla mancata realizzazione di 2 dei 3 principi del “trittico” del 1789 (uguaglianza e fraternità) e perciò della parziale realizzazione del concetto di “cittadinanza”. Da ciò inevitabilmente scaturisce il ritardo italiano nella reale emancipazione, nella “sproletarizzazione della società civile”, già presente sulla attuale carta costituzionale ultracinquantenaria.
D’altra parte l’espressione “Stato nazionale” appare artificile e precaria laddove storicamente preesistevano “nazionalità spontanee” e la loro integrazione forzata attraverso l’imposizione di una lingua unica, di una educazione scolastica con programmi unificati, della coscrizione obbligatoria mostrano con chiarezza che si trattò di introduzione di una “nazionalità dominante” di “moderati” (Antonio Gramsci). Oggi, però, si è costituita una identità nazionale che riesce a convivere, in una tensione continua e problematica, con le nazionalità spontanee italiane. Ciò non ha nulla di miracoloso ma è dovuto al cammino di sofferenza comune del Paese ma anche a quella tradizione di sacralità civile che si chiama Neri, Bosco, d’Acquisto, Olivelli, Moro, Livatino, Falcone, Borsellino, Rossa, Bachelet, Biagi…
Oggi celebriamo l’unità d’Italia, consapevoli che ci sono antichi problemi, solo parzialmente risolti, e nuove sfide da affrontare. Oggi celebriamo “gli italiani, brava gente” che hanno sempre saputo ripartire da un nucleo fondamentale di valori condivisi, direi congeniti, alla cui base sta, prima di ogni cosa, la fraternità.
Riproporre oggi il “trittico” del 1789 non è una ingenuità, è proporre la fraternità come via per dare piena espressione della libertà e dell’uguaglianza, come risorsa civica, politica per far fronte al recupero delle ragioni dell’Unità del Paese. Paese in cui esistono i cittadini, resi stranieri a se stessi. Solo così potremo vivere nonostante le differenze esistenti tra di noi, non come cause di conflitto ma come occasione per accettare il nostro uguale diritto di essere diversi.
L’Italia è stata costruita dai giganti e può essere distrutta da nani. Abbiamo bisogno di giganti e lo possono essere i comuni cittadini: non perchè dotati di chissà quali attibuti o genialità ma perchè resi grandi dalla loro salda coerenza ad un’idea, quell’idea che ci fa essere quello che siamo.
Storia, cultura, intelligenza ma soprattutto decisione e volontà di essere, oggi, l’idea-Italia.