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FALSI MITI E LE REGALI LEGGENDE DELLA REGIONE STORICA DIFFUSA DEGLI ARBËRESHË (Hoj mulinà! e dij se crundia nëngn shëloghètë?)

Posted on 26 ottobre 2023 by admin

BUrrascaNAPOLI (di Atanasio Pizzi Arch. Basile) – Che vi siano scuole di pensiero di ogni ordine e grado, giacche non esistono forme scritte o graficizzate dei trascorsi degli arbëreshë, i quali tramandano ogni cosa, con le regola del parlato, la metrica del canto, le favole, e la credenza popolare, è un dato di fatto irremovibile che rende i comunemente irresponsabili protagonisti.

Tuttavia altra cosa è ritenere, genericamente, questo popolo antico, di alto valore identitario, al di sotto della media intellettuale a cui si può propinare ogni banale episodio, dei suoi trascorsi, le conquiste, i costumi e le figure emblematiche che sono la storia mediterraneo.

Che nel corso degli ultimi sei secoli, siano state violentate molte delle sue credenze, fatti luoghi e cose, poteva anche passare, sulla base delle nuove tecnologie in evoluzione, ma alla fine dal secolo appena trascorso, quanto avvenuto nella metrica del canto, lascia a dir poco basiti, nonostante gli avvisi del noto critico teatrale, che redarguiva di accoppiare musica al canto Arbëreshë.

Se a questo aggiungiamo glia avvenimenti post legge 482/99, che tutela la Lingua Albane e non l’Arbëreshë, il quadro diventa pietoso e senza futuro e, quanti hanno ancora consapevolezza della “crusca arbëreshë” è tempo che la mettano in campo, onde evitare che emergano cose a dir poco paradossali o addirittura blasfeme, per le nuove generazioni della “REGIONE STORICA DIFFUSA DI LINGUA ARBËRESHË”.

Sia dal punto di vista storico, come fatti generali, avvenuti ad opera di figure senza arte né parte, se non con la furbizia del profitto economico e guadagnarsi olimpi secondo principi o i teoremi di sottomissione mussulmani.

Il voler imporre nomi di figure spente o costruite in tavoli di parte, per valorizzare sé stessi e le proprie mediocrità storiche, ha preso piede a dismisura al punto tale che sin anche Giorgio Castriota, dalla madre Albania mussulmana vene denigrato secondo quel riprincipio che non lo rappresenta come Arben, ma lo espone in vestigia dell’arte Islamica in caparbia consuetudine senza termine.

A tal fine, corre spontanea una domanda: perché l’elmo del condottiero ha segni simboli forme e temi Islamici, senza alcun accenno all’ordine del drago, come è inciso in bronzea porta a Napoli, con gli aragonesi vittoriosi?

Serve rivedere molto della storia scritta per gli arbëreshë senza il loro consenso, sia dal punto di vista del valore identitario, canoro, religioso del costume, in questo ultimo caso specie negli atti di vestizione con colori drappi di antica essenza Bizantina, quindi credenza sociale pura, movenze, atteggiamenti, esposizione dalla ragazza, sposa, madre e regina della casa, oggi nella migliore delle ipotesi assume ruoli di una misera donna in cerca di ortiche per fare magie.

Se a questo aggiungiamo che nessuno e ripetiamo nessuno, conosce le regole contenute nell’atto di vestizione e portamento, oltre degli elementi compositivi, si coglie la misura della in consapevole attività che si affianca a ogni atto,  in esposizione, a dir poco volgare.

Dal punto di vista storico culturale per la tutela valorizzazione del patrimonio immateriale ed immateriale, lasciato al libero arbitrio dalla legge 482/99, mancante dell’articolo 9 della costituzione, è il caso di modificarne la legge su citata, ricordando solo un paese in Calabria citeriore ha avuto intuito prima dell’emanazione di questa legge incompleta si vuole a tal proposito riferire a Terra di Sofia.

È qui che gli intellettuali locali prepararono la citeriore area, nota per essere retrograda, in quanto le attività espresse a Napoli quanto ebbero modo di trovare appoggio europeo sulla linea Anglo-Austro-Ispanica, attivandosi e realizzare il collegio di Sant’Adriano trasferendolo dalla modesta sede Latina

Parliamo di Pasquale Baffi, del vescovo Francesco Bugliari e Ballusci, essi si contrapposero a, francofoni e loro affiliati in tutte le epoche dal 1790 e, senza soluzione di continuità sino 1876, quando il papa, nomina velocemente Giuseppe Bugliari vescovo, per rendere la misura dello stato di terminazione, che ormai era stato superato.

Tuttavia se dal punto divista letterario è sempre il Baffi che dall’alto del suo livello culturale suggeriva, il valorizzare il parlato, senza doverlo violentare con la scrittura; ciò nonostante, chi ha avuto modo di leggerne i suoi scritti, preferiti averli copiati e non studiati, anzi proprio per fare confusione, e quando a Napoli immaginando di dover solo pubblicare si è visto scoprire e tornato a casa per correggere simulando febbre e dolori inguinali come ripeté diverse volte quando avrebbe dovuto affrontare le cose di petto.

Esistono eccellenze nella dinastia degli arbëreshë, che tutto il mondo ci invidia, ciò nonostante esiste una scuola per la quale se non hai lasciato scritti, fandonie e imprecisioni o tradimenti certificati, non sei eccellenza, anzi, chi più ne sa, le può dire, tanto nulla cambia, e questo non è affatto vero.

Se noi escludiamo il letterato Pasquale, Baffi e le innumerevoli figure che come lui, qui a Napoli fanno la lista di eccellenze, nel campo della, giurisprudenza, il sociale, l’editoria, la scienza esatta, la religione, l’arte per nuove prospettive di civile convivenza, esempio e atti primi per tutto il mondo della cultura in evoluzione, i quali quando sono citati pubblicamente i soliti noti a bocca aperta riferiscono

: si è vero ma non hanno scritto nulla in arbëreshë.

Ai quattro insani di mente va ricordato che la lingua arbëreshë, nasce per essere diffusa con parsimonia familiare, secondo la metrica del canto, essa ha come riferimento di base il corpo umano, l’ambiente naturale circostante e, se si è sani di mente non c’è bisogno di appunti scritti o manoscritti per tramandata o ricordare le cose di casa propria.

È inutile a ostinarsi nel porre in primo piano scriba che dal XV secolo cercano di attribuire l o legare lo scritto della lingua arbëreshë che non esiste, alla credenza bizantina che già si sostiene di greco e di latino, noi arbëreshë abbiamo solo il parlato e il canto e nulla più, il nostro genio locale è fatto di letterati che spiegano questo, giuristi che ne hanno fatto la regola sociale, economisti che hanno portato a buon fine il progetto di integrazione, Maestri della critica e della carta stampata che hanno fatto stoia a poi viene la parla dell’ingegneria della minoranza Arbër, che addirittura, elevo il primo ponte, “al mondo”, su catenaria a pilastri singoli.

E ancora oggi vi sono provetti, pur se anziani luminari, i quali affermano che se non hai scritto in Arbëreshë nulla vale. A questi luminari di periferia o Llitìrë, aggiungerei che la figura che parlava in arbëreshë, una missione letteraria la compie e, non da poco specie se questo è servito a superare le pene fisiche di Giacomo Leopardi, quando venne a Napoli, prima ospitandolo e rendersi disponibile per ogni cosa, mi fermo qui, perché non vorrei che l’anno prossimo dalle viscere di Caponapoli, si elevassero altre grida di incoscienza, relative al parlato dei facenti parte la “Regione storica diffusa degli Arbëreshë”.

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