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LETTERA APERTA ALLE ISTITUZIONI DI CLABRIA E DELLA PROVINCIA DI COSENZA

Posted on 15 luglio 2013 by admin

NAPOLI ( di Atanasio Pizzi ) –

Al Presidente

Regione Calabria

On. Giuseppe Scopelliti

e.p.c.   All’Assessore alla Cultura

Regione Calabria

On. Mario Caligiuri

e.p.c.   Al Presidente

Provincia di Cosenza

On. Gerardo Mario Oliverio

e.p.c.   All’Assessore Alla Cultura

 Provincia di Cosenza

On. Maria Francesca Corigliano

 

In merito alla sua del 16 Febbraio 2012, in cui mi informava sull’attività svolta del gruppo di Governo Regionale per la valorizzazione delle minoranze etniche calabresi, la voglio informare che le competenze quando diventano prerogativa locale non seguono le linee più idonee per ottimizzare il vostro operato.

La prassi segue l’iter burocratico che il legislatore ha emanato per progetti di carattere generale o interventi di edilizia pubblica, pur essendo la pertinenza minoritaria specifica del programma, non si attua alcun protocollo per consentire che gli interventi siano realizzati per opera di tecnici miratamente qualificati.

Va altresì precisato che le ricerche svolte sul modello sub urbano della Gjitonia, l’evoluzione dei centri antichi e quelli storici arbëreshë, sono state priorità di approfondimento da parte di un numero molto ristretto di professionisti; il che fa immaginare quali direttive storiche siano utilizzate per dare logica e continuità ai contesti  sottoposti a intervento.

Il senso di questa lettera è comunque molto più ampio e non riferito solamente a questa specifica vicenda, giacché non è plausibile trattare alla stessa stregua di un normalissimo intervento pubblico, progetti in cui è prioritaria la preparazione specifica utile alla lettura di questi ambiti.

Le Amministrazioni che si sono alternate alla guida dei paesi albanofoni, negli ultimi decenni non hanno mai attuato una politica di conservazione e difesa dei modelli architettonici, questo a causa della totale assenza di analisi, ricerca e logica di sviluppo urbano dei luoghi detti etnici, nei trascorsi tra il XV e il XXI secolo.

Questa mancanza di informazioni ha rivolto gli interessi verso modelli alloctoni che non sono attribuibili alla minoranza, per questo motivo, le insule o gli ambiti architettonici in cui sono custodite le regole consuetudinarie della storia arbëreshë, non sono state rispettate idoneamente.

La conservazione e la difesa del modello sub urbano, non ha avuto ancora inizio, cosi come il reinserimento dei moduli abitativi in ambito turistico o la tutela della stessa toponomastica; questa opportunità da voi fortemente voluta doveva rappresentare la svolta di tendenza, ma purtroppo i presupposti sin ad ora resi pubblici non lasciano ben sperare.

Sono innumerevoli gli ambiti distrutti o manomessi, non per cattiva amministrazione, ma per il semplice fatto che non sono mai stati considerati storicamente fondamentali, ormai da molto tempo abbandonati al loro inesorabile destino e trasformati come territorio di semina per inaffidabili cultori, questi ultimi hanno fatto germogliare il seme delle innumerevoli leggende minoritarie.

Fino a quando gli enunciati di leggenda sono stati circoscritti entro i recinti di convegni, dibattiti e manifestazioni non hanno prodotto alcun danno materiale, ma se oggi diventassero le linee guida di un progetto di recupero, si produrrebbe un’anomalia storica urbanistica e architettonica non più ripristinabile.

Il dato è legato al fatto che non ci sono bibliografie specifiche di questi ambiti, il che porterà inevitabilmente i tecnici incaricati dei progetti esecutivi, (non voglio neanche immaginare quali riferimenti sono stati scelti a supporto dei progetti preliminari e definitivi), ad attingere informazioni dai soliti cultori locali, prassi dilagante, vera piaga del degradato patrimonio materiale e immateriale.

Se ad oggi si conservano ancora esempi di architettura minore è grazie all’incuria e all’inconsapevolezza del loro valore, ma l’opportunità offerta dalla vostra amministrazione si potrebbe rivelare pericolosa e cancellare definitivamente queste rare, preziose e insostituibili tracce.

La preghiera che vi rivolgo è un mio personale punto di vista, in altre parole, non sarebbe meglio indirizzare queste risorse, ripristinando i compromessi bilanci comunali o devolvere le risorse a favore di famiglie e soggetti disagiati?

Sicuramente più utili a rendere meno penosa la vita di tante famiglie che rimangono caparbiamente abbarbicate a questi ambiti, evitando con la loro presenza di disperdere quei pochi resti in cui ritrovarsi per sentirsi ancora un poco arbëreshë.

Sarei lieto di potervi invitare a respirare l’aria che avvolge questi luoghi ameni d’arberia, leggendo assieme a voi gli itinerari di sviluppo architettonico e urbanistico d’ambito, un campo poco noto dell’architettura moderna, perché preferito alle grandi opere del passato sicuramente più affascinanti, spettacolari e pregnanti.

Va anche ribadito che questi sono gli stessi luoghi in cui gli esuli d’Albania riuscirono a sostenere l’economia di Calabria, i precursori di ciò furono i Sanseverino di Bisignano, con fondi Ispanici, ma la forza lavoro prioritaria per innate capacità organizzative era rappresentata dalle popolazioni che si insediò in questi casali.

Oggi i paesi Albanofoni, siano quelli della destra o della sinistra del Crati, siano quelli del Pollino o della Mula, sono tutti accumunati dalla stessa tecnologia, architettura e modello urbanistico.

Luoghi minori in cui tanti illustri del Sud sono stati forgiati tra le pieghe dei ristretti vicoli secondo i canoni del modello consuetudinario albanofono divenendo per questo tra i più eccelsi luminari d’Europa.

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