NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Quando il 7 Settembre del 1860 Garibaldi entrò trionfante a Napoli si prodigò, nell’immediato, a predisporre un governo provvisorio per i necessari adempimenti al plebiscito del 21 ottobre 1860.
A tal fine, fu coadiuvato da uomini di elevato spessore morale e professionale, esaurienti conoscitori delle emergenze che attanagliavano, il capitolato Regno Borbone.
I prescelti che rivestirono le cariche istituzionali di quel governo prodittatoriale furono: Il Prodittatore – Giorgio Pallavicino, Il Ministro dell’Interno e Polizia – Raffaele Conforti, Il Seg. di Stato degli affari Esteri – Francesco Crispi (Arberëreshë), Il Ministro di Grazia e Giustizia – Pasquale Scura (Arberëreshë), Il Ministro di Guerra e Marina – Amilcare Anguissola, Il Ministro dei Lavori Pubblici – Luigi Giura (Arberëreshë).
Riassumere il contributo che l’intera Regione storica Arbëreshë, in senso di uomini, di sapere oltre a confermare storicamente l’integrazione del popolo arbëreshë con quello italiano, richiede altri ambiti e tempi, ciò nonostante va sottolineato l’apporto dato dalle figure di Francesco Crispi, Luigi Giura e Pasquale Scura.
Tre solidi esempi, della comunità minoritaria tra le più operose della storia italiana dal XIV secolo.
Le epoche in cui vissero questi uomini, rappresentano la punta di un diadema molto più esteso, di quello che appare, la cui forza ha radici profonde; politico Francesco Crispi, magistrato Pasquale Scura, espressione della scienza esatta Luigi Giura; accomunati da uno spiccato valore morale le cui radici affondano nei valori delle famiglie arbëreshë.
In questo breve vorrei esporre le gesta dell’uomo esempio di scienza esatta: l’Ingegnere-Architetto L. Giura da Maschito, in Provincia di Potenza; poco noto, anzi direi sconosciuto sino a qualche anno addietro, anche da coloro che credono di possedere il sacro Graal della Regione storica Arbëreshë e Albanese, quest’ultima in specie rimane ancora oggi legata a personaggi e stereotipi, vetusti e impropri, emarginando le figure di pura estrazione culturale, per i quali ed attraverso i quali identificarsi.
Luigi Giura si distinse nei primi sei decenni dell’ottocento, restando imbrigliate le sue opere d’ingegneria, non al suo nome, ma a chi dominava il regno e per questo penalizzato in tutte le sue eccellenze sia come uomo e sia come luminare di scienza esatta.
Tutto ciò nonostante avesse avuto una chiara presa di posizione nei motti sino al 1848; tuttavia ancora oggi rievocare il suo spessore tecnico e artistico, mette in luce il periodo storico in cui visse il genio, il professionista che anticipò i tempi di tutte le scuole europee, comprese la francese e l’inglese.
Spetta a noi albanofoni, e mi riferisco sia agli Arbëreshë e sia agli Albanesi dei Balcani, il compito di creare i presupposti idonei per liberare da una gabbia impropria, la figura del grande luminare della moderna ingegneria.
Le sue opere rappresentano il vanto e i traguardi cui giunse il meridionale nel periodo che va dal 1827 al 1864, anno in cui venne a mancare, non prima di aver riservatamente anticipato, ciò che gli storici moderni, i frutti del genio di unione tra popoli.
Le parole con cui Paolo Emilio Imbriani, Presidente del Consiglio Provinciale Napoletano, sottolineò sabato primo giorno di ottobre del 1864, la scomparsa del nobile ingegnere, racchiudono la figura del Giura: uomo di Scienza Onesta da associare al principio più dominante della Scienza Esatta.
Era di Mercoledì quel il 14 ottobre 1795, a Maschito, piccolo centro minoritario di etnia Arbëreshë allocato nell’area del Vulture, e nessuno immaginava che iniziava una parentesi storica, che tutta l’Europa le avrebbe invidiato; Vittoria Pascale, metteva alla luce Luigi, figlio legittimo di Francesco Saverio Giura.
Le prime nozioni scolastiche il giovane maschitese le acquisisce presso i Padri delle Scuole Pie, in quella stessa provincia lucana.
