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LA CONSERVAZIONE DEI CENTRI ANTICHI, STORICI, MINORI E ABBANDONATI

Posted on 21 settembre 2016 by admin

la-conservazioneNAPOLI (di Atanasio Pizzi) – I centri storici sono un enorme patrimonio qualitativo e quantitativo, la cui gestione/tutela è ben nota ad architetti e urbanisti, un’onta di fatto “pacificamente ignorata” dal punto di vista giuridico amministrativo.

Quest’ultima disciplina si affida alla legge 1089 e la 1479 del 1937 e nonostante l’attuazione nel 2008 “del Codice dei beni culturali e del paesaggio”, continuano ad essere trascurati in modo perentorio beni e aspetti culturali.

Sintetizzare in poche parole cosa si vuole intendere per “centro storico” è un’operazione non semplice, perché l’enunciato, dovrebbe contenere elementi identificativi tipologici, strutturali, storici, dimensionali, geografici e geologici, indicando nello stesso tempo agglomerati urbani di antica edificazione con elementi unici e irripetibili.

Le nozione filosofiche per la tutela degli ambiti storici sono state le più dannose e deleterie ai fini della tutela e conservazione, correggere i saggi enunciati del passato realizzati da saggi conoscitori del territorio e degli ambiti mai tutelati è stato un grave errore.

Immaginando di produrre una migliore definizione, ha portato a tracciare una mera linea di demarcazione tra mille polemiche degli stessi attuatori, questi ultimi, i meno adatti in quanto formati da una cultura idealistica nel bui dei loro dipartimenti .

Per questo motivo è opportuno analizzare alcune affermazioni non per giungere alla definizione ideale, ma al solo scopo di avere una visione più solida dell’argomento che si vuole trattare.

E chiaro che chiunque si appresti a dare giudizi e costruire teoremi deve avere una conoscenza consolidate del territorio, delle genti che vi hanno vissuto, dei parametri economici le consuetudini e in fine le dinamiche sociali/ economiche che hanno fatto nascere, sviluppare e far giungere sino ad oggi il bene culturale irripetibile.

Inoltre lo studio deve tenere conto se si tratta si centro antico di centro minore o di un centro abbandonato o delocalizzato.

Il termine “centro storico” ha subito un’evoluzione e una dilatazione graduale, tanto della sua individuazione fisica, quanto del suo significato immateriale, evolvendosi da semplice realtà urbanistico architettonica/culturale, a “insieme complesso” le cui caratteristiche sono interlacciate dagli aspetti sociali, economici e consuetudinari dei macrosistemi in esame.

Questo nuovo sistema di lettura ha prodotto due filoni di studio: il primo che colloca i centri storici all’interno della materia dei beni culturali; l’altro nell’ambito della gestione complessiva del territorio; aspetti, che vanno intesi come complementari e non di gratuita contrapposizione.

Mentre oggi il dibattito sui centri storici ha invaso il campo specialistico ed è diventato tema d’interesse generale, così non era all’inizio degli anni ’60 quando, in occasione del Convegno di Gubbio, iniziò finalmente a nascere, in ritardo rispetto ad altri paesi europei, una nuova attenzione verso i centri storici.

Il Convegno generò senza dubbio una svolta culturale, come testimoniato dal successivo proliferare di leggi speciali, proposte di legge, dibattiti e progetti inerenti il tema in via di evoluzione , volto produrre interventi generalizzati di  salvaguardia dei centri storici, non come insieme di monumenti, ma difesa del patrimonio artistico.

E’ stato osservato che il centro storico (in realtà è il centro antico) era diffusamente considerato, e non a torto come “quella parte del tessuto urbano consolidata, compatta e unitaria che si era sviluppata dalla fondazione dell’insediamento urbano fino all’avvento dell’industrialesimo”, riferendosi per questo a un preciso intervallo temporale.

