GIS e Beni Culturali: beni tangibili e beni intangibili GIS and Cultural Heritage: tangible and intangible assets Caterina Gattuso a, Atanasio Pizzi b, Valentina Roviello c

Posted on 22 giugno 2024 by admin

a Professor, Dep. of Biology, Ecology and Earth Sciences, (DiBEST), Univ. of Calabria, Rende (Cosenza), Italy, caterina.gattuso@unical.it

bArchitetto ricercatore sulla storia arbëreshë, atanasio@atanasiopizzi.it

c Dep. of Chemical, Materials and Production Engineering (DICMaPI), Univ. degli studi di Napoli Federico II, Napoli, Italy, valentina.roviello@unina.it

 

Abstract

La valorizzazione dei beni culturali presenti in un determinato contesto territoriale può essere perseguita anche attraverso strumenti avanzati di catalogazione, composizione e rappresentazione delle informazioni in un dossier articolato in cui le componenti siano relazionate in modo da fare emergere ulteriori elementi caratterizzanti. Fra questi strumenti si (Sistemi Informativi Geografici). Un GIS permette di sovrapporre diversi tematismi o livelli informativi per produrre nuove informazioni e quindi dati utili per la gestione di banche dati territoriali.

In questo paper si propone un approccio metodologico, fondato sull’uso di GIS, finalizzato alla ricostruzione di scenari storici e al disegno di percorsi turistici, mettendo in risalto i beni d’interesse culturale situati in un’area.

Il lavoro propone e illustra due casi applicativi che, pur molto diversi, si prestano ad esprimere le potenzialità dell’approccio metodologico. Il primo, di tipo tangibile, consiste in  una ricerca mirata ai siti archeologici della colonia di Vulturnum, rintracciabili nel sistema fluviale della bassa pianura del fiume Volturno (Campania); il secondo caso, di tipo intangibile, è relativo alla redazione di una carta della tutela della Regione Storica Arbëreshë”.

 

Abstract

The promotion of cultural heritage present in a particular local context can be pursued through advanced tools for cataloging, composition and representation of information in a dossier articulated in which the components are related in order to bring out more distinguishing features. Among these tools (Geographic Information Systems). A GIS allows you to overlay different thematic information layers or to produce new information and therefore data for the management of territorial databases.

In this paper we propose a methodological approach, based on the use of GIS, aimed at the reconstruction of historical scenarios and to design tourist routes, highlighting the cultural interest located in the area.

The paper proposes and illustrates two case studies which, though very different, are suitable to express the potential of the methodology. The first, of a tangible, consists of a targeted search of the archaeological sites of the colony Vulturnum, traceable in the river system of the lowlands of the river Volturno (Campania); the second case, an intangible one, is related to the drafting of a charter for the protection of Region Historical Arbëresh “.

 

Parole chiave: GIS, Beni culturali tangibili, Beni culturali intangibili

Keywords: GIS tangible cultural heritage, intangible cultural heritage

 

  1. Introduzione

Nel relazionare informazioni e dati reali, espressi sotto forma di simboli, riguardanti un luogo geografico riportato su mappe in scala, la cartografia offre la possibilità di operare specifiche elaborazioni a fini conoscitivi, che possono estendersi non solo nello spazio, ma anche nel tempo.

È noto che un GIS (Geographic Information System) permette di sovrapporre diversi tematismi o livelli informativi per produrre nuove informazioni e quindi dati utili per la gestione del territorio.

La sovrapposizione (overlay) delle carte storiche con quelle più recenti consente di tracciare l’evoluzione fisica, ambientale e culturale di un determinato territorio.

Le informazioni in tal modo acquisite diventano quindi di riferimento sia per il patrimonio dei beni culturali di tipo tangibile costituito dal patrimonio monumentale ed archeologico, sia per il patrimonio di tipo intangibile, quale è la cultura arbëreshë solidamente radicata sul territorio dell’Italia meridionale.

I dati territoriali incrociati e posti a confronto, con l’utilizzo di un software GIS, possono fornire importanti riferimenti concernenti i beni tangibili per la gestione e la valorizzazione del patrimonio materiale esistente in una macro-area definita. Nel caso di beni intangibili invece diverranno fondamentali per la stesura dei contenuti di una “carta per la tutela” quale ad esempio quella di una determinata minoranza storica linguistica che presenta nuclei diffusi sul territorio.