Terminato brillantemente questo primo ciclo di studi, fu affidato, allo zio materno Vincenzo a Napoli, che lo indirizzò verso le discipline scientifiche dopo aver misurato le sue attitudini, specie in scienza, matematica, meccanica e idraulica.
Il giovane arbëreshë seguiva, per sua scelta, anche i corsi di disegno e composizione nell’Accademia napoletana di Belle Arti, allocato a quel tempo nel complesso delle Mortella, completando la sua formazione, anche in campo architettonico.
Il 4 marzo 1811 sostenuto l’esame d’idoneità nella nascente Scuola Annessa al Corpo di Ponti e Strade, fu primo all’esito finale della prova, pur partecipando come allievo esterno.
Conseguito il titolo d’ingegnere e architetto nel 1814, venne scelto a coadiuvare il Cav. Bartolomeo Grasso, ingegnere del dipartimento, che si occupava delle aree e di lagni in Terra di Lavoro della Campania settentrionale.
L’Europa in questo periodo è in fermento per l’acquisizione di nuovi sistemi tecnologici, di produzione, scambio e trasporti; anche il Regno di Napoli per non rimanere arretrato ed essere fagocitato da altre potenze, rispose con l’istituzione del Corpo degli Ingegneri di Ponti e Strade e l’annessa Scuola di Specializzazione, quest’ultima con il compito di fornire il naturale ricambio generazionale al corpo,
Tuttavia l’istituzione non ebbe molti consensi nel meridione, poiché, essendo gestite liberamente le terre dai principi e signori locali, non accettavano di buon grado le regole con cui gli ingegneri pianificavano gli equilibri geologici, non riconoscendo alcuna utilità alle bonifiche, miglioramento e salvaguardia dei territori sino ad allora fuori da ogni minimale regola.
La questione non fu di semplice risoluzione e si trascinò per molti anni, furono innumerevoli gli episodi che misero in dubbio il futuro del Corpo, che, intorno al 1817 rischiò persino il fallimento, alla luce del gran numero di giudizi cui era continuamente costretto a rispondere.
La svolta avvenne quando nel 1824, la direzione fu affidata all’ufficiale Carlo Afan de Rivera, quest’ultimo oltre ad aver avuto una brillante carriera militare, aveva collaborato per molti anni nelle officine cartografiche del regno, quindi lucido ed esperto conoscitore del territorio, completata da una grande formazione nel campo della botanica.
Il militare come prima attività di rinnovamento de corpo degli ingegneri, fece proprio dell’istituto lo statuto che regolava il Corpo istituito e collaudato già in Francia.
In oltre profondamente convinto dell’utilità di confronto, con altre realtà che operavano nello stesso campo, con un budget di circa seimila ducati inviò Luigi Giura accompagnato da tre giovani ingegneri: Agostino Della Rocca, Federico Bausan e Michele Zecchetelli, , in Francia, in Inghilterra e nelle città degli allora stati Italiani, per confrontarsi con gruppi di lavoro e acquisire metodiche nel campo dell’industria e dell’indotto.
Giura e il suo gruppo partì da Napoli il 18 luglio 1826 per ritornarvi il 27 luglio 1827, il programma di viaggio fece capo a una moltitudine di siti, dei quali i più degno di nota sono quelli di Parigini e Londinesi.
L’ingegnere arbëreshë può ritenersi il restauratore dell’antica Scuola di applicazione di ponti e strade e l’annessi istituto di formazione; la prima Speciale che l’Italia possa vantare e che lascio un segni indelebili nell’Europa in crescita.
Nel 1828 ebbe l’incarico dal Governo napoletano di costruire un ponte sospeso a catene di ferro sul Garigliano, l’antico confine tra regno di napoli e la chiesa romana.
Fu in Italia la prima opera di questo nuovo sistema, che evitava di realizzare paramenti murari nel letto del fiume, con il conseguente cospicuo risparmio di tempo e danaro; la novità di questo ponte è rappresentata del congegno del pendolo per il quale Giura salì agli onori dei progettisti europei.
Il doppio pendolo posizionato in cima al pilastro di sospensione, era una macchina capace di accogliere più forze e trasformarle da dinamiche in statiche, distribuendole esclusivamente al pilastro cui scaricava solo ed esclusivamente quello di sforzo normale mentre alle catene di ritenuta, le forze risultanti inclinate, la spartizione avveniva con qualsiasi carico applicato al tavolato di calpestio del ponte.
