NAPOLI (di Atanasio Basile Pizzi) – Mi giungono continuamente notizie tra le più disparate dalla regione storica arbëreshë e devo dire che questa, a titolo, trattando di una delle memorie storiche più pure del modello consuetudinario linguistico, canoro e religioso, oltretutto considerato da me, come il fratello che non ho mai avuto, mi ha particolarmente stupito; ho subito alzato il telefono per avere notizie.
Dall’altro capo, dopo pochi squilli, mi rispondono, ed era proprio lui, Benito G. e per evitare di dargli dispiacere, senza chiedere della sua salute ho iniziato la solita conversazione in arbëreshë.
La voce era poco affaticata ma data l’ora pomeridiana è la sua età di memoria storica, mi sembrava tutto entro i parametri della ragionevolezza più limpida.
Conosco bene le voci di Katundë, queste, quando vanno “lente” perdono il senso della matrice originaria, ragion per la quale ho iniziato una sorta d’indagine e verificare la “velocità” delle sue risposte.
Ho chiesto se per lui la gjitonia avesse nome o se era come un quartiere o addirittura un rione; mi ha risposto che la gjitonia è il luogo dei cinque sensi o luogo della verifica dell’originario ceppo familiare,poi ha aggiunto: non ha nome e non ha confini identificabili o tracciabili.
Del quartiere, mi ha risposto, che non trovava alcuna attinenza con le genti arbëreshë, specie se coltivatori preti e artigiani; del rione stava iniziando a parlare ma ho preferito interromperlo perché il disquisito molto articolato avrebbe richiesto tempi e luoghi più idonei di una semplice conversazione telefonica.
A questo punto mi ha domandato se in giro vagavano demoni senza memoria e continuano a enunciare teoremi senza senso, aggiungendo, se il numero era contenuto, ancora, entro i limiti di tutela; con mio sommi dispiacere ho dovuto rispondere con una bugia per non farlo preoccupare.
dopo una grande e liberatoria risata, sono passato a fare un’altra domanda, chiedendo se conosceva i rioni storici del paese e se questi erano riconducibili alle famiglie che vissero in passato; ha risposto che le famiglie a Santa Sofia erano predisposte secondo accomunamenti ben precisi, ma non certo superavano la notorietà della toponomastica storica, in quanto, essa disegna indelebilmente lo sviluppo urbano del paese secondo direttrici nord sud per indicare la parte vecchia, del centro antico, dalla parte più nuova, diversamente la direttrice est ovest indica l’originaria fontana da quella più recente.
E i rioni storici sono la chiesa vecchia, Scigata, Trapesa, Limti lëtirve, Ka Prati, Ka kangeli, Karincareletë, Scesci Ka arvuem, Uda Kasanes, Stangoi, Moroiti, Udamade, in specie queste due ultime, coperte da avena fatua culturale.
Alla luce di queste risposte, ho iniziato ad avere il sospetto che la notizia che mi era giunta era di tipo lento e la roccia del vecchio saggio era intatta.
Tuttavia la conferma che a impazzire non era lui, ma erano gli altri, ovvero, gli stessi che senza età senza cuore, senza mente e senza titoli si menano quotidianamente a cibarsi nei pascolo del sapere, bighellonando nei pascoli dell’avena fatua.
La conferma che si trattasse di una notizia lenta è stata quando ho chiesto se per le processioni, sia opportuno seguire la via della condivisione popolare, o itinerari privati; lui ha risposto: “Shanà: na jemi arbëreshë e atà janë litirëth”.
Allora ho salutato il fratello che non ho mai avuto, rincuorato, che a impazzire sarà stato un omonimo stampatore economico e il danno si quantificherà nella perdita di ulteriori tasselli al modello di integrazione più solido del Mediterraneo.
Benito sta bene è solo dispiaciuto che nessuno lo ascolta, per la difesa, tutela e divulgazione delle cose giuste, di tutta la regione storica.
P:S chi sa dire quale agglomerato urbano occupa il gradino più alto dell’omertà di tutto l’universo che conosciamo?