NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Le iniziative sociali, economiche, culturali e politiche che oggi abbracciano il tema della viabilità meridionale Italiano, con atto prevalente, le necessità del ponte sospeso sullo stretto di Messia, denota una fondamentale carenza storica, nei confronti del precursore o, meglio genio, capace a predisporre come predisporre le cose utili a questo modello di comunicazione di fondamentale utilità.
Allo scopo, si commette grave mancanza di memoria e rispetto alla Minoranza Storica degli Arbëreşë, la stessa che in Calabria e in Sicilia ha storicamente segnato la svolta culturale, politica ed economica nel corso degli ultimi sei secoli.
Le figure istituzionali, culturali e del genio locale a cui è doveroso fare riferimento a memoria, sono innumerevoli e, nello specifico in questa fase di assetto del significativo luogo Calabrese, che vorrebbe unire le terre d’Italia, ovvero lo stivale e la sua isola più prossima, senza avere cura di svelare, chi è stato il genio primo, di questa indispensabile disciplina per unire fraternamente popoli, con l’utilizzo di catenarie sospese.
Questo progetto antico, serve ad unire i due fari estremi, calabrese e siciliano, per questo dovrebbe avere almeno una minimale nota di merito, non per tutti gli addetti che in queste terre si sono prodigati, prima come migranti, poi operatori agricoli e dopo la parentesi di formazione culturale, diventare emblemi della politica, la scienza esatta, e l’economia, contribuendo non con poco, affinché l’Italia, fosse una e indivisibile.
Riferisco della popolazione che oggi compone la Regione stoica diffusa e sostenuta in lingua Arbëreşë, la stessa che il presidente Mattarella a San Demetrio Corone nel 2018 li definiva “Modello di accoglienza e integrazione solido e duraturo, di tutto il Mediterraneo in età moderna.
A tal proposito è bene citare alcune fasi fondamentali di questa specifica disciplina che ha inizio nel 1808 a Napoli quando veniva istituita a impronta francofona la “Il Corpo di Ponti e Strade con annessa Scuola di Formazione” la cui opera suddivideva il territorio del regno in zone omogenee dove operare e, in ognuna di esse avere un referente specifico, ma il costume di intervenire autonomamente delle popolazioni o referenti locali, relego l’istituzione a una innumerevole quantità di giudizi.
La questione non fu di semplice risoluzione e si trascinò per molti anni, nei quali furono molti gli episodi che misero in dubbio il futuro del Corpo e, intorno al 1817 rischiò persino il fallimento visto il gran numero di giudizi cui veniva continuamente sottoposto.
La svolta si ebbe quando nel 1824, quando la direzione fu affidata all’ufficiale Borbone Carlo Afan de Rivera, quest’ultimo oltre ad aver avuto una brillante carriera militare, aveva collaborato per molti anni nelle officine cartografiche del regno, quindi lucido ed esperto conoscitore del territorio, completata da una grande formazione nel campo della botanica.
Egli si assunse la responsabilità di inserire interamente lo statuto che regolava il Corpo istituito e collaudato già in Francia.
In seguito la definitiva svolta si ebbe quando con un budget di circa seimila ducati inviò Luigi Giura, con il titolo di ingegnere e architetto, accompagnato da tre giovani ingegneri Agostino Della Rocca, Federico Bausan e Michele Zecchetelli, negli stati italiani, in Francia, in Inghilterra e in alcune località della Svizzera per visitare ed acquisire le nuove metodiche nel campo dell’ingegneria e dell’industri fortemente in rilancio.
Giura partì da Napoli il 18 luglio 1826 per ritornarvi il 27 luglio 1827, il programma di viaggio seguito dai tecnici partenopei, fece capo a una moltitudine di siti, dei quali i più importanti e ricchi di nozioni furono quelli Parigini e Londinesi.
L’ingegnere arbëreshë può ritenersi uno dei restauratori della nostra antica Scuola di applicazione; la quale fu la prima Scuola speciale per gli ingegneri dei Ponti e Strade che possa vantare l’Italia.
Nel 1828 ebbe l’incarico dal Governo napoletano di costruire un ponte sospeso a catenarie di ferro su piloni singoli in pietra, per unire sul Garigliano lo stato pontificio con quelli del regno Napoletano.
