NAPOLI ( di Atanasio Basile Pizzi) – Il titolo di questo breve è, in parte, una provocazione, giacché presuppone che tutti conoscano la mappa, che dettagliatamente caratterizza il territorio del regno di Napoli, dove furono minuziosamente tracciate le Arche per l’insediamento dei profughi Arbëreshë che dalla metà del XV secolo, restano ancora a tutt’oggi sconosciute.
Riscoperte attraverso sovrapposizioni di carte storiche, sulla scorta d’importanti pubblicazioni e segnalazioni in volumi e riviste, nazionali e internazionali, fa ancora oggi parte delle incertezze storiche, geografiche, scientifico e culturale dei contemporanei avanguardisti minoritari.
Le cause dì questa “amnesia” sicuramente sono variegate e si presuppone, siano state originate da: diffidenza verso il “nuovo”, paura di dover leggere ricostruzioni storiche che sembrano consolidate, disattenzione, difficoltà di aggiornamento (nell’era dell’informazione!), disinteresse verso aree geografiche che appaiono “minori” e subalterne, anche se diffuse dalla capitale del regno invece che ascoltare i lamenti provenienti dove trovarono riparo il cieco e lo zoppo, e oggi nessuno più in grado di vedere e toccare dove scavare per cosa cercare.
Certamente non si commette errore nell’attribuire tale manchevolezza tutta allo “specialismo” imperversante nella disciplina di “mono tema trasversale”, l’unica ad impedire di superare i (presunti) confini disciplinari, che poi formano una maglia molto larga, un tratteggiato, irriconoscibile percorso che non ha lastre idonee per reggere il peso della storia.
Non servono nuove specializzazioni, né linguistiche, né canore e tanto meno in forma di lirica moderna, né brandelli di capitoli o plateali bandiere, perché serve una cultura generale condivisa e non superficiale.
Allo stato è indispensabile un modello di ricerca che sia in grado di organizzare la conoscenza oltre le discipline mono dipartimentali, trovando per questo, spunti dai campi condivisi di ricerca, in sostanza riformare le obsolete piramidi che non superano gli ambiti delle gjitonie narrate secondo la metrica che appartiene ai “Sassi”.
Si tratta, se vogliamo, di un nuovo umanesimo, e quanti si muovono in questa nuova direzione, un po’ “umanisti” lo sono, perché studiano e ripercorrono le vicende con carte, documenti e conoscenza del territorio, acquisendo per questo tra geografia, carte e tracce del vissuto degli uomini i parametri da tradurre secondo l’idioma tramandato oralmente e intercettare la via maestra per le isole culturali dove è stata depositata la radice dell’antichità arbëreshë.
La strada comunque resta segnata, illuminata e raccontata da una voce nota, non si sa quanti saranno in grado di sentirla vederla e ascoltarla, l’auspicio è quello che al più presto si attivi la dimensione dei cinque sensi arbëreshë; è una gjitonia moderna possa germogliare secondo l’antico modello familiare, in cui la persona più saggia e rilevante, organizzava e assegnava ruoli per la solidità sociale e culturale del gruppo.
Non è più sostenibile continuare imperterriti a lasciare le sorti del modello idiomatico, consuetudinario e religioso, dell’Epiro Nuova e dell’Epiro Vecchia nelle disponibilità di alienati ragazzi, che marinano sin anche la scuola dell’obbligo.