Categorized | In Evidenza, Storia

I RESTANTI USANO IL CUORE DI QUANTI LASCIANO RADICI E FIORISCONO LONTANO (Kuşë këjndronş harroghetë Kuşë ikenë mhbanë mendë e fietë me ghindietë)

Posted on 02 marzo 2025 by admin

Pecore

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Esistono valori, che i comuni viandanti locali, non potranno mai fare propri e, questi per cavalcare le onde del protagonismo locale usano i battiti del cuore, che in quegli ambiti pulsano perché furono di quanti partirono per apprendere il mestiere del confronto.

La premessa vuole sottolineare o meglio ricordare ad alcuni “lagrimosi culturali” che i temi e le memorie locali rimangono impresse nella mente di quanti partono per migliorarsi e, non di quanti fanno restanza per essere mantenuti dal tesoro culturale di quanti vanno alla ricerca di certezze di confronto.

Il teorema è un’espressione poetica o filosofica, che fa riferimento al principio, che vorrebbe, fare memoria, cambiamento e di continuità storica di un luogo specifico.

Non si tratta di un vero e proprio componimento matematico, ma esso viene inteso come principio indispensabile a rendere chiaro il quadro dello stato delle cose.

Che sottolinea una situazione di un luogo e ricordi o meglio esperienza di radice per chi parte, di contro chi rimane e, fa “restanza”, tende a dimenticare e rendere vivide o violacee quelle esperienze di anomalia locale scambiate per sviluppo.

Certamente quanti rimangono e fanno “restanza oltremodo statica”, non hanno consapevolezza della vita che continua per migliorarsi e, il loro contributo non deve terminare con il cambiamento ad ogni costo senza mantenere alcun legame con il passato.

In contesti più emotivi o letterari, non possono essere racchiusi nella mera idea del cambiamento a tutti i costi, creando così disconnessioni nelle relazioni locali, facendo sì che chi se ne va, abbia ricordi più vivi, solidi e indispensabili, mentre chi resta si adatta a nuove realtà, spesso lasciando andare ciò che è stata radice, ammesso che ne abbiano avuta una.

Chi si vanta di restare o tornare appena assolto un compito in classe con lode, potrebbe essere intesa come paura, di affrontare le opportunità che la vita ti offre fuori dal recinto di casa.

E se chi parte, riflettere solidità priva di dubbi e attaccamento al luogo natio; dall’altra viene intesa come povertà economica o incapacità di quanti partono per confrontarsi con nuovi processi per affinare il proprio germoglio culturale fatto di frutti buoni e genuini.

In questo caso, chi resta potrebbe essere visto come una persona che sceglie di non affrontare le difficoltà e mantenere un legame, magari per senso di irresponsabilità, anche se poi, forte dei suoi luoghi casalinghi in amministrazione, imita gesta altrui, fatte per quei luoghi, che per i restanti restano il bosco della paura.

D’altra parte, è facile vantarsi o atteggiarsi senza confronto, e tentare di enfatizzare una qualità che non si ritiene necessaria come la memoria di ieri, perché ignota.

Spesso, la scelta di rimanere o tornare dipende da fattori più complessi, come il contesto emotivo, le circostanze pratiche o le proprie aspirazioni, molto limitate o circoscritte in ambiti di piccola ristretta.

Se qualcuno si vanta di questo, potrebbe essere interpretato come un modo per cercare di dimostrare qualcosa agli altri, come se fosse una “vittoria da celebrare”, ma che se in cuor loro, sanno che a segnare i ritmi della storia sono quanti partiti per promessa data, conservando nel proprio cuore e nella propria memoria le gesta intatte della storia locale.

In generale, la chiave sta nel riconoscere che ogni scelta ha il suo valore, e non c’è una risposta universale su cosa sia giusto o sbagliato.

Ma il vantarsi o aoto elevarsi, perché in casa propria, potrebbe dare l’impressione di non avere chiare tutte le sfumature della situazione, riducendo ogni cosa in mere affermazioni o canti di superiorità armonizzati.