Fu in Italia la prima opera di questo nuovo sistema che evitava di realizzare paramenti murari nel letto del fiume, con il conseguente cospicuo risparmio di tempo e danaro; la novità di questo ponte è rappresentata del congegno del pendolo per il quale Giura salì agli onori dei progettisti europei e ancora detiene il primato.
Il doppio pendolo allocato in cima al pilastro di sospensione, era in grado di distribuire precisamente le forze provenienti dalle catenarie al pilastro a cui scaricava solo ed esclusivamente quella dello sforzo normale, mentre alle catene di ritenuta, infisse nel terreno mediante le piastre di trattenuta, le forze risultanti inclinate, questa spartizione delle forze avveniva con qualsiasi carico applicato al tavolato di calpestio.
Ma non solo questo fu l’innovazione del ponte che consentì al Giura di riuscire in questa epocale impresa, infatti egli assieme ai proprietari delle fonderie di Mongiana in Calabria, mise a punto una lega che gli permise di realizzare le catenarie di sospensione, realizzando le maglie con il metodo della trafilatura, metodica ancora sconosciuta in Italia.
In oltre, nel breve tempo grazie ai suoi grafici, mise a punto sia la macchina che potesse realizzare la trafilatura dei metalli, che quella per la prova di carico.
Tutto questo fece definitivamente spegnere gli stessi sorrisi ironici e le critiche, quando le opere del Giovane Ingegnere e Architetto Arbëreşë, videro giungere in pellegrinaggio culturale e scientifico Inglese e Francesi titolati, per copiare e avere spunto, per ponti, sbocchi a mare di bonifica, mentre la genialità del Giura superavano sin anche il genio dei Romani (Vedi condotto del Fucino).
E nonostante il 10 maggio del 1831 tutta la cultura di genio europeo avesse inviato, addetti per vedere il re che precipitava nelle acque del Garigliano, tutti si dovettero ricredere nel vedere che il “doppio pendolo” di sospensione inventato dal genio arbëreşë, funzionare e, aprire una nuova era per collegare e unire popoli, genti per una nuova economia lenta o energica che fosse.
Infatti da quella data si aprì un nuovo scenario che univa per la prima volta due pezzi del Italia, ovvero il Regno di Napoli con la Cristiana Romanità Papale.
Oggi si presentano progetti si fanno riferimenti di memoria, ma nessuno valorizza il genio degli arbëreşë, lo stesso che dalla Calabria citeriore da nord e da sud, riecheggia idee e passioni unitarie, come in nessun altro luogo italiano è stato mai rilevato.
I ponti europei e di tutto il globo sin anche i più estremi o estesi, sono copia conforme del genio arbëreşë; il quale, ha sputo estendere tavolati per unire popoli e dare agio a tutti per migliorarsi.
Vogliono costruire oggi, un ponte per unire la Calabria e la Sicilia, allo scopo e per meglio illuminare le nuove generazioni, non sarebbe il caso di aprire questo nuovo stato di fatto e, dare agio alla minoranza storica di esporre le proprie attività in campi fondamentali del vivere civile del meridione italiano.
La storia dello storico stivale che si estende al centro del mediterraneo dal XIV secolo cita e annota eventi naturali e popoli che dominavano, determinando pene e soprusi di pochi a favore degli altri, tuttavia una popolazione che viveva una emergenza sociale e religiosa, nota come diaspora dei Balcani sbarcavano nelle terre del meridione, in particolar modo in Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia, non per invadere o sopraffare le genti indigene, ma per restare fraternamente uniti e valorizzare quelle terre, secondo i raccolti comuni del trittico mediterraneo.
Nonostante tutto questo continuo faticare, senza tregua di generazioni di uomini buoni, gli stessi che hanno contribuito a valorizzare questi luoghi, con il genio del fare, lo stesso che ancora oggi, come ad esempio il ponte tra le province di Reggio e Messina, continuamente illustrato senza dare merito all’ideatore e alla sua discendenza Arbëreşë, che pur se definita minoranza è vanto di accoglienza e integrazione silenziosa.