Sulla definizione, ricordiamo quella fornita dal Dizionario Enciclopedico di Architettura e urbanistica che testualmente cita:” Nucleo di una città che costituisca per caratteristiche formali, tipologiche e urbanistiche un complesso legato a particolari momenti storici.

Il termine è stato diffuso dalla più recente legislazione urbanistica, la quale si è occupata del problema della conservazione, risanamento e valorizzazione del centro storico.

La delimitazione topografica dei centri storici comprendere l’intera struttura urbana, quando si tratti di insediamenti in cui la struttura storica sia prevalente, anche quando questa abbia subito nel tempo palesi deformazioni che hanno rotto la continuità del territorio storico, possono rientrare nella tutela dei centri storici anche costruzioni relativamente recenti (sec. XIX) o addirittura moderne, se ritenute documenti decisivi ed unici nella storia dell’architettura”, oltre il rispetto per le diverse stratificazioni ed il breve riferimento all’estrema varietà tipologica, l’ipotesi di estensibilità del centro storico all’intera città, anticipando la distinzione introdotta da R. Pane tra centro antico e centro storico, le cui complessità sia concettuali che operative ad essa legate sono state messe bene in luce da Miarelli Mariani nella “cultura del restauro”.

È chiaro che queste definizioni trovavano una loro attendibilità nella stagione in cui il pane operava, in quanto oggi con la avanzare della globalizzazione un punto di riferimento certo a cui affidare l’inizio, il proseguo e la fine delle manomissioni dei centri si deve conoscere.

Roberto Pane scrive: …il centro antico corrisponde all’ambito della stratificazione archeologica, mentre il centro storico è la città stessa nel suo insieme, ivi compresi i suoi agglomerati moderni.

In altre parole ciò che è antico è storico ma non tutto ciò che è storico è antico.

È da questo momento che la filosofia invade il campo della nostra identità culturale espressa attraverso l’architettura e l’urbanistica, asciando ogni cosa al libero arbitrio, l’interpretazione tra centro antico e centro storico, sminuendo il valore del confine sottile dell’identità che caratterizza ogni agglomerato urbano.

Il concetto di antico esclude il nuovo ed il moderno, definisce il nucleo primitivo, dalle origini…incluse, ovviamente, le strutture e le forme medioevali, rinascimentali, barocche e ottocentesche che sono state configurate dalle successive stratificazioni ».

Nel 1979 Di Stefano lamentava la confusione ancora presente sia negli atti ufficiali che nei discorsi correnti, nell’uso e nel significato dei due termini, riscontrando una diffusa inversione di significato dell’uso degli stessi, e definiva il centro storico di una città come «la parte vecchia (e, a volte, moderna ma non nuova e contemporanea) la quale comprende in sé i documenti dell’evoluzione civile della comunità umana che ha creato la città stessa, così come noi la vediamo», precisando che «l’individuazione del centro storico, pertanto, deve essere basata su valutazioni di carattere storico – critico (e, in genere, di tipo qualitativo), senza alcun vincolo di date predeterminate».

A tal proposito segnaliamo la distanza, approfondita in un successivo paragrafo, tra il mondo culturale e l’apparato normativo generato da politici e legislatori che sia in passato che purtroppo ancora oggi, sembrano non incontrare particolari difficoltà nel fissare una data di riferimento per l’individuazione spaziale dei centri storici.

Le difficoltà sia concettuali che operative, generate dall’ormai culturalmente accettata distinzione tra centro storico ed antico, nascono principalmente dalla complessità dell’operazione di individuazione di una linea di separazione tra città antica e storica, a causa anche della varietà cronologica e qualitativa degli elementi che potrebbero essere presi in considerazione, caratterizzanti la seconda.

Partendo dal presupposto di non considerare, in quanto inutili sotto il profilo culturale, le frettolose soluzioni di tipo legislativo, né tanto meno le inapplicabili classificazioni generiche per epoche storiche e stili,va sottolineata da un lato la necessità di ricerca di una periodizzazione alternativa, e dall’altro lato pone anche in evidenza le difficoltà, i rischi e gli equivoci che possono essere generati da una rigida definizione.

