NAPOLI (di Atanasio Arch. Pizzi Basile) – Trattare rispettivamente, in forma di Meridiani e Paralleli la regione storica diffusa arbëreshë è un po’ come diffondere l’arte degli asini che volano, invece di studiare, con profitto e avere consapevolezza delle proprie radici su base storica.
Che cosa abbia reso solida e forte i trascorsi delle genti e la cultura della regione storica più florida dell’Italia meridionale, oserei aggiungere, anche di tutto il bacino mediterraneo; non è la via che seguono i MERIDIANI, giacché è la direzione dei PARALLELI , quella del sole quando della Grecia, inizia a illuminare uomini e territorio sino alla punta più estrema della penisola Iberica; i veri luoghi della cultura, della storia, del sapere e della sostenibilità degli uomini.
Questo è un dato che, storici e illustri di tutte le epoche sono univocamente concordi ad affermare e sottoscrivere.
Ragion per la quale chi si affaccia da un Meridiano e in ogni dove, divagando, quello che millanta essere “il sapere” dei quadrupedi volanti, non è un bel vedere, sentire o leggere, come diversamente si adoperano a produrre le persone di garbo e di senso che studiano e divulgano certezze.
La credenza delle genti della regione storica arbëreshë è affidata alla religione, Greco Bizantino, di estrazione Alessandrina, la più solida e duratura del mediterraneo, essa risulta essere priva di ogni forma di esoterismi e credenza popolare in figure di “Magare” che sparlano di generi; quanti divulgano ciò o sono in malafede o cercano di imitare “il gallo sopra la discarica”(*), in quanto dal pollaio sono stati estromessi.
Tanto meno si possono rievocare le vicende storiche è i patimenti delle genti arbëreshë, del periodo post industriale o dell’alba economico degli anni dopo la seconda guerra mondiale, con prodotti della cinematografia senza avere una solida base storica, affidandosi a memorie titolate e di sana formazione intellettuale; altrimenti si termina nel seminato del banale o del faceto.
Divagare sulla bandiera identitaria non è rispettoso per tutte le figure che compongono la regione storica; il costume non è altro che la bandiera per noi Italiani di estrazione arbëreshë, è un atto di garbo o di buon gusto.
Sicuramente non si è consapevoli di cosa si fa, quando comunemente lo si vuole trattare o divulgare; per questo è indispensabile sapere che esso, “il costume tipico femminile arbëreshë”, contiene i valori materiale ed immateriale concretizzati nel grande rispetto che questo popolo aveva verso tradizioni, quali: consuetudini prosperità e valori religiosi, questo valori tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, vennero posti a dimora in quello della macro area della valle Crati, lato preSila, e ancora oggi attraverso i colori, le stoffe, gli ori e le tipiche diplomatiche mantiene viva la nostra storia.
Ritenere che il patrimonio storico urbanistico e architettonico della minoranza inizia con il borgo medioevale e finisca con abitazioni, le cui essenze formali e materiche, sono frutto di abusi edilizi, ormai prescritti perché degli anni sessanta, tuttavia così facendo si banalizza quanto con sacrifici professionalità in campo di Architettura, Ingegneri e storia dell’arte con senso di indagine mira a dare senso, al genius loci arbëreshë.
Se a ciò si finisce pure nel ritenere che le bevande tipiche prodotto irripetibile del mediterraneo è meno genuino dell’ importato delle amariche, si fa torto alla vite mediterranea; elemento fondamentale del trittico più ambito da tutto il globo perché equilibrio tra ambiente e natura, inarrivabile.
Per terminare, sugli uomini e le figure che hanno fatto la forza della regione storica, la fortuna intellettuale di questo popolo; o si conoscono le pieghe della storia dell’etnia o si finisce di vinviare, segnali di fumo e o quanti/e per necessità editoriali, hanno terminato per sostituito il cavallo del condottiero Giorgio, con la “motoguzza” così come la chiamava in arbëreshë, Maria Rosa Scorzithë.
(*) detto Partenopeo: “U gallu chi canta nhgoppà a munnezza”.