  1. Beni tangibili e aree archeologiche

La colonia di Vulturnum prende il nome dal fiume che attraversa buona parte della pianura campana. L’area in esame è stata a lungo oggetto di studi multi-disciplinari, volti:

  • alla ricostruzione della stratigrafia del sottosuolo, che nel tempo è stato condizionato da frequenti variazioni eustatiche e da eventi vulcanici, con conseguenti interdigitazioni di depositi di ambiente marino, alluvionale, vulcanico, e la formazione di una circolazione idrica sotterranea superficiale (Sacchi M. et al., 2014, Amorosi A. et al., 2012);
  • allo studio dell’uso del suolo e della geo-morfologia costiera dall’antichità ad oggi, ossia lo studio dei processi di tipo naturale o antropico che hanno determinato l’evoluzione del territorio e della costa (D’Ambra G. et al., 2009, Ruberti D. et al., 2008);
  • allo studio delle popolazioni floristiche e faunistiche che popolano l’area, mirato alla conservazione del paesaggio, conferendole un’importanza non solo a livello naturalistico, ma anche ecologico (l’Oasi dei Variconi e la Pineta di Castel Volturno) (D’Ambra G. et al., 2005).

Pochi studi sono stati condotti su quest’area, per la ricerca dei siti di interesse archeologico mirati alla loro conservazione. Tuttavia, dalla ricerca bibliografica ne emerge uno molto dettagliato (Crimaco L., 1991), nel quale viene sviluppata in modo dettagliato una applicazione GIS (Roviello V. 2008). Si racconta che, dove sorge ora il centro di Castel Volturno, nell’antichità sorgeva la colonia romana di Vulturnum. Alcuni autori come Varrone, più tardi Plinio e Pomponio Mela, la definiscono come un oppidum, altri la annoverano semplicemente perché sorgeva nei pressi del mare o nei pressi del fiume Volturno, ma essa non è menzionata in alcuna fonte di età tarda. Fondata nel 194 a.C, fu sede episcopale, come sembrano confermare alcuni documenti dell’età di Papa Simaco (498-514) e anche una lettera attribuita a Papa Pelagio I (551-556). La diocesi di Vulturnum rimase ancora attiva durante il pontificato di Papa Gregorio Magno (540-604), alla fine del VI secolo. La ricerca topografica condotta a tappeto su circa 70 kmq di territorio, nelle varie località della colonia di Vulturnum, ha fornito parecchi dati utili a ricostruire le abitudini della civiltà insediatavi e alcune delle attività che producevano sviluppo nell’area.

All’interno di case coloniche, ville, villaggi, santuari e necropoli, sono state recuperate numerose ceramiche, suppellettili, frammenti di pavimento e mosaici, statue, teste votive, articoli di corredo funebre, tutti databili tra la seconda metà del IV sec. a.C. e il VI sec. d. C. (Figura 1a). L’ampio utilizzo della ceramica è testimoniato anche da un esteso scarico di anfore, ritrovato nei pressi di un ansa fluviale, che probabilmente riconduce alla presenza di un vero e proprio quartiere industriale specializzato nella produzione di ceramiche. Inoltre il ritrovamento di diverse macine da grano in lava leucitica, richiama l’attività di coltivazione cerealicola lungo le allora fertili sponde fluviali. Le religiosità erano molto sentite all’epoca, basti pensare alle numerose pratiche e luoghi di sepoltura presenti nelle necropoli (tombe a cappuccina, a cassa e a camera).  L’overlay eseguito in ambiente GIS, mediante il software Geomedia Professional, ha permesso di ampliare le conoscenze su questa colonia, sovrapponendo a tali dati, la ricostruzione storica dei meandri abbandonati del fiume Volturno (Figura 1b).

 

Probabilmente il motivo per cui i siti ricadono sulle antiche anse abbandonate è da ricondurre al ruolo di via di comunicazione che aveva il fiume, che consentiva di raggiungere più facilmente le  aree interne dal mare, ma   anche e soprattutto alle attività urbane e commerciali, in quanto le fertili sponde offrivano alle popolazioni un grande beneficio, che quindi qui vi si insediavano. Purtroppo l’area presenta oggi un notevole livello di inquinamento e degrado, con ogni sorta di rifiuti accumulati nel corso degli anni nelle acque del fiume, sulle sponde, nei suoli e perfino nella falda idrica sotterranea.