Inoltre la circoscrizione del centro antico, quale articolazione interna del centro storico, è quanto mai problematica, soprattutto considerando la cultura contemporanea che rifiuta la presenza di barriere e tende a costituire giudizi storici su tutti gli elementi del passato, indipendentemente dall’epoca che li ha prodotti.

Applicare tali principi nella definizione dei centri minori è sicuramente un operazione più semplice, ma purtroppo essendo questi caratteristici per la quantità e non per la qualità non anno vista applicate le leggi 1089 e 1479 se non per singoli elementi, questo ha generato a partire dagli anni sessanta un accanimento su un numero rilevante dei manufatti ricadenti nel perimetro antico.

Ad oggi sono pochi i casi recuperabili, ma quelli che destano più preoccupazione sono quelli che nel corso degli anni anno visto abbellire il loro aspetto senza regole strutturali, architettoniche e storiche.

Gli abbellimenti sono rispettivamente elencati anche alla luce del fatto che l’Italia meridionale è classificata zona sismica di colore rosso, questo dato associato agli abbellimenti strutturali rende gran parte del costruito storico dei centri minori molto vulnerabile anzi oserei dire pericoloso.

Se a questo dato si aggiunge l’atteggiamento poco attento degli organi Regionali preposti che elargiscono fondi economici per l’adeguamento sismico, che non mira a consolidare e rendere più sicuri gli isolati dei centri storici, ma come si più leggere dall’elenco diffuso dalla Regione Calabri, che oltre ad intervenendo con somme irrisorie fuori da ogni regola di mercato su singoli episodi all’interno degli isolati, creando moduli rigidi all’interno di macrosistemi con elasticità differenti.

I centri storici minori sarebbero dovuto essere prioritari per gli amministratori locali, che attraverso la struttura solida degli uffici tecnici, avrebbero dovuto incentivare attività nella direzione della caratterizzazione del bene centro antico in senso generale , e nel corso dei lavori creare presupposti di consolidamento statico che potesse evitare il collasso in caso di evento sismico.

In gran parte del territorio Italiano la sopravivenza degli insediamenti storici è particolarmente vulnerabile agli effetti di rilevanti eventi fisici (alluvioni, terremoti, frane ecc.) così come per quelli dell’abbandono delle collettività insediate e di quanti, ne hanno responsabilità politica/tecnica.

La “perdita” deve essere intesa tanto nel merito degli elementi fisici ancora sopravissuti, quanto delle presenze vive della struttura sociale e dei loro abitanti.

Nel momento in cui incomincia a venire meno la “sicurezza” fisica dei fabbricati, si pone ovviamente la necessità di scegliere se attendere prima come evolvono o si stabilizzano i meccanismi in atto o se de-localizzare“tout court” i residenti.

Ogni de-localizzazione, pur consentendo la messa in sicurezza “fisica” dei residenti, comporta però la loro separazione da quanto”intangibile” era presente nell’insediamento.

In molteplici, recenti circostanze in tal genere si è anche ricorso a “espedienti” volti ad invogliare i residenti ad allontanarsi dal loro centro di origine.

Gli effetti negativi di tali separazioni forzate si ritrovano ad esempio a Filadelfia nel vibonese, Martirano nel catanzarese, le mortelle nel materano e San Leucio nel casertano, ecc.

Lo scrivente, avendo seguito da vicino l’evolversi degli eventi e degli interventi posti in essere in relazione alla frana nel rione Nxerta di Cavallerizzo, ha motivo di ritenere che, anche in questo caso, ricorrano gli elementi che hanno già portato altrove alla compromissione degli elementi fisici del centro storico originario e del tessuto culturale e sociale degli abitanti.

                     Fine Prima Parte ( fërnoi e para Pies)

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