Ma non solo questa fu l’innovazione che consentì al Giura di riuscire in questa e impresa, infatti, egli assieme ai proprietari delle fonderia di Mongiana in Calabria mise a punto una lega che permise di realizzare le catenarie di sospensione, realizzando maglie con il metodo della trafilature, metodica ancora sconosciuta nei regni che in quei tempi descrivevano la odierna Italia.
Grazie al suo ingegno, in breve preparò la macchina per trafilare i metalli e quella indispensabile per le prove di carico dell’innovato prodotto siderurgico.
Una macchina tanto utile ma così invasiva, che durante le prove, provocava dei piccoli terremoti nella zona dei mulini, Via Cesare Rosaroll, dove era allocata, per cui, si dovette nel breve provvedere a trasferirla nella periferia della città partenopea.
Il ponte del Garigliano rappresenta il riassunto delle capacità progettuali ingegneristiche e architettoniche di Luigi Giura, un genio arbëreshë.
Dopo questa brillante impresa gli fu affidato di realizzare il ponte sul fiume Calore, sempre su catenarie, impiegando una spesa minore del previsto; altri due, poni gli furono commissionati uno a Pescara e l’altro a Eboli sul fiume Sele, in località Barritto, questi due ultimi pur se progettati nelle versione preliminare non furono mai realizzati per lungaggini burocratiche che in quel periodo aveva preso piede e rallentavano il buon lavoro del corpo degli ingegneri Partenopei.
L’altra grande opera realizzata da Giura fu la bonifica dell’emissario del Fucino, un condotto, realizzato da Claudio Imperatore per portare le acque del lago carsico nel fiume Liri, attraverso un cunicolo sotterraneo di circa sei chilometri.
Le opere per tenere in efficienza il condotto videro come protagonisti sin anche Traiano, Adriano, e poi Federico II di Svevia seguito da Alfonso I, ma nessuno di loro riuscì nel tentativo di realizzare un idoneo apparato che sostenesse in modo durevole le sezioni del condotto.
La realizzazione di un opera cosi antica venne sottoposta allo studio e alla genialità di Luigi Giura nel 1835, coadiuvato da valenti ingegneri del corpo di ponti e strade, attraverso una serie di rilievi e studi mirati alla conoscenza delle caratteristiche geologiche e meccaniche di quel tratto di montagna, riuscì a sostenere gli incerti terreni, fino a raggiungere l’intero sgombero del celebre traforo del monte Salviano.
Luigi Giura fornì un progetto completo, atto ad ampliare e restaurare l’emissario, con tutte le particolari opere indispensabili a prosciugare il lago, anche se ciò per le vicende di burocrazia di malaffare fu possibile solamente dopo la sua morte.
E sulla base di tutti i suoi elaborati fu possibile realizzare l’opera che sino ad allora si riteneva irrealizzabile.
Nel 1839 fu promosso ispettore generale nel Corpo degli Ingegneri delle Acque e Strade e nella duplice funzione d’Ispettore e di membro del supremo Consiglio d’Arte del Corpo, prese parte in tutte le opere pubbliche di maggior rilievo, risolvendo annose pendenze con imprese e amministratori locali.
Nei motti del 1848, Luigi Giura riveste il ruolo di ministro dei lavori pubblici, per queste, sedata la rivolta da parte dei Borbone, fu arrestato e condannato alla pena capitale, l’intercessione del direttore del corpo di ponti e strade Carlo Afan de Rivera, che si rivolse al re, invitandolo a liberarlo in quanto la sua dipartita avrebbe compromesso totalmente il buon lavoro che tutto il corpo realizzava, Giura venne liberato, il fratello Rosario ebbe modo di esiliare, mentre la pena inflitta all’ingegnere, fu quella che non pote mai ambire alla guida del leggendario Corpo di Ponti e Strade, pur avendo numeri e meriti.
Rilevante è l’episodio del 1853, quando il progetto della foce dei Regi Lagni in terra di lavoro, pubblicato negli annali della facoltà d’ingegneria, questo spinse i tecnici Francesi a recarsi nella biblioteca nazionale della città partenopea, per consultare quei volumi, alla ricerca della innovazione messe in atto dal Giura; in specie, un sistema di palificate a mare che produceva dei vortici e consentivano alla foce del canale naturale di non arenarsi.