 

  1. Beni intangibili e cultura arbëreshë

Gli ambiti naturali e i sistemi urbani diffusi sulle colline dell’Italia meridionale, rappresentano l’humus ideale dove i beni tangibili e intangibili della minoranza “arbëreshë” hanno trovato dimora e vita per riverberarsi ciclicamente sino a oggi. Storicamente la minoranza è riconosciuta come una delle poche in grado di tramandare, grazie alla consuetudine, all’idioma e ai riti, utilizzando la sola forma orale (Figura 2a). Per tale motivo gli studi hanno privilegiato gli aspetti prettamente linguistici, sottovalutando per decenni il rapporto che gli esuli hanno avuto con i territori posseduti, abitati, frequentati o attraversati; in altre parole, è venuto a mancare l’attenzione verso il GENIUS LOCI (Pizzi A., 2003). Ciononostante, la storia sin dai tempi dei romani con Servio, ricorda che “nessun luogo è senza un genio” (nullus locus sine genio).

Per sopperire a tale carenza storica è possibile trarre informazioni, attraverso la sovrapposizione (overlay) e il confronto di carte storiche con quelle più recenti fornite dall’Istituto Geografico Militare (IGM) che, tenendo conto anche dei rilevamenti digitali odierni, permetteranno di tracciare un percorso storico, ambientale e culturale della minoranza e sopperire così alla mancanza di informazioni documentali.

Per delineare un quadro delle aree prese in esame, il territorio del Regno delle due Sicilie è stato suddiviso in macro-aree omogenee corrispondenti alle Regioni dell’Italia meridionale (Figura 2b) come di seguito riportate:

Abruzzo: Provincia di Pescara; (Macroarea della Strada Trionfale);

Molise: Provincia di Campobasso; (Macroarea del Biferno);

Campania: Provincia di Avellino; (Macroarea Irpina);

Lucania: Provincia di Potenza; (Macroarea del Vulture, del Castello e del Sarmento);

Puglia: Provincia di Lecce e Taranto; (Macroarea del Limitone e della Daunia);

Calabria: Province di Cosenza; (Macroarea della Cinta Sanseverinense suddivisa in sub m.c. del Pollino, delle Miniere, della Mula, della Sila Greca); Provincia di Crotone; (Macroarea del Neto); Provincia di Catanzaro; (Macroarea dei Due Mari); Provincia di Regio Calabria; (Macroarea dei Caraffa di Bruzzano);

Sicilia: Provincia di Palermo; (Macro-area del Primo Maggio).

 

         Fig. 2 – Regione Storica: aspetti caratteristici, a. Italia : carta delle regioni Arbereshe, b.

 

Va rilevato inoltre che, nel Mediterraneo, i nuclei insediativi e i loro contesti naturali ricadenti in questi macro-sistemi abitativi essendo ritenuti “preziosi frammenti dell’umanità non replicabili”, vanno considerati oggetto di studi privilegiati e necessari per garantirne una corretta tutela.

La realizzazione di un G.I.S., diventerebbe, quindi, un supporto fondamentale, in cui far convergere tutte le informazioni acquisite.        

L’implementazione di un Relational Data Base Management System (RDBMS), inoltre, fornirebbe informazioni dettagliate riferibili a momenti storici di zone ben identificate, inquadrandone l’evoluzione e gli aspetti che hanno caratterizzato l’insediamento dei minoritari albanofoni.

 

 

  • Carte storiche e disposizione dei centri urbani

 

L’analisi delle carte storiche consente già, semplicemente mediante la loro sovrapposizione, di rilevare una linea altimetrica lungo la quale sono situati gli agglomerati diffusi arbëreshë corrispondenti agli odierni centri storici.

 

 

L’interessante informazione ottenuta rafforza il principio secondo cui le scelte d’insediamento nella provincia Citeriore, come storicamente accade, non sono da ritenere casuali, ma dettate da esigenze strategiche preordinate e studiate per rilanciarne l’economia e per garantire opportune difese da incursioni alloctone.

Nel confrontare i rilievi cartografici di varie epoche relativi ad aree a rischio malarico (Figura 5), si è rilevato che l’edificato residenziale segue sempre lo stesso tracciato della linea riconducibile alla detta cinta Sanseverinense o della linea isoglossa, facilmente tracciabile mediante strumenti largamente utilizzati nella geografia linguistica, che collega tutti gli agglomerati della provincia citeriore calabrese su uno stesso livello (Figura 3 b).

Il tracciato trova conferma anche nelle abitudini storiche delle genti che vissero le terre oltre il mare Adriatico così come richiamato dal teorema del filosofo Aristotele, riportato nel libro VII° che si riferisce alla città buona.