A volte, la scelta di restare non è una forma di resilienza meritevole, infatti sono proprio queste figure che incantate dai paesaggi dove sono transitati furtivamente pensano di riversare ogni cosa nei luoghi di origine, che a questo punto diventano un mercanteggiare diffuso, dove esporre cose che indigeni di ogni luogo portano per vendere e far violare la memoria che inizia e disfarsi per essere velata.

La distinzione tra chi resta e rinnova un luogo e chi parte per arricchirsi di conoscenza solleva un dilemma che ha una ampia applicazione, in quanto entrambi i percorsi generano impatti radicali e, su piani diversi.

Chi resta e si esalta nel rinnovare dimenticando le sue radici, che lo fanno apparire come agente di cambiamento diretto senza fornire solide certezze connesse con le cose del passato.

Infatti, rimanendo in un luogo, questa persona ha la possibilità di influenzare concretamente l’ambiente in cui vive, portando innovazioni, idee fresche o anche piccole trasformazioni quotidiane che migliorano la qualità della vita e contribuiscono a una crescita collettiva. In un certo senso, questo tipo di persona “radica” il cambiamento, costruendo qualcosa che può durare nel tempo.

Chi parte, invece, va a cercare un arricchimento interiore, un ampliamento delle proprie competenze e della propria visione del mondo.

La conoscenza che si acquisisce, sommata alle esperienze vissute sviluppano la conoscenza e il confronto con la memoria e, quando si ritorna, avendo un largo e più giusto valore agli ameni luoghi natii.

Chi parte quindi, se consapevole ha il potenziale di trasformare se stesso e, di conseguenza, potrebbe essere in grado di portare un cambiamento più innovativo e versatile, a quei luoghi che vivono all’ombra dei restanti.

In fondo, si tratta di capire se il valore risieda più nell’impronta che lasciamo nel nostro contesto specifico, facendo crescere ciò che è realtà locale vissuta, nei tempi della crescita personale, la stessa che consente e permette poi di portare un contributo più idoneo ottimale e radicato.

Tutto comunque dipende dal definire “valore” e “miglioramento” e se da un lato, chi resta in un luogo e si esalta ad essere o diventare un punto di riferimento, un leader o qualcuno che contribuisce in modo duraturo alla comunità.

La sua capacità di resistere e crescere può essere vista come una forma di forza e resilienza, il cui risultato è sempre compromesso dal ripetersi ed apparire come emblema o difensore di quel identificato ambito.

Dall’altro lato, chi parte e si migliora potrebbe proporre nuove esperienze delle prospettive del passato che sono rimaste immutate e, adattarsi per arricchire il tempo dei domani.

Spesso il cambiamento e l’evoluzione vengono viste come simboli di crescita, se poi sono parte di un ampio progetto di forza al luogo, che non ha termine di assolvere al ruolo di necessità, offrendo opportunità alle prospettive di miglioramento di competenze diffuse con attori i generi di quel luogo.

In fondo, si tratta di capire se il valore risieda più nell’impronta che lasciano quanti partono, facendo crescere le opportunità, di chi resta sperando in un raggio di sole che illumini il luogo in senso generale, non il palco trasversale dove si esibisce chi resta in solitario apparire demenziale.

In definitiva e per concludere, quello che più conta per la valorizzazione e la resilienza, di un ben identificato luogo, deve avere come protocollo i valori consuetudinari di Gjitonia, lugo di cinque sensi dove crescere secondo le antiche consuetudini fondamentali del governo delle donne.

Quello che non forniva solo misure di confronto alle generazioni in crescita, ma sentimenti di rispetto e confronto con tutti i generi, onde evitare di rimanere isolati e diventare un prete senza devoti, che non fa il bene comune per diffonde la consuetudine antica del popolo Arbëreşë, immaginando che ogni Katundë, sia recinto dove allevare belati unitari diretti sulle terre paludose dell’hişkj e non dal un saggio massaro che sa quando dove, come e di cosa farle cibare.

Atanasio Arch. Pizzi              

Comments are closed.

Advertise Here
Advertise Here

NOI ARBËRESHË




ARBËRESHË E FACEBOOK




ARBËRESHË




error: Content is protected !!