Non vi fu luogo del regno, dove non si recò a esaminare strade, ponti, opere di regimentazione, bonifica, porti, non sottraendosi mai a fornire utili consigli finalizzati al buon esito e al compimento delle opere.
E al Giura che si deve la bonifica della zona detta di Fossi a Napoli e la realizzazione del primo piano regolatore, in quella stessa area, da cui partiva la ferrovia Napoli – Portici – Castellammare, oltre a progettare la stazione terminale Stabiese.
Sempre al Giura fu affidato il collaudo della stessa ferrovia Napoli – Portici, che pur essendo stata completata da tempo no si riusciva a trovare un tecnico capace di certificare che tutto fosse stato realizzato secondo i canoni progettuali, incarico che assunse e portò a buon fine in breve tempo.
A lui si deve l’opera dello zuccherificio di Sarno, interamente meccanizzato a trazione idrica, oggi ancora si conserva il condotto che muoveva la grande ruota a pale e una parte degli alberi che garantivano il movimenti dei macchinari.
La notorietà di Giura non va solo annoverata nelle sua figura di uomo di scienza, ma soprattutto come precisava Paolo Emilio Imbriani: uomo di Scienza Onesta, tal proposito va sottolineata l’amicizia che lo legava a Giacomo Leopardi a cui fu persona di riferimento.
Luigi Giura conobbe il Leopardi, la notte che arrivò a Napoli accompagnato dal suo fedele amico Ranieri, ad ospitarli quella notte e per alcuni giorni non fu il genitore del Ranieri, che non li fece neanche entrare, lamentando al figlio sull’uscio della porta di casa, di quale anima nera che voleva portare in casa, fu Giura ad accoglierli e ospitarli sino a quando non trovo sistemazione nei quartieri Spagnoli durante il primo periodo di permanenza.
Da quella sera Luigi Giura, appellato persino in un famoso film come “il greco”, fu sempre disponibile a risolvere esigenze di ogni genere, la conferma viene anche dal luogo in cui il Leopardi viene ricordato a Napoli.
La residenza di via del Pero 2, dove il sommo poeta notoriamente viene ricordato con una lapide sula via di Capodimonte appena dopo il museo, era una proprietà del Giura, quando la cagionevole salute non gli consenti più di salire due rampe di scale, è sempre L.G a interferire verso sua cugina F. Giura, spostando un sua inquilino a piano terra per offrire la possibilità a Leopardi di avere accessibilità agevolata al rientro a casa.
E qui che il poeta il 14 giugno 1837 venne a mancare con medici amici partenopei, che come Luigi Giura nel silenzio e nell’anonimato più assoluto gli furono sinceri amici.
Quando nel 1860, Garibaldi assunse la dittatura delle province meridionali, la capitale partenopea era molto scettica nel sostenere il voto plebiscitario, allo scopo e onde evitare sorprese, che potessero macchiare il valore di quel plebiscito, fu indicato dall’aristocrazia partenopea la figura limpida di Luigi Giura, nominato prima direttore generale dei Ponti e Strade e poi elevato a Ministro dei Lavori Pubblici.
Abituato a vivere con le opere da innalzare. non ritenne idoneo quell’incarico di Ministro che doveva tenere conto di esaminare esclusivamente burocratico, cui lui era più incline, decise di tornare a Napoli.
In seguito con evidenti problemi fisici, oltre all’età preferì ritirarsi a vita privata, non prima di essere insignito del titolo di “Ufficiale del Real Ordine Mauriziano”.
Nella capitale partenopea, tuttavia, rivestì l’incarico di architetto commissario del municipio napoletano, già sostenuto per anni; in verità prima della malattia la scelta di rientrare, aveva un significato molto forte, in quanto si era reso conto nel periodo vissuto a Torino, che le opere e le risorse del sud migravano in altri luoghi e ogni struttura che lui considerava proprie creature venivano smantellate per migrare altrove.
Una febbre misteriosa nel giro di un mese, nonostante tutte le opportune cure mediche di allora, Luigi Giura muore, all’età di sessantanove anni.
Fu tumulato nel Cimitero Monumentale di Napoli con una solenne funzione seguita da tutta la Napoli culturale, durante la quale, dopo numerosi discorsi, furono apposte le steli realizzate dalla provincia di Potenza, in suo ricordo e di suo fratello Rosario morto esule a Nizza, ma questa è un’altra storia di eccellenza arbëreshë.