 

Fig. 3 – Calabria: aree a rischio Malarico, a; Calabria: disposizione dei paesi Albanesi, b.                                         

Tali informazioni consentono di comprendere i criteri seguiti ed utilizzati per riconoscere e selezionare aspetti climatici, orografici e di salubrità adeguati che in terra citeriore erano garantiti nei territori posti a 400m sul livello del mare; si tratta delle isoipse sulle quali sono posizionate le residenze albanofone. I presidi di residenza, furono trasformati dagli abitanti, abituati da secoli al rispetto del territorio, stabilendo un rapporto di mutua e rispettosa convivenza con i parametri morfologici, orografici, climatici, vegetali e faunistici delle aree. (Mazziotti I., 2004, Giura V, 1984) In queste macro-aree, assicurata la salubrità dei luoghi di residenza, confermate le costanti dei sistemi urbani, si è costruito utilizzando tipologie abitative ancora presenti su tutto il territorio della RsdA (Regione storica diffusa Arbëreshë), adoperando esclusivamente materiali reperibili in loco senza troppo incidere sul territorio, composte da tre componenti:

  • il recinto delimita il territorio ove la famiglia allargata aveva il controllo assoluto;
  • la casa, anch’essa circoscritta dal cortile, costituita da un unico ambiente in cui conservare le poche suppellettili e alimenti;
  • il giardino, luogo della prima spogliatura, dimora dell’orto stagionale.

La presenza di tali elementi segna il territorio occupato dagli albanofoni, dando vita nel corso della storia ai rioni che ne caratterizzano i paesi con i toponimi storici.

Per quanto attiene agli aspetti sociali, nel periodo che va dal XV secolo, data di arrivo degli albanofoni, sino al XXI secolo, gli esuli lentamente si dissociano dal modello familiare allargato, per quello urbano e in seguito, in tempi più recenti, si afferma il modello della multi-medialità (Mandalà M. 2007).

 

Quando la famiglia allargata inizia ad assumere la connotazione di famiglia urbana, si realizzano i primi isolati (manxane), seguendo schemi indissolubili sociali, dando inizio allo sviluppo degli agglomerati diffusi albanofoni, tendenzialmente accolgono le direttive dell’urbanistica grecanica, ciò è identificabile nella regola che allocava prevalentemente gli accessi delle abitazioni sulle strette vie secondarie, ruhat e con molta diffidenza nel tardo periodo in quelle principali hudat (Capasso  B. 1905). Un’ attenta disamina comunque non può sorvolare su un aspetto fondamentale: il significato di “rione” e di “quartiere”, due momenti storici che identificano ambiti prettamente urbanistici e quindi elastici, da quelli delle disposizioni rigide dei presidi militari; il rione, diviene elemento fondamentale degli assetti urbanistici diffusi, dei modelli caratteristica arbëreshë. Per confermare quanto detto è stato eseguito un confronto su aero-foto e planimetrie dei Comuni di Cavallerizzo, Santa Sofia De Leo P. (1988) e Civita Cirelli F. (2006), da cui emergono schemi tipologici di sviluppo urbano diffuso, riferibile al concetto di famiglia allargata Dodaj P. (1941), lo stesso che accomuna gli ambiti minoritari del Regno di Napoli dal XV secolo abitati da albanofoni. (Figura 4 a, b). Lo schema di sviluppo segue due parametri fondamentali: “articolato”, quello più antico, mentre in tempi più recenti riconducibili a quello “lineare”; essi vengono generati da presupposti sociali che poi sono riconducibili all’antico concetto di Gjitonia (Pizzi op. cit) .

 

Fig. 4 – Insediamenti rupestri in Albania, a. Insediamento di Cavallerizzo in Calabria, b.

 

Quest’ultima è riconducibile alla frase “dove vedo e dove sento”, che tradotta letteralmente dall’albanese antico, vuole individuare il luogo in cui gli arbëreshë riescono a convergere i cinque sensi; infatti la Gjitonia si avverte, si respira, si assapora, si vede, per certi versi è persino palpabile, senza poter essere tracciata fisicamente (Pizzi op. cit).

Nello specifico è stato esaminato in maniera più dettagliata il borgo di Civita, in quanto conserva intatto il suo antico assetto planimetrico, infatti il suo centro storico ha subito solo lievi ammodernamenti e la periferia si presenta pur essa intatta poiché non sono state realizzate aree periferiche di espunzione (Figura 5).

La costruzione di un GIS in cui inserire i dati, consentirebbe di gestire informazioni utili per creare un percorso storico-culturale riferibile ai beni tangibili e intangibili albanofoni e quindi di avviare opportune azioni di tutela del patrimonio. Ciò anche in considerazione del dibattito relativo ai centri storici minori tendenti ad avere più parsimonia nell’utilizzo del territorio e maggiore sensibilità nei confronti della tutela dell’immagine del paesaggio.

Poiché l’architettura può essere considerata una traccia sul territorio, simbolo del carattere distintivo    degli agglomerati albanofoni, le informazioni raccolte nel sistema geografico d’indagine possono essere di ausilio non solo per sostenere le azioni di recupero dell’antico edificato ma anche per tracciare in modo più approfondito la storia degli ultimi sei secoli. Determinati caratteri costruttivi rilevabili nelle architetture appartenenti ai sistemi (Pizzi op. cit) urbani arbëreshë apparentemente privi di significato, possono infatti, con l’ausilio di un sistema geo-referenziato, rivelarsi utili elementi (Pizzi op. cit) ai fini della ricostruzione delle modalità di crescita e delle trasformazioni urbane di una cultura caratterizzata soprattutto da un patrimonio di conoscenze che si tramanda solo oralmente.

L’intangibilità dei valori arbëreshë si può quindi cogliere anche attraverso segni chiaramente tangibili riscontrabili sul territorio quale ad esempio le tipiche rotondità che caratterizzano i vicoli e rappresentano i confini dei lotti (Gonzalès R. A. 2005).

Il recupero dei beni tangibili e intangibili dei centri storici albanofoni attraverso un RDBMS avrà come riferimento le cartografie riferite alle tappe della storia, i concetti della famiglia allargata e la sua ascesa, dati legati all’economia, i concetti dell’urbanistica e degli agglomerati diffusi, le arti edificatorie, l’analisi delle metodiche e l’utilizzo dei materiali, dati che, opportunamente intrecciati, forniranno un itinerario storico per interpretare e comprendere l’evoluzione delle singole macro-aree urbane. La conoscenza del GENIUS LOCI albanofono sarà fondamentale per un recupero funzionale più attendibile e corrispondente all’immagine architettonica arbëreshë, secondo un protocollo sancito dalla Carta della Regione Storica, la cui finalità è la tutela delle peculiarità del tessuto edificato storico. In quest’ottica le informazioni contenute nel GIS diventano basilari per il recupero e la valorizzazione di spazi, edifici e ambiti che rappresentano la vera risorsa dell’economia minoritaria, secondo consuetudini uniche; essi possono permettere inoltre di individuare tipologie, tecnologie pigmentazioni e materiali tipici che hanno tenuto vive le costanti dei minoritari albanofoni; lingua, consuetudine e religione, tramandate esclusivamente in forma orale.

 

Conclusioni

Informazioni e dati intangibili diversamente per quel che accade per quelli tangibili non possono essere facilmente trasferiti su mappe geo-referenziate; ne deriva la necessità di individuare elementi sul territorio che assumano funzione di supporto sulla base di opportune correlazioni.

Nello studio proposto vengono esaminate due tipologie di patrimonio, una di tipo tangibile ed una di tipo intangibile che hanno un comune forte riferimento rappresentato dal territorio in cui si trovano.

Il primo è costituito dai siti archeologici della colonia di Vulturnum, presenti nel sistema fluviale della bassa pianura del fiume Volturno in Campania; il secondo riguarda la cultura “Arbëreshë” che trova le proprie connessioni nel linguaggio tipologico-costruttivo e nella peculiare conformazione urbana dei centri albanofoni.

In ambedue i casi appare di notevole rilievo l’utilizzo delle potenzialità offerte dai sistemi GIS, essi attraverso la raccolta geo-referenziata di dati ed informazioni, consentono di acquisire un  importante bagaglio di conoscenze utili per valorizzare il patrimonio di beni tangibili di una comunità ed anche quelli apparentemente meno evidenti rappresentati dai beni intangibili la cui esistenza si esprime attraverso forme espressive singolari leggibili sul territorio a cui sono associati aspetti culturali.

Le informazioni contenute in un sistema geo-referenziato dovrebbero fornire dati attraverso i quali sviluppare attività e progetti di valorizzazione come la redazione della carta per la tutela della Regione Storica Arbëreshë” prevede.

 

References:

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Capasso B. (1905). Napoli Greco Roman, Arturo Berisio.

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